La terra di Scajola dove scorrazzano i clan

di Giuseppe Conte

Due elicotteri e 200 carabinieri in azione prima dell’alba, sul cielo e per le strade di Ventimiglia. È un dispiegamento di forze che fa pensare a una azione di guerra. E di guerra ormai si tratta. La’ndrangheta: vi ricordate la smorfia tutta ligure di fastidio con cui Sandro Pertini pronunciava questo termine?
C’era in quella smorfia la riprovazione e l’orrore che dovevano essere riservati a un fenomeno paragonabile a un cancro nell’organismo di una società.
Che smorfia comparirebbe oggi sul volto di Pertini sapendo che l’estremo Ponente della sua Liguria è in mano alle cosche calabresi, che dai tavoli di un ristorante di Marina San Giuseppe, il lungomare di Ventimiglia, un anziano signore di nome Peppino Marcianò tesseva le fila della politica, dell’amministrazione, dell’economia di una ricca fetta della regione, e distribuiva consigli, raccomandazioni, avvertimenti, appalti, secondo il più collaudato stile mafioso?
Quello che preconizzò un magistrato coraggioso come Anna Canepa si è avverato: Ventimiglia è diventata come Gioia Tauro.
E Vallecrosia e Bordighera non sono da meno. Avevo dalle colonne di questo giornale lanciato un grido d’allarme quando i consigli comunali di Ventimiglia e Bordighera furono sciolti per infiltrazioni mafiose.
Invitavo a ribellarsi, perché, al di là dell’aspetto giudiziario della vicenda, c’erano tutti i segni di un degrado etico, culturale e soprattutto politico contro cui bisognava agire. Oggi lo scenario è ancora più vischioso, si sono aperte voragini ancora più profonde, il fango sta schizzando dappertutto.
Due ex sindaci, di Ventimiglia e Bordighera, vengono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa, il sindaco in carica di Vallecrosia per voto di scambio. Indagato è anche un ex city manager, espressione pomposa, a un filo dal ridicolo, per chi, secondo le indagini, ha dedicato la sua indubbia intraprendenza a far aggiudicare il grosso degli appalti a ditte di proprietà delle cosche. Non finisce lì: un ex vigile urbano è accusato di fare da cinghia di trasmissione tra cosche e municipio. E dalle intercettazioni si evince che Marcianò era in contatto con un ispettore di polizia, con un finanziere: e che il vecchio boss tirava in ballo con calcolata disinvoltura un generale e un giudice genovese cui doveva passare 10 mila euro per avere un trattamento di favore. È una ragnatela di crimini e sospetti che soffocherebbe qualunque società.
Com’è potuto accadere? Avevo ed ho una sola risposta: la’ndrangheta ha trovato terreno fertile nell’estremo Ponente soprattutto perché qui si è verificato ancor più che altrove un pericolosissimo vuoto morale e politico.
L’onnipotente leader di Imperia, quello che non fa muovere foglia senza che lui voglia, quello che poteva far nominare sindaco del capoluogo,non dimentichiamolo, anche Paperina, quello che oggi dice agli avversari interni (quasi tutti uomini inventati o cooptati da lui) di conoscere i loro peccatucci grazie ai suoi contatti con i servizi segreti, voglio dire Claudio Scajola, si è sempre distinto nel sostenere a muso duro che la mafia qui non c’è.
Punto e basta. Se in queste terre la politica è lui, queste terre sono state abbandonate e indifese.
Se la politica è diventata affarismo, speculazione, favoritismo, arroganza, era quasi naturale che la ’ndrangheta ci si infilasse comodamente. Spesso i mafiosi sono, “purtroppo”, come aggiungeva Leonardo Sciascia, più intelligenti degli altri. Stupisce allora scoprire che il vecchio Peppino Marcianò aveva in mano sindaci, amministratori, imprenditori? Il blitz che ha portato al suo arresto viene chiamato “la svolta”. Ma se una svolta vera deve esserci, il repulisti deve essere completo.
I nodi ambigui tagliati. La politica deve ritrovare con energie nuovissime il suo primato morale e ideale.

(questo pezzo è apparso sul “Secolo XIX” del 06.12.2012)

1 commento

  1. Ringrazio Sartori e naturalmente Giuseppe Conte. La Liguria è una specie di soffitta, le cose si fanno e restano lì, e allora resta prigioniero anche ciò che si dice, una specie di cassa acustica perfetta, all’interno si sente benissimo, come in una di quelle piazzette davanti alla chiesa, o nei carruggi, le vallate strette. E fuori nulla, della provincia sonnolenta non traspare nulla, un sistema fognario a più livelli, ci passi addosso o di fianco, ci passi sull’autostrada, e non ti accorgi di nulla. Eppure c’è gente come Giuseppe Conte che di queste cose ne parla da anni. E io lo ringrazio, anche per aver parlato di natura negli anni Settanta e per aver scritto lettere in difesa dell’operaio e poesie e articoli per denunciare il pus e farne i nomi. E mentre lo ringrazio e gli dico che lo stimo penso ai quattro o quattrodici pagliacci dell’arroganza culturale che da anni tenta di non lasciarlo parlare.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Faccio vestiti con le foglie

di Tito Pioli
La conoscono tutti a Parma la chiamano SiviaSfoglia lavora come spazzina nel giardino pubblico di Parma guarda sempre in basso tutti i giorni perché raccoglie le foglie secche in basso c’è la vita dice a tutti

Una passeggiata artica

di Flavio Stroppini
Il bianco è accecante, i raggi del sole riverberano ovunque. Non ci sono ombre. Il buio è un sipario nero quando non si vedono le stelle

La consapevolezza del suolo nella rappresentazione del paesaggio

di Costanza Calzolari
Il paesaggio come oggetto autonomo nell'arte diventa evidente nell'età ellenistica e romana. La natura tuttavia non è descritta mai nel suo aspetto realistico, mentre la presenza dell'uomo è una costante sia fisicamente che come conseguenza delle sue attività

Lingue matrigne

di Gabriele Di Luca
Ciò che in generale manca agli italiani è la conoscenza delle varietà medie e basse del tedesco.

Una repulsione per l’origine. Storia e critica di un’eredità in Bärfuss

di Alice Pisu
Con Il cartone di mio padre (trad. Margherita Carbonaro, L’orma), Lukas Bärfuss porta avanti un’indagine sulla demitizzazione dell’esistenza attraverso la solennità della morte iniziata con uno studio storico, filosofico e letterario sul suicidio in Koala.

Vita di Durruti

di Pasquale Vitagliano
Chi ha ucciso Buonaventura Durruti, il capo delle colonne catalane, il più coraggioso e amato dei comandanti della resistenza al franchismo?
giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: