Una cantada
Pubblichiamo l’introduzione di Una Cantada (Catartica ed., 2025), firmata da David Eloy Rodríguez e José María Gómez Valero, autori del volume insieme ad Alberto Masala e Lorenzo Mari. Una Cantada nasce come dialogo tra le forme della poesia e della musica popolare dell’Andalusia, della Sardegna e dell’Emilia-Romagna che – evitando una riproposizione puramente conservativa della tradizione o una velleitaria “andata al popolo” – ne evidenzi il portato critico e politico.
I
Quando la poesia accade, esclamiamo: Ecco, è vero.
Quando la poesia accade, diciamo: Ecco quello che volevo dire, ma non sapevo come.
La poesia popolare ci invita a raccontare e a cantare la verità. Non la verità individuale, bensì quella di tutti, di chiunque.
La poesia popolare è quella in cui il popolo parla di più e meglio. Parla usando la lingua comune, usando cioè la lingua che esprime quel che di popolo rimane sotto la superficie delle individualità, riesce a mostrare le menzogne della realtà. È dire affinché si capisca bene, affinché tutti lo sappiano.
La poesia popolare, ricca di precisione e di sintesi, di eloquenza e di eleganza, è la testimonianza di un rendersi conto di qualcosa di rilevante, di una tensione, di un’epifania. La poesia popolare rispecchia con bellezza, profondità e grazia qualcosa che bisognava dire. Un nominare che organizza il caos, che rivela ciò che è occulto o è stato messo a tacere, per stabilire modelli etici e sentimentali. Le migliori parole della tribù, insubordinazioni rispetto al dettato della quotidianità e della norma, alle sue miserie.
Al giorno d’oggi la cultura popolare sta sparendo. Sottovalutata o cancellata, messa sotto controllo o caduta in disuso, corre il rischio di una scomparsa totale. Che lo permettessimo, sarebbe una tragedia.
II
La poesia popolare è disprezzata dalle élite (culturali, economiche, politiche). La ignorano oppure la considerano qualcosa di minore, di antico, invecchiato e rozzo, di dozzinale, qualcosa che viene dal volgo. Ritengono che non abbia alcun valore, che chiunque possa riuscirci, trattandosi di un volgare intrattenimento tipico delle persone ignoranti.
Tuttavia, è stata proprio la poesia popolare a inventare la poesia colta. La poesia colta si configura sempre come uno sviluppo di ciò che la poesia popolare ha reso possibile.
Le élite temono l’autonomia senza controllo delle parole, per questo pensano che sia meglio metterla a tacere, banalizzarla, cooptarla oppure vampirizzarla.
La poesia popolare trova il modo di additare il potere e chi lo detiene, la poesia popolare è coraggiosa: può, vuole e sa disobbedire.
Celebrazione di comunità. Resistenza. Ragione comune.
Parole che bruciano, che brillano, che danzano.
Un dire che è, allo stesso tempo, un fare.
III
La versificazione, il metro, la rima, gli schemi che impongono limiti e struttura alle strofe, non sono da intendersi come dei corsetti, bensì come aperture e offerte, come macchine di libertà. L’automatismo libera e crea dei canali affinché emerga l’imprevisto.
Lasciarsi dire dalla lingua. L’inconscio scorre al compás, a ritmo. Scrivere come si parla, guidati dal ritmo.
Un non saper sapendo, scriveva Giovanni della Croce.
Brevità, semplicità, condensazione, densità.
IV
La poesia popolare unisce ciò che è lontano, provoca riconoscimenti, genera fraternità.
Il poeta, traduttore e critico letterario Lorenzo Mari ci ha proposto di partecipare ad un progetto condiviso, in dialogo con la poesia di Alberto Masala. La loro proposta era molto stimolante: esplorare la poesia popolare delle nostre rispettive tradizioni, stabilire un dialogo poetico e a partire da lì, per vedere cosa sarebbe successo. Ognuno avrebbe operato a partire dalla propria lingua, ritmo e accento, e l’idea era quella di generare e articolare relazioni e corrispondenze. Di cosa avremmo scritto, cosa avremmo raccontato, quale mappa si sarebbe delineata grazie a quei collegamenti? Il presente libro è la risposta a queste domande, che è arrivata fino alla mescolanza completa e all’ibridazione delle forme metriche flamencas e della lingua sarda nella poesia di Alberto Masala.
V
Chi scrive lavora dal 2012 alla stesura congiunta di letras flamencas, testi per il flamenco, per vari artisti e spettacoli. Nel nostro recente libro La herida abierta (Libros de la Herida, 2023) abbiamo riunito una selezione significativa di questa nostra dedizione alla poesia lirica popolare in andaluso. Anche per quest’avventura, quindi, abbiamo scelto di creare e poi fare una cernita delle nostre letras flamencas.
Flamenco: dalle radici lontanamente orientali, gitane, andaluse e castigliane, ma anche arabe, ebraiche, afro-cubane…
Flamenco: voce delle classi subalterne, degli oppressi, degli emarginati. Dolore e protesta. Urla e rabbia. Disperazione e desiderio, sogni e ubriachezza. Risate e amore. Canzoni della terra e del lavoro, delle feste e della morte. Esperienze radicali e commoventi.
In questo nostro contributo si possono trovare composizioni per diversi palos, stili di flamenco: la soleá, la seguiriya, il fandango o la mariana (uno stile che viene eseguito molto poco, per il quale i nuovi testi sono molto rari). Abbiamo ritenuto inoltre che anche altre letras, inizialmente non corrispondenti ad alcun palo, fossero adatte per questo lavoro: la scelta di forma e stile è lasciata alla discrezione dell’interprete.
Volevamo che le poesie avessero un filo narrativo e che questo fosse un campanello d’allarme contro la repressione della cultura popolare, contro il suo degrado, oblio e invisibilità, contro la sua falsificazione, commercializzazione e manipolazione.
VI
Perché scrivere poesia popolare nel ventunesimo secolo?
Scriviamo poesia popolare nel ventunesimo secolo perché i nostri antenati lo hanno reso possibile. I nostri antenati, fratelli, che tanto ci hanno lasciato: grazie a loro oggi siamo qui e siamo quello che siamo. Bisogna ascoltarli attentamente, perché hanno sempre cose nuove da dire sul loro immortale passato. Persone dalla grande immaginazione, umili e altruiste, analfabete, detentrici di un sapere plurale e vastissimo, che hanno inventato questa forma appassionante di espressione, i suoi stili creativi, i codici linguistici, gli strumenti, le risorse, i ritmi…
Scriviamo poesia popolare nel ventunesimo secolo per la straordinaria eredità che ci è stata lasciata dalle generazioni che ci hanno preceduto: la vitalità delle loro parole e delle loro vicissitudini, la loro musica verbale, i loro gesti, i loro rituali. Un patrimonio ricchissimo dal punto di vista estetico, storico e antropologico. Un tesoro che non si esaurisce mai, che rinasce ad ogni aggiornamento. Parole scritte nel tempo, un presente permanente, sempre emozionante, sempre stimolante.
Abbiamo molto da imparare da quelle persone, così simile a noi. No, non siamo superiori a loro per il fatto di essere venuti più tardi, di vivere nella nostra contemporaneità, di avere più informazioni o tecnologie. Il gioco è stato inventato da loro e ce lo hanno donato per sempre. Crediamo, per queste ragioni, di doverci avvicinare a questo gioco con rispetto e senza pregiudizi, e studiarlo con ammirazione e gratitudine.
Chi scrive poesia popolare nel ventunesimo secolo deve misurarsi con i testi che ci sono giunti dal passato. Versi sopravvissuti, figli della memoria, salvati, fondamentalmente, dal loro valore d’uso. Testi tramandati da generazione a generazione, propagati da cuore a cuore, costantemente rivisti e rielaborati con sottili varianti per adattarli al contesto e migliorarli. Quei versi della poesia popolare, anonima, tradizionale erano e sono incarnati, fatti corpo, fatti canto. Chiunque scriva poesia popolare nel ventunesimo secolo ha il dovere di cercare di essere all’altezza di queste meraviglie. Non soltanto: ha il dovere di contribuire con qualcosa di utile a quel patrimonio culturale. La sfida, ovviamente, non è facile.
Se infatti esiste già un repertorio di tale trascendenza e vigore, perché è necessario scrivere nuovi versi?
Qui avanzeremo due argomenti:
Perché non tutto è stato detto, perché questo è il nostro qui e ora ed è necessario raccontarlo.
Perché una tradizione popolare che non si aggiorna si impoverisce, diventa impotente e infine muore.
VII
C’è tanto rumore, nel mondo, che impedisce l’ascolto. I linguaggi e le forme dell’impostura e del simulacro sono ovunque. Formulazioni amministrative che sanno solo ripetere ciò che è già stato detto, obbediscono a quanto prescritto. Veli e ancora veli per allontanarci dal reale, per costringerci ad accettare la realtà che il potere impone: la realtà del denaro e del consumo, della virtualità e della separazione, delle diseguaglianze e delle ingiustizie, della sottomissione all’assenza di prospettive di trasformazione.
