Parmenide, ferito di realtà. Per una lettura politica di “Ἐλέα. Quando verrà il passato” di Bruno Di Pietro.

di Paolo Gera

1. Paradossale è la costituzione morfologica di una parola così importante come ἀλήθεια. Aletheia, la Verità, non ha una sua derivazione concettuale autonoma, ma è collegata, attraverso un alfa privativo al termine Λήθη, Lete, che significa oblio. Aletheia avrebbe dunque il significato di ciò che non può essere dimenticato e che deve per forza essere rivelato.
Per avvicinarci attraverso un itinerario di geografia simbolica al luogo reale di cui vogliamo parlare –Elea, il suo paesaggio, la sua leggenda– dovremmo prendere in considerazione la Pianura di Aletheia, che Plutarco , nel suo De defectu oraculorum descrive disposta in forma di triangolo, luogo di elezione su cui “stanno immobili i princìpi, le forme, i modelli di ciò che è stato e ciò che sarà.”(cit. in M. Detienne, I maestri di verità nella Grecia arcaica, Laterza, Bari, 1982, p. 95).
Marcel Detienne afferma che il quadro cosmogonico del mito deriva dal pensiero pitagorico e che la visione di Platone, peraltro iniziato di quella scuola, completa il quadro. Infatti, in Repubblica, nel decimo libro, quello finale ecco che viene descritta in maniera contrapposta e integrativa la pianura di Lete: le anime si dirigono” verso la pianura del Lete in una tremenda calura e afa. Era una pianura priva di alberi e di qualunque prodotto della terra”. ( Platone, La Repubblica, X, 621, in Opere complete, 6, Laterza, Bari, 1980)
In questo modo viene descritta la terra dell’oblio: caldissima, arida,
non fruttifera.

2. Nell’opera di Bruno Di Pietro la pianura a cui ci si avvicina e si ammira è quella di Elea, terra di ulivi, di rovi di more e lussureggiante trifoglio: qui è germinata la scuola filosofica di Parmenide.
Su un luogo votato alla ricerca di verità si alza da principio Eos, l’aurora, ma dietro la sua luce mediterranea, ancora si nasconde l’oscurità della memoria negata e della dimenticanza voluta.
L’alba è il segnale di un passaggio alla lucidità diurna, alla vocazione razionale, ma dietro i suoi contrafforti, come scrive Pindaro,” i torpidi fiumi della notte oscura/gettano fuori la tenebra sconfinata…”

(fr.129, 130 in G. Colli, La sapienza greca, Orfeo, Adelphi, Milano, 1990, p. 127).
L’alba è un confine che si affaccia dalla parte degli uomini, ma sta a questi non illudersi della gloria del sole annunciato e cercare di comprendere l’effimero del ciclo naturale, in modo che notte e giorno, luce e ombra possano essere compresi nella ricerca sostanziale della verità.

3. Il componimento iniziale che precede le tre sezioni dell’opera – anche se parlare di principio e fine in Elea è illusorio – ha appunto per titolo In limine.
L’astro del mattino biancheggia su un idillio che nasconde movimenti e aporie riguardanti tanto l’armonia del mondo naturale che quello dei sapienti. “I grilli normalmente molesti/parlano più che frinire” (1-2) e “Parmenide convertito al divenire/ è in buona salute.” (4-5). Il divino e ironico contrappunto si estende su quella che è la chiave del libro, ovvero la sincronicità, l’impossibilità di mettere ordine sulla linea temporale così come è pensata per ovvietà: qui passato, presente e futuro coesistono. “Nella piana di Elea/tutto è e sarà/ come è sempre stato.” (10-12), ma il verso che conclude questa protasi, composto da due indelebili parole, chiosa la sapienza della consustanzialità del tempo con il sigillo della fragilità personale, con il destino irrimediabile del corpo: “(Io invecchio”) (v. 14).
Qualcuno avrà capito che il fedele Di Pietro ha, come da regola, inserito accanto alla protasi la sua invocazione alle Muse? Esiodo in Teogonia le Muse sono appunto coloro che dicono “ciò che è, ciò che sarà, ciò che fu” (Hes, Theog., 32 e 38, in Detienne, p. 7)

4. Il poeta, oggi come allora, dovrebbe riflettere su questa investitura straordinaria: egli è il sapiente, in quanto unisce nella sua attività la pratica della memoria, l’agone contro l’oblio, il tentativo di far affiorare sempre e comunque l’Aletheia, la verità. Ma unisce alla capacità sovrumana degli antichi sapienti che ponevano come obbiettivo la contemplazione delle realtà come veramente sono, la fragilità del suo essere uomo dalla parte degli uomini. La memoria che dovrà preservare è anche quella storica, civile, la memoria dell’umanità nel suo svolgersi.

5. Triadica è la divisione dell’opera, come triangolare è la Pianura di Aletheia: però nella successione dei versi non si stagliano idee pure, ma si descrivono i movimenti della natura e degli esseri umani. L’origine mitologica della figura che dà il titolo alla prima sezione,
῎Eως, racconta che l’aurora, accanto all’apertura di un varco luminoso verso i misteri dell’invisibile, propende ad interessarsi delle attività concrete dell’uomo.
Eos è condannata da Afrodite, per una sua relazione clandestina con Ares, a protendere le sue dita rosate verso il mondo degli umani e ad unirsi a loro.
Questa cifra che comprende insieme sacro mistero, mondo naturale e attività umane, questo profumo impastato di mirto, di rose canine e di pane appena sfornato, impregnerà tutti i 54 componimenti dell’opera di Di Pietro.
Nei primi diciotto che compongono la prima parte, “῎Eως, appunto, si intrecciano elementi misterici “una torcia illumina la Porta” (2, 6- 7), “Danzano l’uno e i molti intorno alla rotonda luna.” (4, 8-9); naturalistici: “Piove nella piana dove dimora e gracida la primitiva rana.”(5, 6-8) e antropici: “Parmenide studia come bonificare la palude.”(11,6-7). Ma non esiste nessun scarto linguistico e stilistico fra questi momenti poetici, la luce abbacinata di Elea fa stagliare le descrizioni e gli episodi nello stesso identico modo. Non si tratta di spigolare frammenti: il procedimento è rilevabile in modo evidente all’interno dello stesso componimento:

Elea dorme.
Riposano gli ulivi dopo la raccolta.
Le ombre mi guardano silenziose.

Una torcia illumina la Porta.
Il giorno si accorcia.
Le stelle faranno notte
(e io con loro).

6. Elea è la terra dove Parmenide svolse la sua attività magistrale, ma sarebbe banale e falso credere che il suo pensiero e i suoi atti fossero rivolti solamente alla speculazione filosofica.

Come svela e divulga attraverso i suoi ultimi studi Angelo Tonelli, i sapienti greci si occupavano attivamente della vita politica e del buongoverno, attraverso una visione olistica che unisce prodigalmente l’occhio rivolto verso il cielo delle idee e quello che scruta la società, ne corregge i difetti e pone buoni esempi di conduzione: “ Così Socrate nel Gorgia di Platone testimonia che la vera arte politica non consiste nel mestiere del politico, ma nella capacità di incidere sulle interiorità dei concittadini e dei governanti attraverso la pratica della dialettica, ovvero un rimodellamento degli schemi di pensiero e comportamento a partire dalla messa in crisi delle consuetudini mentali e la rigenerazione delle medesime.”( A. Tonelli, Nel nome di Sophia, Agorà&Co., Sarzana-Lugano, 2022, p.
24) Pitagora “avrebbe inventato l’educazione politica nella sua totalità”(A. Tonelli, Pitagora il Maestro segreto, Feltrinelli, Milano, 2025, p. 53), i pitagorici, su richiesta dei cittadini, amministrarono gli affari pubblici e modellarono le migliori costituzioni della Magna Grecia, “Parmenide, oltre che sacerdote di Apollo guaritore, studioso della Natura e mistico del Grande Uno a cui dedica il suo Poema, era anche legislatore, e fornì alla sua città leggi che le consentirono di diventare florida e potente”.( Nel nome di Sophia, pp. 25-26)

7. Ἐλέα di Bruno Di Pietro riprende da varie angolazioni i comportamenti di Parmenide, in perfetta armonia con l’ambiente in cui vive: la saggezza insita nel personaggio non ammette primi piani insuperbenti, ma un campo lungo in cui i suoi gesti si inseriscono mel contesto dell’ambiente in cui vive, anzi ne possiedono la stessa sostanza tellurica, marina, aerea.

8. Nella seconda sezione del libro, Κρόνος, si accentua un procedimento disgiuntivo già annunciato in precedenza, non un puro espediente dell’inquadratura, ma un principio su cui si articola tutta la comprensione di quest’opera: alla terza persona descrittiva del personaggio, si affianca la prima persona del soggetto scrivente che pure porta sul volto la maschera di Parmenide in maniera tanto aderente che le due identità si fondono.

A fatica
l’età mi consente
di scendere alla marina.

Dalla collina
vedo il monte Stella a Occidente.
Immagino i resti dell’antichissima Petilia.

Ho incontrato da vecchio il tempo.
E mi umilia.

***
Parmenide ha la febbre.
Trema. Nel delirio dice
di un appuntamento con gli avi
appena fatto giorno.

Poi, quando sarà di nuovo scuro
il ministro della morte
passerà nel cielo
seguito dal corteo degli anni.

9. Parmenide/Bruno Di Pietro rende conto al lettore delle difficoltà della vita, della malattia, della vecchiaia che avanza, delle ossa indolenzite. Il corso della vita insegna un materialismo amaro, sino a negare l’eternità, a considerarla come dimensione aliena e illusoria:

“«Prima di me
non c’era tempo alcuno
dopo di me
non ne verrà nessuno.
Con me nasce, con me finisce
nelle ossa consunte
nelle mie guance smunte». (12, 7-11)

Questa consapevolezza di estrema fragilità invece di indebolire l’esempio del maestro, lo arricchisce piuttosto delle debolezze del tempo umano. Il Sapiente in questo modo si trasforma in poeta, l’uomo che “s’accosta con la propria esistenza alla lingua”, come

afferma Paul Celan, “ferito di realtà e realtà cercando.”(P. Celan, La verità della poesia, Einaudi, 1993, p. 36) E la realtà cercata a volte riempie di stupore e dalla freddezza classica si veleggia verso la consolazione romantica della constatazione, come scrive John Keats in Endimione, che la Natura può consolare ed essere balsamo per gli sfregi della condizione umana. ”Yes,, in spite of all,/Some shape of beautymoves away the pall/From our dark spirits.”
Così Di Pietro: “Il sale impregna la gola/ la parola non ha suono./ Respiro la bellezza del mondo.” (15, 7-9)
10. La Natura e i suoi principi dinamici chiudono la triade eleatica di Bruno Di Pietro. La terza e finale sezione ha per titolo φύσις e parrebbe dunque rivolta, seguendo le tracce di Esiodo e Lucrezio, alla descrizione del principio fondatore della vita vegetale e animale e al suo immutabile ordinamento. “Vènti orientali/ soffiano su quanto appare/ animato o inanimato/ uomini, animali, piante. /Basta a sé stessa la natura.” (1,6-9)
Invece nei componimenti ecco riapparire Parmenide e le sue vicende storiche. Vero è che nel secondo componimento Parmenide “deve tornare agli elementi”, ma successivamente si riportano le scaramucce verbali di Zenone ad Atene e la delusione del discepolo di fronte ai tranelli affabulatori dei sofisti, il suo affiancamento al maestro nel governo della città. Perché?

