Articolo precedente
Articolo successivo

La lingua caduta del dire (a margine della scrittura)

di Mariasole Ariot

Affacciata all’interno di un mondo in forma di cassa toracica, vago alla ricerca della lingua spezzata, un taglio netto che segna l’impossibilità dell’essere: la congiura, dunque, arriva con la caduta della voce. Non avere più memoria se non della memoria stessa, e in questo crollo di una capacità umana e forse inumana di ricordare il sasso, la pietra, l’uscita spaventata dell’utero, la voce che dà origine alla struttura di un corpo viene a mancare.

La bocca si spalanca come un sesso dopo le doglie, ma il nascituro non è altro che placenta, il chirurgo lo estrae, getta l’involucro vischioso nel pattume, e con il contenuto vuoto, scompare anche il contenitore di ciò che non è mai stato contenuto.
Se ciò che ora non è non è mai stato, frutto solo di una gestazione immaginata, così alla bocca, metafora della vita, non resta che serrarsi e dimenticare sé stessa. Ma è davvero possibile la dimenticanza? Può l’assenza di memoria coincidere con la dimenticanza? Poter dimenticare presuppone un oggetto del ricordo, l’assenza lo nega a principio. Quindi no, nessuna coincidenza.

La scrittura diventa quindi impossibile: se è l’arto della lingua, e la lingua non accade se non in forma di sacco amniotico senza essere all’interno, non c’è parola che abbia la portata di un agito – e di un vagito.

Per un momento l’occhio cade sul gatto che fissa con insistenza un muro bianco. Capire allora la differenza tra ciò che è guardato e il guardante, tra osservatore e osservato, e apprendere da quell’insistenza la dissoluzione della differenza tra i due termini. Come un volto umano che fissa uno specchio fino alla sua decomposizione: dove l’altro che guarda è al contempo ciò che è guardato.

In realtà, una sostanziale differenza: se l’animale, come termine, fissa l’immobile, come altro termine , e non è più dato riconoscere quale dei due stia contemplando l’altro, di fronte allo specchio non accade fusione ma frammentazione, distanza siderale tra la me che guarda e la me guardata dalla me che guarda.

Così la voce cade. Dire: non è più mia, dire: non riconosco. Una conoscenza mai appresa, piuttosto uno stato onirico che non comprende coscienza e consapevolezza. Scivolare fuori o essere scivolati dal fuori dall’esistenza (trasformando l’avverbio in un verbo transitivo) fa del mondo un luogo ameno, silenzioso e perturbante.

L’ape si posa sul fiore e lo smembra. L’immagine poetica diventa allora un prosastico atto osceno: necessaria una distanza per vedere il miracoloso, se la distanza si annulla, cadiamo nei pistilli divorati. È possibile succhiare anche coi denti.

Di nuovo torno nella sala operatoria dell’esistenza. Perdersi senza smarrirsi, senza quel vago oscillare della mente che per un istante prolungato crea per nutrimento: ciò che nel prima è entrato con ferocia, dopo un travaglio di sedimento, si liquefa nello smarrimento, e poi, nel secondo atto, produce e dà voce alla voce.
Cosa accade invece se non si dà più quello stato semi onirico ma solo perdita?

Apri la bocca, spingi fuori la lingua, taglia la lingua. Non una ferita aperta ma già suturata e satura: la lingua, si sa, si rimargina velocemente, ma non nella sua forma originaria.
La possibilità dell’incontro attraverso il bacio di due ferite, come due organi di senso (due dotti uditivi, due narici, due orifizi), comporta un’apertura.

Il cadere della voce (del linguaggio particolare, al soggettivo), è allora quanto di più destrutturante possa accadere ad un essere umano. Non il detto coincide con l’essere, ma il dire. E neppure il dire, piuttosto la grana di quel dire.

Non poter allora più scrivere perché la scrittura mi è morta: nessun nascondiglio, nessuna sepoltura, una cremazione naturale, una pozza che evapora e non si riproduce in nube – e dunque nessuna pioggia. Una forma di fotosintesi senza che la pianta possa servirsene: fase luce-indipendente (nel buio) in assenza di fase luce-dipendente (nel luminoso).

Altrove il borbottio del mondo, qualche risata, un pianto, un giorno di festa, un suono, lo sfregarsi dei corpi, la calura estiva, il sudore sulle mani, un funerale.

Ma cosa comporta un funerale se il rito è già avvenuto prima della morte del morto?

2 Commenti

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

John Berger: uno scrittore al suo specchio

di Martina Panzavolta
La traduzione mostra al Berger scrittore che esiste una creatura lingua, assicurandogli di riflesso che ciò che ha sempre tentato di fermare sulla pagina è una sensazione viva, che ha valore. Un’esperienza preverbale che un’intelligenza artificiale non potrà mai cogliere.

Le sale operatorie di esistenza

di Mariasole Ariot
Le nubi che non sanno i temporali ci crollano dall'alto, di gambe spalancate per un bimbo già morto solo morto già nel prima di arrivare a compimento

Pelle su pelle

di Federica Rigliani
Io sono come sono perché lui era come era. Con la testa di pietra difendo l’anarchia che mi ha trasmesso. Forse, anche per questo sono sola.

I pezzi mancanti I-XV

di Marco Balducci
non rinunciare, saldarsi alle linee in mo- vimento, alle luci delle gallerie che scor-rono in serie veloci, alle voci che tornano in mente.

In risposta a “Riaprite i manicomi”

di Mariasole Ariot
Diminuisce la parola a favore di una contenzione farmacologica, avvicinandosi a strutture manicomiali di vecchia memoria: quelle che Langone vorrebbe riaprire.

Semi di Cetriolo

di Maria Teresa Rovitto
Un mio amico ha dato i semi a un suo conoscente; quello a volte si avvicina al varco. Sarà lui a consegnarli a un palestinese che vive a al- Husayn e rifornisce la diaspora.
mariasole ariot
mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot ha pubblicato Essendo il dentro un fuori infinito, Elegia, opera vincitrice del Premio Montano 2021 sezione opera inedita (Anterem Edizioni, 2021), Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), poesie e prose in antologie italiane e straniere. Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato a esposizioni collettive.  Aree di interesse: letteratura, sociologia, arti visuali, psicologia, filosofia. Per la saggistica prediligo l'originalità di pensiero e l'ideazione. In prosa e in poesia, forme di scrittura sperimentali e di ricerca. Cerco di rispondere a tutti, ma non sempre la risposta può essere garantita.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: