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La “Storia della notte” di Borges

J.L. Borges, Caricatura di Kyriakos Mauridis -> kyriakosmauridis.gr

Quest’anno per Adelphi è uscito Storia della notte di Borges, a cura di Francesco Fava, con testo a fronte. Ne pubblico alcuni testi, ringraziando l’editore e felicitando il curatore [o.t.]

__

UN LIBRO

Niente più che una cosa tra le cose
però anche un’arma. Forgiata nell’anno
1604, in Inghilterra,
è stata caricata con un sogno.
Racchiude suono e furia e notte e porpora.
La soppeso sul palmo. Chi direbbe
che contenga l’inferno: le barbute
streghe che sono le parche, i pugnali
esecutori di leggi dell’ombra,
l’aria leggera che avvolge il castello
che ti vedrà morire, la leggera
mano che sa coprir di sangue i mari,
la spada e le alte grida di battaglia.

Quel silenzioso strepito ora dorme
entro lo spazio di uno dei volumi
del placido scaffale. Dorme e attende.

L’INCISIONE

Perché, mentre la chiave apre la porta,
torna ai miei occhi con stupore antico
l’incisione di un tartaro che infilza
dal suo cavallo un lupo della steppa?
La belva si contorce eternamente.
Il tartaro la guarda. La memoria
mi offre questa tavola di un libro
il cui colore e la cui lingua ignoro.
Saranno anni ormai che non la vedo.
A volte la memoria mi spaventa.
Le sue concave grotte e i suoi palazzi
(disse Agostino) accolgono di tutto.
L’inferno e il cielo in lei trovano posto.
Del primo ne racchiude a sufficienza
il più comune e tenue dei tuoi giorni
e un incubo qualsiasi della notte;
per l’altro, c’è l’amore di chi ama,
la freschezza dell’acqua nella gola
della sete, il pensiero e il suo esercizio,
il nitore dell’ebano invariabile
o – luna e ombra – l’oro di Virgilio.

L’INNAMORATO

Avori, lune, marchingegni, rose,
le lampade e la linea di Albrecht Dürer,
le nove cifre e il mutevole zero.
Farò finta che queste cose esistano.
Fingerò che ci furono in passato
Roma e Persepoli e che una sottile
sabbia segnò i destini di fortezze
che i secoli di ferro hanno disfatto.
Fingerò armi, fingerò la pira
dell’epopea e i mari che gravosi
erodono i pilastri della terra.
Fingerò che altri esistano. È menzogna.
Tu solamente, sei. Tu, mia sventura
e mia ventura, tu incessante e pura.

LE CAUSE

I crepuscoli e le generazioni.
I giorni senza il giorno del principio.
La freschezza dell’acqua nella gola
di Adamo. L’ordinato Paradiso.
L’occhio che indaga e scruta nella tenebra.
I lupi che si accoppiano nell’alba.
La parola. L’esametro. Lo specchio.
La Torre di Babele e la superbia.
La luna contemplata dai Caldei.
Le sabbie innumerevoli del Gange.
Chuang Tzu e la farfalla che lo sogna.
Le tre mele dorate del giardino.
I passi dell’errante labirinto.
La tela senza fine di Penelope.
Il tempo circolare degli stoici.
La moneta che il morto ha nella bocca.
Sulla bilancia il peso della spada.
Nella clessidra ogni singola goccia.
Le aquile imperiali e le legioni.
Cesare la mattina di Farsaglia.
L’ombra delle tre croci sulla terra.
L’algebra e la scacchiera del persiano.
Le tracce delle lunghe migrazioni.
La conquista di regni con la spada.
La bussola incessante. Il mare aperto.
L’eco dell’orologio nel ricordo.
Il re decapitato dalla scure.
La polvere di secoli di eserciti.
La voce d’usignolo in Danimarca.
La scrupolosa riga del calligrafo.
Il volto del suicida nello specchio.
La giocata del baro. L’oro avido.
Le forme delle nubi nel deserto.
Ogni arabesco del caleidoscopio.
Ogni rimorso pianto in ogni lacrima.
Sono servite tutte queste cose
perché le nostre mani si incontrassero.

EPILOGO

Un evento qualunque – un’osservazione, un incontro, una separazione, uno di quei curiosi arabeschi di cui il caso si compiace – può suscitare l’emozione estetica. Il destino del poeta è proiettare quell’emozione, che è stata intima, in una favola o in una cadenza. La materia di cui dispone, il linguaggio, è, come afferma Stevenson, assurdamente inadeguata. Che cosa farsene, delle parole logore – gli idola fori di Francis Bacon – e di alcuni artifici retorici contenuti nei manuali? A prima vista nulla o molto poco. Eppure, è sufficiente una pagina dello stesso Stevenson o una riga di Seneca per dimostrare che l’impresa non sempre è impossibile. Per eludere la controversia, ho scelto esempi trapassati; lascio al lettore il vasto passatempo di ricercare altre felicità, forse più immediate.
Un volume di versi altro non è che una successione di esercizi di magia. Il modesto incantatore fa quel che può con i suoi modesti mezzi. Una connotazione mal riuscita, un accento sbagliato, una sfumatura, possono rompere l’incantesimo. Whitehead ha denunciato la fallacia del dizionario perfetto: supporre che per ogni cosa ci sia una parola. Lavoriamo a tentoni. L’universo è fluido e mutevole; il linguaggio, rigido.
Fra tutti i libri che ho pubblicato, questo è il più intimo. Abbonda in riferimenti libreschi, come pure vi abbondò Montaigne, l’inventore dell’intimità. Si può dire lo stesso di Robert Burton, la cui inesauribile Anatomy of Melancholy – una delle opere più personali della letteratura – è una sorta di centone, inconcepibile senza lunghi scaffali. Come alcune città, come alcune persone, una parte estremamente grata del mio destino sono stati i libri. Mi sarà permesso ripetere che la biblioteca di mio padre è stata l’evento capitale della mia vita? La verità è che non ne sono mai uscito, come Alonso Quijano non uscì mai dalla sua.
Buenos Aires, 7 ottobre 1977
J.L.B.

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Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
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