11.
In un rilievo di Archelaos di Priene che celebra la gloria di Omero, le figure allegoriche si si dispongono su vari piani ed è anche presente Physis che affissa il suo sguardo su un altro personaggio: Mneme, la Memoria.
Quale memoria? È quella che si oppone all’ignoranza e porta all’Aletheia, alla Verità: “E’ il piano dell’essere, immutabile, permanente, che si contrappone al piano dell’esistenza umana, sottomesso alla generazione e alla morte, corroso dall’oblio.”(Detienne, p. 99). “Mnemosyne è il nume tutelare delle pratiche di consapevolezza degli iniziati pitagorici”, “la sua sfera oltrepassa i limiti di ciò che ha luogo nella vita ordinaria”, “è emanazione di un Principio eterno e ingenerato”.( Tonelli, Pitagora il Maestro segreto, pp. 46-47))
Ma figlie di Apollo e di Mnemosyne, la dea della memoria, sono le nove muse che nel rilievo si dispongono intorno al poeta, ad Omero.

Allora, nello sguardo di Physis rivolto a Mneme si può intendere anche una memoria che si stacca dalle verità ultime e iperuranie, per occuparsi, come fa Omero, come fa ogni grande poeta “ferito di realtà”, delle grandi imprese umane, delle battaglie reboanti, delle umili faccende domestiche, delle miserie e del dolore. Parmenide, nel suo testamento spirituale si rivolge a Zenone nel nome di questa memoria, pratica, utile, benefica:

Ricorda agli Eleati Parmenide sacerdote di Apollo guaritore.
Ricorda che Giustizia di tutto ha le chiavi,
del Giorno e della Notte
e dell’intero cosmo
animato e inanimato. (16, 6-13)
12. Ricorda che Giustizia…
La Giustizia è ordinatrice dell’intero cosmo e solo chi la conosce e la applica in quello specchio degli ordinamenti celesti che è la città terrena può dire di condurre una buona e umana politica.
“Politiche divengono quindi tutte le attività spirituali dell’uomo, arte, religione e filosofia: non è concepibile nel mondo greco un religioso che dalla sua vita interiore sia condotto all’ascetismo, in modo da abbandonare completamente ogni convivenza con altri, come pure non esistono poeti che scrivono i loro versi per la posterità, senza curarsi di influire sulla polis o tutt’al più sui contemporanei. “(G. Colli, Filosofi sovrumani, in Nel nome di Sophia, p. 23)

13. Anche oggi i poeti dovrebbero testimoniare e provare con le loro opere a smuovere l’indifferenza generale, a fare in modo che la doxa propendi per la giustizia e per la compassione. Bruno Di Pietro indica il modello di Elea, ma dietro quella polis ci sono le città bruciate ed esplose di oggi.
Chiede giustizia
e rispetto alle mie mani
il mondo che non ha parola. (Kronos, 17, vv. 10-12)

14. Elea termina con un Incipit commovente. Certo la circolarità del tempo, ma forse anche una rottura, il pensare a un vero nuovo inizio societario, politico, a un’utopia che nel nome della paidéia, dell’educazione possa diventare praticabile. La prima, la seconda e la terza persona singolari, diventano infine una prima plurale:
Allora noi bambini
si andava per canneti
a fare capanne improvvisate e cerbottane

In un passato che deve ancora arrivare sono dunque i bambini, sotto lo sguardo paterno di Parmenide, a giocare e forse a crescere come saggi e poeti, oppure semplicemente come cittadini consapevoli della giustizia e della sua necessaria pratica. Insieme alla liquirizia suggono una radice che ha il sapore amaro e dolce della libertà.
Paolo Gera

7 Commenti

  1. Di Pietro è un autore interessante e raffinato, ha una solida formazione (non solo poetica) e porta avanti da molti anni un discorso in-attuale e coerente. A mio avviso, è uno dei pochi buoni poeti contemporanei degni di attenzione.

    • Condivido. Lo studio di Paolo Gera è davvero interessante anche perché adotta un punto di osservazione originale rispetto ad altri interventi. Grazie.

  2. Io le segnalerei di approfondire i miei studi, unici in Italia, di Law and Literature su Parmenide. La derivazione è l’interpretazione Mondolfo/Capizzi

    • Segnalazione più che opportuna.
      Grazie e mi riprometto di aprire il discorso appena mi sarò documentato.
      Grazie anche per l’attenzione.

  3. Condivido. Lo studio di Paolo Gera è davvero interessante anche perché adotta un punto di osservazione originale rispetto ad altri interventi. Grazie.

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Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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