Le competenze umane

di Giorgio Mascitelli

Durante i mesi invernali la Camera dei deputati ha approvato all’unanimità una proposta di legge per l’introduzione sperimentale nella scuola secondaria italiana delle cosiddette competenze non cognitive, quali ‘l’amicalità, la coscienziosità, la stabilità emotiva e l’apertura mentale’ (art.1). Le competenze non cognitive sarebbero, per dirla in maniera semplice, quelle abilità relazionali e operative che devono essere sviluppate in vista di un’efficace formazione del capitale umano utile per il mondo del lavoro. Si tratta insomma di un’ulteriore attestazione della diffusione nella nostra legislazione scolastica di quell’aziendalismo neoliberista, a carico del quale sarebbe facile elencare tutta una serie di coraggiose innovazioni che hanno allietato la vita di studenti e docenti  in questi anni. Che le cose stiano così ce lo conferma il comma 2 dell’articolo 3, dove vengono specificate più nel concreto le abilità che si vogliono sviluppare come ‘ la flessibilità, la creatività, l’attitudine alla risoluzione dei problemi, la capacità di giudizio, la capacità di argomentazione e la capacità di interazione’, insomma mancano solo la resilienza e lo spirito imprenditoriale, e troveremmo citate tutte le paroline magiche, almeno quelle in italiano, con cui si accompagna solitamente questo genere di discorso.
Le competenze non cognitive sono la traduzione dei character skills che hanno avuto in Giorgio Vittadini ( un economista, già presidente della Compagnia delle Opere, nonché uno dei firmatari del documento di ideazione delle prove INVALSI) il loro mentore in Italia, ma che sono stati elaborati in qualche università americana da sociologi ed economisti in cerca di una formula ‘scientifica’ per la produzione di capitale umano adeguato. Per nostra fortuna, si può dire che provvedimenti di tal genere sono privi di qualsiasi ricaduta pedagogica perché si capisce che sono stati pensati e sviluppati in un ambiente che non ha nemmeno una vaga idea di cosa sia una comunità scolastica e su quali principi reali funzioni. Rientrerebbero dunque a pieno titolo nelle petizioni di principio ideologiche che costellano i nostri tempi, se non fosse che il loro formalismo finirà con lo svolgere una funzione,  tanto dissimulata quanto pericolosa, di indirizzo dell’attività di valutazione nella scuola tesa più al controllo che alla formazione culturale degli studenti.
La discussione su questo argomento potrebbe essere conclusa semplicemente con il far notare che quelle che la proposta di legge chiama competenze in effetti non lo sono. Sebbene si debba ammettere che intorno al termine competenze regni una certa confusione perché manca una definizione teorica rigorosa, anche secondo l’accezione corrente della parola, che indica quei saperi immediatamente applicativi, che esistono per così dire solo nell’atto e non nella teoria, aspetti della personalità come l’amicalità o la stabilità emotiva non sono competenze e pertanto non possono essere insegnati. Per esempio una competenza è suonare il pianoforte, attività che può essere insegnata in prevalenza attraverso la pratica, ma come si possa insegnare direttamente o indirettamente a essere coscienziosi è cosa molto ardua da immaginare: si può imporre attraverso un sistema di regole rigide e un po’ pavloviane di rispettare determinate consegne ( lo faceva ossessivamente la scuola tradizionale), ma questo non corrisponde all’essere coscienziosi. La coscienziosità e l’apertura mentale sono modi d’essere, da un lato profondamente dipendenti dalla storia personale di ciascuno e dall’altro sviluppati nell’interazione con l’ambiente: definirli come competenze significa prenderli in considerazione indebitamente solo in quanto performance utili all’attività lavorativa; definirli come competenze non cognitive è un controsenso in quanto le competenze sono cognitive o non sono tali. L’ossimoro illustra bene la contraddizione logica: infatti se anche esercitarmi al pianoforte un paio di ore al giorno non farà di me Pollini, sicuramente mi renderà capace di suonare qualcosa in maniera amatoriale; invece, per quanto mi eserciti alla cordialità e alla gentilezza d’animo, non potrò mai essere una persona cordiale e gentile d’animo, se non si crea una particolare costellazione interiore e sociale che mi spinga a nutrire questo genere di sentimenti, come può testimoniare chiunque abbia frequentato ambienti altoborghesi in cui, a dispetto di una perfetta conoscenza delle regole dell’educazione e dell’etichetta, non è raro che regni una freddezza assoluta, mentre talvolta si incontrano tali modi di essere in contesti popolari, meno impeccabili sul piano formale ma più spontanei su quello relazionale.
Questa proposta di legge, in definitiva, rientra in una classica logica del pensiero borghese, che pretende di isolare e definire funzionalisticamente determinati aspetti della vita trasformandoli in astrazioni misurabili, che sono al servizio di quella astrazione generale che è il concetto di lavoro nella nostra società. Nella scuola italiana questa legge difficilmente otterrà i risultati che si prefigge perché ciò a cui mira è impossibile da ottenere con i metodi della normativa scolastica, ma contribuirà a una deriva autoritaria perché presuppone di mettere sotto l’attenzione formalizzata dell’istituzione scolastica quegli aspetti sottili del comportamento umano, che in una scuola democratica debbono essere lasciati fuori da qualsiasi tipo di normazione, fosse anche la più liberale possibile, in quanto vanno a toccare la sfera della vita psicologica immediata, pena il rischio di renderli, di fatto, oggetto di una  biopolitica. Insomma se si è cercato ( non da parte di tutti, non sempre con successo) di trasformare la scuola un luogo abitabile, dove gli studenti potessero almeno in parte esprimersi e apprendere un metodo critico, ma questo sforzo non va confuso con il mettere le qualità umane dei nostri ragazzi al servizio di un indottrinamento aziendalistico.
Questa tendenza autoritaria, a differenza di quelle del passato tipiche delle scuole fasciste o di quelle religiose, è tanto più subdola in quanto non si manifesta che sporadicamente in un plateale controllo dei contenuti, rivelandosi più spesso tramite il loro svuotamento e l’introduzione, in loro vece, di una serie di procedure che incidono nella vita di studenti e docenti condizionando il loro comportamento. Purtroppo il dibattito pubblico non aiuta a orientare il non addetto ai lavori perché sulla stampa, quando ci si occupa di scuola, godono di ampio spazio le posizioni di esponenti neoliberisti, spesso legati alla fondazione Agnelli, che di questa tendenza sono sostenitori e in parte promotori, mentre quando si dà spazio a critici di tale tendenza, di solito si mettono in primo piano le posizioni di chi ha nostalgia della selezione scolastica dei tempi passati come panacea dei mali presenti, in una sorta di vintage kitsch e magari consolatorio per alcuni insegnanti, ma totalmente inutile alla comprensione del significato politico ed educativo delle riforme di questi anni. Ma se quest’ultimo tipo di posizioni è facilmente leggibile e demistificabile, la prima ama nascondersi dietro un linguaggio progressista e talvolta sessantottino che camuffa la sua sostanziale natura classista e reazionaria. Da questo punto di vista è  indicativo che qualche giornale, nel dare notizia dell’approvazione alla camera di tale proposta, si sia spinto ad annunciare che si tratta di una legge per introdurre il pensiero critico nella scuola. Ora l’unanimità del voto a un testo, che nella sua brevità contiene un numero impressionante di affermazioni ideologiche, mi sembra una testimonianza eloquente dello spirito critico che ispirava i nostri legislatori quando si occupavano di istradare sulle impervie vie del pensiero critico le generazioni future.

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Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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