Però ci sono crepe, fessure, modi per respirare anche in una situazione di asfissia. La poesia popolare, la voce del popolo che dice no, che sanguina dalla ferita, è una di queste.
(da Una Cantada)
[…]
Piero mondino di chi sei ricordo –
ciste nella pelle, ciste nel canto –
Piero mondino io non ho ricordo –
ciste in poesia: grande è lo schianto
SOLEÁ
Siempre la misma justicia,
es lo que tiene el juzgado,
que aunque vayas por derecho
siempre acabas sentenciado.
* * *
Yo no obedezco las reglas
que impusieron los canallas.
Que no juego al mismo juego
de quien baraja las cartas.
* * *
Ya no sé qué puedo hacer.
Que pongo en orden las cosas
y se vuelven del revés.
* * *
Que yo no sé adónde voy,
tampoco de dónde vengo,
igual que el aire no sabe
qué nombres tienen los vientos.
* * *
Paso mi vida cantando,
usando de mi libertad,
que la verdad sobrevive
a quien la quiere enterrar.
* *
Que de par en par se abran
las puertas de un mundo nuevo
y lo que haya de venir
nos caliente con su fuego.
* * *
Que por no pensar en la condena
la condena no se me quita,
y pensando en la libertad
me voy pasando la vida.
SOLEÁ
Sempre la stessa giustizia,
è quella del tribunale,
che anche se vai per diritto
finisci sempre condannato.
* * *
Io non seguo le regole
che hanno imposto le canaglie.
Non gioco allo stesso gioco
di chi mischia le carte.
* * *
Non so più cosa fare.
Io sistemo le cose
e queste si capovolgono.
* * *
Che si spalanchino
le porte di un mondo nuovo
e ciò che verrà
ci riscaldi col suo fuoco.
* * *
Non pensando alla condanna
la condanna non mi è tolta,
e pensando alla libertà
mi trascorro la vita.
SOLEÁ
Non bogo a fora dultzura
si toccat de poetare
pelèas bastante e faìnas
e istratzos de tappulare.
* *
A puntu malu bennìdos
comente nos an’ sestadu
andhamus ke frastimados
in logu k’est bisestradu.
* * *
Ki so ladinu mi narant.
Ma pro cumpàrrer pìus jaru
sa matraca non leo.
* * *
Unu cue, un’inoghe
e unu cuddhane, semus
tottúe disamparados.
Gai nos isperdent sos bentos.
* * *
Ordinzant infamidades
semper a cara franca.
De canes male fadados
amus leadu s’andhanta.
* * *
Nois arestes risulanos
a los retzíre ajòe
sos umìlïos de deris
sunu sos bantos de oe.
* * *
Si pesamus cambas milindrosas
Cambas ki no’ apent béttu,
In ballos de conkilizeros
pro no lis ponner prenettu.
SOLEÁ
Non tiro fuori dolcezza
se devo fare poesia
abbastanza lotte e impegni
e stracci da rammendare.
* * *
Non siamo a buon punto
come ci hanno ridotti
procediamo come maledetti
in una terra straziata.
* * *
Dicono che io sia trasparente.
Ma per apparire più chiaro
non prendo la ‘matraca’.
* * *
Uno lì, uno qui
e uno laggiù, siamo
indifesi dappertutto.
Così ci disperdono i venti.
* * *
Progettano infamità
Sempre con la faccia tosta.
Di poveri cani randagi
abbiamo preso il passo.
* * *
Noi selvaggi sorridenti
Andiamo a riceverli
Le umiliazioni di ieri
Sono il vanto di oggi.
* * *
Se intoniamo rime leziose
Rime che non abbiano slancio,
In balli per teste leggère
è per non metter loro angustie.
David Eloy Rodríguez (Cáceres, 1976) e José María Gómez Valero (Sevilla, 1976) sono scrittori, editori, agitatori culturali e artisti performativi. A Siviglia hanno fondato il collettivo di artisti La Palabra Itinerante e la casa editrice Libros de la Herida. Sono stati tradotti in italiano all’interno dell’antologia Canto e demolizione. Otto poeti spagnoli contemporanei (Thauma, 2013); più recentemente, Marino Magliani ha tradotto Le possibilità di David Eloy Rodríguez (Arkadia, 2025).
Tra le loro passioni c’è la scrittura di letras flamencas a quattro mani.
