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La versione di Eva

(Dopo un periodo durato anni di studio e scrittura, finalmente, dal 3 maggio, è in libreria La versione di Eva di Iaia Caputo. Siamo felicissimi di pubblicare qui un estratto, ringraziando editore e autrice per il regalo. G.B.)

di Iaia Caputo

Torno al momento in cui ha inizio la tragedia. La notte è scesa, come un avvoltoio rimasto a lungo in agguato. Adesso è la quinta livida di un palcoscenico sul quale la protagonista è rimasta sola.

Vi dico quel che continuo a dirvi da cinque anni: che preferisco essere Evita prima che la moglie del Presidente. E se Evita può alleviare anche un solo dolore della Patria, allora dico che preferisco continuare a essere Evita.

Le ultime parole non le sente nessuno. Sono coperte da un boato. È un “no” inferocito. Che incattivisce queste facce cotte dal sole, rivela bocche precocemente sdentate, una donna si porta entrambe le mani al viso, vecchi militanti piangono come bambini e nell’angolo più vicino al palco un gruppo di anziane cade in ginocchio a pregare. Lassù, in alto, si sta facendo politica, si sopporta con un ghigno sorridente che la massa esaurisca l’energia della protesta, che la gente si disperda per tornarsene a casa, vinta dalla stanchezza, dalla fame, dal freddo, insomma da tutte quelle ragioni che alla fine, con le buone o con le cattive, rimettono al proprio posto il popolo e i suoi eccessi: dell’odio come dell’amore, della protesta come della partecipazione.

Lo spettacolo doveva essere un altro. A lei non resta che improvvisare. Perché il pubblico non vuole saperne di abbandonare il teatro. È stanco di applaudire la grandiosità della scenografia, gratificare i comprimari, urlare approvazione per i passaggi migliori. Non ha nessuna intenzione di lasciarla andare. Ecco perché le sue ultime parole inquietano.

Sanno, oscuramente sanno, che se Evita non accetta uscirà di scena. Per sempre. Ed ecco che si ribella.

«Sciopero generale», «Sciopero generale», «Sciopero generale», «Sciopero generale».

Il popolo, il suo popolo ha colto l’inganno? L’inganno nel quale per prima è caduta lei, Evita? O sta osando ribellarsi all’inedito rifiuto della Madre? Perché mai fino a quel momento aveva ricevuto un “no”. Sempre ha ottenuto quel che ha chiesto.

Compagni, compagni… Io non rinuncio al mio posto nella lotta, sto solo rinunciando agli onori. Credete che se il posto di vicepresidente fosse utile alla nostra causa, se io fossi una soluzione, non avrei risposto sì?

Quell’immensa folla convocata per applaudire, per manifestare consenso e approvazione, si è trasformata in un gigante fremente, in un corpo dotato di volontà propria, e si sta ribellando con tutta la forza di cui si sente improvvisamente capace. Ha smesso di chiedere. Pretende. Che Evita accetti.

Eva Perón oggi verrebbe considerata una leader populista: un personaggio pre-politico, o post-politico. I suoi detrattori, che all’epoca non usavano queste definizioni, la consideravano una donna le cui passioni provenivano da un gorgo di risentimento. Che aveva fatto dei rancori personali il contenuto della sua politica.

E certamente lei professò la politica come passione. La passione come contenuto e forma della politica. Teatralizzando l’amore e l’odio. Facendo transitare l’odio (ben diverso dal rancore o dal risentimento) e l’amore da un piano privato a una dimensione pubblica. Aveva demonizzato chiunque fosse portatore di opposizione: gli oligarchi, i traditori, i comunisti, i radicali, quelli che chiamava senzapatria… e travolto d’amore gli altri.

Dunque, da populista anche lei si è nutrita di un rapporto diretto con le masse e ne ha sollecitato continuamente l’amore; però, a differenza degli uomini che l’hanno preceduta e seguita in questa ideologia, Eva ricambia fino all’ultimo dei suoi giorni questo sentimento e non lo delude mai.

Ma è esattamente questo il dramma che si sta consumando in quella tarda sera dell’agosto del 1951: l’amore è nudo, l’amore della donna che per il popolo assiepato da ore sotto il palco dell’incoronazione promessa è già la loro sovrana, si rivela privo di potere, mostra il proprio limite.

Il Generale le ha permesso tutto, ma non ufficializzerà mai ciò che è già. Evita pensava davvero di poter trascendere i limiti che lui aveva disegnato per il suo ruolo politico? Che errore fatale. Come negare che fosse la moglie a galvanizzare il movimento peronista, a garantire quella corrente emotiva tra sé e il popolo? Non lo negava affatto. Ma i ruoli erano stati, e avrebbero dovuto continuare a essere, ben distinti: a lui le redini dello Stato, e che lei continuasse ad annaffiare e a far crescere il sentimento del consenso, della devozione – questi erano i suoi bisogni. Insomma, che lo capisse una buona volta: se avesse ottenuto quella carica istituzionale, lui non sarebbe più riuscito a porre limiti al sindacato, del tutto asservito a Eva, e i movimenti femminili del partito, poi, non gli avrebbero dato tregua. E comunque il suo fanatismo è diventato ingestibile: i tempi sono cambiati, va bene galvanizzare le masse, ma ormai nei suoi discorsi aleggia lo spettro del marxismo, santa pace, si circonda di leader sindacali dalle chiare simpatie socialiste. Ma niente, non solo non mi ascolta, è arrivata a sfidarmi. Soltanto il mese scorso ha convocato alla Casa Rosada, e alle mie spalle, i governatori, impartendo loro ordini che soltanto io avrei potuto dare. No, cholita, questa volta sono costretto a fermarti.

Che Eva continui a essere la regina dei descamisados, se lo vuole, però non s’illuda di diventare la vicepresidente di tutti gli argentini. Può dilettarsi con la gloria, non avrà mai il governo.

Questo coglie la folla: il divieto. E ha l’esatta percezione del Potere senza Amore di Perón. Dell’amore improvvisamente impotente di Evita. La dea che aveva reso possibili gli altrui desideri deve arrendersi alla realtà.

Resta il corpo. Il corpo della sovrana. Materiale e mistico.

Immenso e minuscolo, allo stesso tempo.

 

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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