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Il concorsone definitivo

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di Andrea Inglese

Sì, ero presente all’Hotel Ergife di Roma, nei giorni 2 e 5 dicembre. Ho partecipato anch’io alle prove di lingua, che dovrebbero valutare la mia competenza del francese, e in seguito a ciò l’accesso eventuale ad un’ambita graduatoria, che potrebbe darmi la possibilità, un giorno, di insegnare in un liceo all’estero, per nove anni, e con un stipendio doppio di quello usuale. Tutti questi condizionali non mi hanno impedito di inscrivermi al concorso indetto dal Ministero degli Affari Esteri e di accettare la mattanza economica del viaggio in aereo, con il volo di ritorno spostato all’ultimo momento, con esborso di sopratassa, quando ho saputo dei ritardi spettacolari, dei tumulti e delle prove annullate. Come me, d’altra parte, hanno fatto 36999 colleghi, venuti da tutta Italia, e alcuni con proporzionata spesa di trasporto, vitto e alloggio. Il calendario del concorso è stato infatti pensato per nuocere il più possibile alle tasche dei concorrenti non romani e per favorire, almeno nell’arco di un fine settimana, l’economia turistica della capitale. Invece di concentrare le varie prove relative a una stessa lingua in una sola giornata, sono state distribuite su più giorni, in modo da garantire ai concorrenti una permanenza prolungata in città.

Il mago dell’Esselunga e il laboratorio della produzione

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di Marco Rovelli

Quando vai a fare la spesa all’Esselunga ti danno un film in regalo. Grazie, dici. Poi, se hai la sventura di guardarlo, ritiri il ringraziamento. E’ un penoso lungo spot, girato da Giuseppe Tornatore, che vorrebbe mettere in scena la meraviglia di un ragazzino nel supermercato, la sua scoperta di mirabolanti mondi dietro le merci. Lo spettacolo della merce, insomma, celebrato tra gli scaffali di padron Caprotti. Allora non ti resta che andare agli scaffali della tua libreria, tirar giù un Marx d’annata, e accettare il suo invito a seguire il possessore di denaro e di forza-lavoro nel “segreto laboratorio della produzione”, dove si vedrà “non solo come produce il capitale, ma anche come lo si produce”. E arrivi a Pioltello. Ai capannoni dei magazzini dell’Esselunga. Dove scopri chi quelle merci le smista, tutto il giorno. Sono tutti immigrati, delle più varie nazionalità, dal Sudamerica all’Asia, dall’Africa all’Europa dell’est.

Pino Pinelli, quarantadue anni fa

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di Antonio Sparzani

Giuseppe Pinelli, nato a Milano il 21 ottobre 1928 fu durante la Resistenza, data la giovane età, staffetta nelle Brigate Bruzzi Malatesta, e fu poi ferroviere, e animatore del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa. Pressantemente interrogato in merito alla bomba che esplose alla Banca dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969, cadde da una finestra del quarto piano della questura di Milano il 15 dicembre 1969, quarantadue anni fa, e arrivò in ospedale già morto. Era trattenuto in questura illegalmente, dato che erano passati più di due giorni dalla strage. Il questore di Milano era Marcello Guida, il responsabile dell’ufficio politico della questura era Antonino Allegra e il commissario interrogante era Luigi Calabresi.

L’inganno della crescita

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[pubblico questo discorso di Luca Mercalli sul problema della crescita, perché mi pare dica e spieghi con una certa chiarezza cose che abitualmente non si sentono molto dire, a.s.]

Vu’ cumprà

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di Gianni Biondillo

Non chiedetemi di entrare nella mente dell’assassino. Ci penseranno i criminologi da strapazzo a sbizzarrirsi negli show televisivi. Parleranno di follia, di impulso criminale, analizzeranno la triste storia personale del sicario suicida. Qualcuno spruzzerà di sociologismo il tutto: la crisi, l’incertezza del futuro, la paura del diverso. Altri si dissoceranno dalle sue frequentazioni neonaziste: non basta essere simpatizzanti di Casa Pound per trasformarsi in un delirante giustiziere della notte. Giustificazioni d’accatto, buone per tutte le stagioni.
La televisione nazionale, che ha colonizzato il nostro immaginario di questi ultimi decenni, richiede spiegazioni semplici, facili da applicare nel mondo reale. Tipo quelle dei bravi cittadini torinesi che hanno trovato ovvio organizzare un pogrom in un campo rom alla notizia (falsa) di uno stupro ai danni di una minorenne. Le nostre donne le difendiamo noi. “Nostre”, come se ci appartenessero. Che poi lo stupro fosse una menzogna della ragazzina per difendersi da due genitori oppressivi cambia poco. Non era vero, è stato detto, ma non ne possiamo più dei nomadi. Curioso sillogismo. Cioè: non è che siamo razzisti, è loro che sono zingari! In pratica: non siamo interessati alla responsabilità personale, sono cose da democrazia matura. A noi interessa avere un capro espiatorio, là quando occorre.

à Ma main: alcune note su Blaise Cendrars

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di
Francesco Forlani

alla mia amica Gabriella

Portare in giro Patrioska è stato per me l’occasione di incontro con delle realtà artistiche presenti sul territorio assai straordinarie. Non so quanti conoscano il lavoro che svolgono i ragazzi del Teatro Civico 14 a Caserta, del Circolo Pavese di Bologna, Beppe Mecconi al Castello di Lerici o Diego Nuzzo al Penguin Café di Napoli e Pasquale e Nicoletta alla Locanda Atlantide di Roma. Scene indipendenti in cui, per una sera, protagonista fu la main coupée di Blaise Cendrars. Perché nello spettacolo uno dei tre atti era dedicato a un episodio raccontato da Blaise Cendrars in Bourlinguer e che narra l’amicizia del poeta con Amedeo Modigliani. Ieri, in un incontro con i ragazzi di un istituto professionale di Aosta, dove tra gli altri ho utilizzato alcuni materiali di Nazione Indiana a cura di Orsola Puecher, sono partito proprio da qui, da questo racconto.
Per chi non volesse rileggerselo, ma sarebbe un peccato, Blaise Cendrars racconta di una sbronza consumata lungo la Senna insieme all’amico italiano. Provocato dalle lavandaie di un bateau-lavoir che è giusto di fronte, Modì tenta di raggiungere la prescelta, “la più brutta”, per darle un bacio sulla bocca in cambio di una bottiglia. Il tentativo di camminare sulle acque evidentemente fallisce e il nostro, non sapendo nuotare, cola rovinosamente a picco rischiando di annegare. A salvarlo, ovvero a dargli una mano, è proprio Cendrars, che però nel momento cruciale realizza la propria condizione di ” manchot de la main droite “, mano perduta in guerra.

“Quando lo afferrai per i capelli, mi trovai impacciato non avendo che un solo braccio. Un vigoroso colpo di talloni mi fece risalire in superficie, e il padrone del lavatoio, che era saltato su una barchetta ci ripescò.” Scrive Cendrars.
Il momento secondo me più emozionante di questo racconto che peraltro ci informa del fatto che Modì odiasse essere chiamato per nome, Amedeo, è quando il poeta descrive l’amico ormai salvo e disteso al suo fianco.

“Modigliani nudo come una mano e bello come un San Sebastiano, vuotava la bottiglia che non aveva mollato e parlava già di come ritentare l’impresa.”

“Nudo come una mano” capite? (Intanto si associano in mente due distinte fotografie di Man Ray, di due mani che sembrano dialogare fra loro)

Leggendo e rileggendo due straordinarie Memoires di Blaise Cendrars, Bourlinguer (1948) e Le lotissement du ciel (1949), entrambi non tradotti, a mia conoscenza, in italiano, mi sono imbattuto in un “je ne sais quoi” che mi ha aperto, tutto ad un tratto un vero e proprio mondo fino ad allora su un secondo piano ma che a mio parere meritava di essere esplorato, riportato in superficie.
Del secondo colpiscono le note ad un ignoto lettore, (pour le lecteur inconnu) che ritroveremo anche in Bourlinguer, in cui si sente la profonda consapevolezza di uno scrittore pre-postumo, una consapevolezza quasi divertita che gli farà scrivere proprio dopo la pubblicazione di questo libro dal titolo a dir poco fantastico, “La lottizzazione del cielo”:

” Le lotissement du ciel est le livre qui a fait taire la critique. Pas un seul grand ténor n’a donné. Ce n’est pas un mince résultat.” (un libro che ha zittito la critica)

In Bourlinguer, quel che ha attirato la mia attenzione è stato invece il “segno” che Blaise Cendrars lascia in due casi, accanto alla dedica riportata in esergo di ogni capitolo. La formula riporta la dicitura : ma main amie au deporté de Lipari (Malaparte), avec ma main amie (Henry Miller).
Di quale mano parla? Della destra, coupée-coupable, ovvero della mano colpevole che in guerra serviva a premere il grilletto della mitragliatrice, a lanciare granate, spesso vittima proprio del fuoco amico, dell’esplosione dell’arma, della macchina, al momento dell’esplosione o di quell’altra che rendeva incerta la scrittura, della mano sinistra che suppliva la mancanza?

Grazie a una studiosa di Cendrars, Viviana Gregotti incontrata proprio ad Aosta ho potuto vedere la cartolina che la vedova del poeta le aveva regalato durante una sua visita a Lausanne, in cui è riprodotto il ritratto di Cendrars realizzato da un amico pittore. Il poeta è sdraiato sul letto, quasi seduto e sulla sua destra, appoggiato sulla coperta c’è un libro. Rispetto a molte fotografie in cui quasi non si vede il vuoto lasciato dal braccio amputato all’altezza del gomito a causa delle ferite di guerra, nel ritratto quel vuoto è quasi in primo piano, è tangibile. E quel vuoto è in grado di reggere un libro, sfogliarlo, afferrarlo, altrimenti non si capirebbe perché si trovasse proprio lì, ovvero nel posto più scomodo rispetto all’unico braccio, all’unica mano in grado di farne qualcosa. E il pensiero questa volta corre all’Hidalgo, a Cervantes, che aveva subito lo stesso destino.

Sono andato così a riprendermi un libro che per i miei quarantanni, Gabriella, della libreria francofona Voyelles di Torino, mi aveva regalato. Una bellissima edizione Buchet-Castel, delle fotografie di Doisneau consacrate a Cendrars. La prima cosa che salta agli occhi è una lettera che il poeta invia all’amico e che si conclude con il rituale saluto, ma main amie, Blaise Cendrars.

Riguardando le foto, che all’epoca in cui viviamo avrebbero certamente suscitato uno scandalo visto che nella maggior parte di esse, compresa quella in copertina, il nostro ha una sigaretta fra le labbra, mi sono imbattuto su un testo tratto da “la mano mozza” e che mi ha lasciato senza parole. In appena due pagine stabiliva un lien, una connessione a dir poco illuminante.

« Mais le cri le plus affreux que l’on puisse entendre et qui n’a pas besoin de s’armer d’une machine pour vous percer le cœur, c’est l’appel tout nu d’un petit enfant au berceau : « Maman ! Maman ! » que poussent les hommes blessés à mort (…) et ce petit cri instinctif qui sort du plus profond de la chair angoissée et que l’on guette pour voir s’il va encore une dernière fois se renouveler est si épouvantable à entendre que l’on tire des feux de salve sur cette voix pour la faire taire (…) par pitié…par rage…par désespoir…par impuissance…par dégoût…par amour, ô ma maman ! ».

Le urla più insostenibili, spaventose, terribili, ci dice Cendrars, erano quelle dei feriti a morte che gridavano “Mamma, mamma!” che paragona a quelle dei piccoli nelle culle. Grida a cui i soldati nelle trincee, scrive, tendevano l’orecchio per vedere se si fossero ripetute ancora, per un’ultima volta e così spaventose che si sparava su quelle voci per farle zittire.

Allora ô ma maman, ma main, mano mia, ci verrebbe da aggiungere.
Così potremmo parlare del secondo capitolo di Bourlinguer, intitolato Naples, in cui Cendrars si definisce napoletano d’occasione e dove si racconta come all’età di quattro anni avesse pianificato con la complicità di un mozzo di bordo, napoletano, Domenico, il proprio rapimento per fuggire a New York. E quasi ci crede fino a quando il marinaio non lo consegna, alla fine della traversata proprio a colei da cui voleva fuggire, sua madre. Ma questa è un’altra storia. Blaise Cendrars a New York ci ritornerà giovanissimo per scrivere uno dei suoi più straordinari poemi, Les Pâques à New York , di cui Orsola vi darà notizia su Nazione indiana.

Favole nere

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di Helena Janeczek

(una proposta alla Città di Torino)

Racconta favole nere per difendere il suo amore – quelle sentite da bambina, quando a metterle paura e farla obbedire c’erano gli zingari. Le viene istintivo scaricare addosso a loro la terribile disobbedienza della sua prima scelta adulta. Ha sedici anni, età in cui in altre nazioni europee è normale andare in vacanza con il ragazzo, persino uscir di casa e convivere. Qui invece essere giovani significa essere subalterni. Se sei femmina, lo sei due volte. Tre, se di famiglia povera. Peggio sono messi solo i rom e gli islamici, quelli non integrabili, perché non è nel nome di Gesù e Maria che, nel loro caso, la famiglia deve vigilare sulle figlie.

Tunisia 2011: la Rivolta del Gelsomino

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La situazione in Tunisia si è evoluta, poco più di un mese fa si sono tenute le prime elezioni libere. Quintadicopertina ha quindi deciso di aggiornare l’ebook “70 KM dall’Italia, Tunisia 2011: la rivolta del Gelsomino”, uscito poco dopo la fuga di Ben Ali, con gli avvenimenti intercorsi da Febbraio a oggi per continuare le riflessioni intraprese quasi un anno fa.

Grazie a un conciso ma puntuale quadro storico di riferimento (a cura di Medhi Tekaya, storico contemporaneo), unito alle testimonianze dirette e ai contenuti originali ripresi da Global Voices Online community internazionale che informa tramite i citizen media, l’e-book offre quel contesto necessario a favorire la comprensione di un periodo storico tutt’altro che semplice.

12 dicembre

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UNA BATTAGLIA CULTURALE

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di Franco Buffoni


In un post del 23 luglio scorso intitolato “IRC e Omofobia” (dove IRC sta per Insegnamento della Religione Cattolica) raccontavo di una studentessa diciassettenne di Ravenna che aveva preso posizione contro la sua insegnante di religione. Una volta saputo che la studentessa era lesbica, la docente aveva parlato in classe dell’omosessualità come di “una malattia”.

IRC E OMOFOBIA


Poiché nel thread al post apparve chiaro che alcuni commentatori non sanno cogliere la portata della battaglia culturale in corso in Italia tra la visione antropologica vaticana (e dunque abramitica) e quella della modernità (e dunque europea: es. art. 13 Trattato di Amsterdam), riporto qui la conclusione della vicenda, che per una volta fa onore alle autorità scolastiche italiane.
Nei giorni scorsi è stata infatti resa nota la decisione dell’ufficio scolastico regionale dell’Emilia-Romagna, dopo un’ispezione che ha comportato l’audizione di quaranta persone, fra studenti e genitori.

l’amica geniale

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di Luca Alvino

Nella produzione narrativa di Elena Ferrante non è infrequente che si spalanchino subitanei abissi nella solida consistenza della materia. Tali voragini improvvise evidenziano nell’universo referenziale della sua scrittura una sfaldatura corporea che mette in crisi le certezze legate alla rassicurante compattezza della forma e palesa inquietanti scenari di confusione nel tessuto più profondo dell’individualità. Si tratta di una sorta di «catafania», ovvero di discesa nei recessi insondabili dello stato solido dell’universo volta al disvelamento della sua agghiacciante insensatezza al di fuori di una mente pensante, capace di incardinarne le casuali conformazioni in rigide coordinate di senso. I suoi lettori più affezionati ricorderanno, ne L’amore molesto, la liquida consistenza umorale di Delia, che impediva alla donna di vivere una sessualità normale, disciplinata da una riconoscibilità fisica dei corpi che ne rendesse possibile una mescolanza; oppure, ne I giorni dell’abbandono, l’incapacità di Olga di distinguere – nel momento della sua massima confusione – tra l’impalpabilità delle parole solamente pensate o dette e la ruvida consistenza dei fatti reali; o, ne La figlia oscura, la simbologia dei frutti troppo maturi, l’ambiguità della cicala che cela al di sotto di un esoscheletro chitinoso la consistenza molliccia del ventre, l’immagine suggestiva della manna della corteccia. La cosa più inquietante è che tali sfaldamenti non sembrano legati a fattori contingenti – di tipo storico o socio-economico – che pure si percepiscono sullo sfondo dei suoi libri. Essi riguardano la dimensione assolutamente imprescindibile della materia stessa, che da accidente diviene sostanza, e che con il suo subitaneo sgretolamento appare minacciare la stessa trascendenza dell’Essere.

Costruire mondi comuni. Crisi finanziaria e democrazia

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di Andrea Inglese

Consensus versus canea

C’era una volta la brutta bestia del “pensiero unico”, del “Washington consensus”, oggi c’è la canea. Gli esperti sono usciti dai ranghi e la loro proverbiale discrezione è venuta meno: da mesi, calcano le scene mediatiche, mandano messaggi febbrili e definitivi, sulle prime pagine dei giornali, incluse le sacre colonne degli editoriali. Non c’è giorno che un quotidiano europeo non ospiti i consigli di qualche addetto ai lavori economici e finanziari.

Il cittadino ordinario, sprovvisto di cattedra in economia, finisce con il concludere che i decisori e i loro consulenti sono nel pieno disorientamento strategico. Da qui, l’esigenza di andare a vedere che cosa sta succedendo. Ma oltre alla certezza che i monotoni giorni del pensiero unico sono andati e che probabilmente di più terribili se ne preparano, è alquanto difficile mettere a fuoco l’argomento in questione, e non solo per via dei pronostici contrastanti. Il problema è: a chi stanno parlando gli esperti? Sono convocati giornalmente dalla stampa generalista, ma l’impressione è che essi parlino ancora di una crisi privata. Continuano, con il loro gergo tra l’oracolare e il tecnico, a considerare la crisi cosa loro, anche se ormai ne parlano in pubblico, a noi, ai profani.

NUOVI INQUADERNATI 7.

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VINCENZO FRUNGILLO

La fine di Lucrezio

“Sed ne mens ipsa necessum
intestinum habeat cunctis in rebus agendis
et devicta quasi cogatur ferre patique,
id facit exiguum clinamen principiorum
nec regione loci certa nec tempore certo”.

Finire non è uscire dalla vita,
ma è restare per sempre
nella sua scena madre,
è un difetto della vista,
che non si sceglie, si subisce,
e vede solo chi sa guardare
la nostra ferita mortale.

La pausa al crollo verticale
piega ogni scoperta ad una luce esterna:
la ragnatela dietro la porta,
il ragno ipnotizzato dalla preda,
rispondono ad una sola regola:

Baci Scagliati Altrove

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di DaniMat
Sandro Veronesi, Baci Scagliati Altrove, pagine 184, Fandango.

“All’età di undici anni, Mete barattò un pallone di cuoio regolamentare, nuovo di zecca e completo di ago, con la carabina Flobert di un compagno di scuola”– questo inizio, folgorante, apre il racconto La furia dell’agnello, settimo dei 14 messi insieme nella raccolta Baci Scagliati Altrove appena edita da Fandango. Un inizio folgorante che ho riconosciuto subito: apriva La tartaruga, racconto selezionato tra i molti di autori vari che composero nel 1990 il primo numero, dedicato al tema La Paura, della rivista Panta, ideata e fondata, con Elisabetta Sgarbi, da Pier Vittorio Tondelli che la diresse per i primi quattro numeri prima di morire di AIDS. Un racconto che ha conservato la sua semplice potenza e ora in quel titolo, allo stesso tempo simbolico e ossimorico, trova la sigla ideale, centrata, buona a fare il paio immediato con quell’incipit che, contro ogni previsione, ci introduce subito a una stranezza: un ragazzino, geloso possessore di un vero pallone di cuoio, rinuncia ad esso in un attimo, risucchiato nella promessa di eccezionale, inappellabile ferocia agitata da un fucile.
Proprio questo è il punto. Anzi, due.

UN DIALOGO AGLI INFERI

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di Franco Buffoni

“Dopo una conversazione con Gabriele Pedullà”, racconta Valerio Magrelli nella nota conclusiva al suo ultimo libro in prosa, IL SESSANTOTTO REALIZZATO DA MEDIASET, pubblicato da Einaudi, “ho organizzato i materiali del presente volume ispirandomi all’opera di Maurice Joly, Dialogue aux Enfers entre Machiavel et Montesquieu, ou la politique de Machiavel au XIX siècle, par un contemporain”.
In sostanza ci si presenta un dialogo, ambientato ai nostri giorni, tra due personaggi – Machiavelli e il Tenerissimo – in cui l’autore impersona palesemente un Machiavelli disgustato dal presente, mentre il Tenerissimo cerca in ogni modo di parare i colpi, di attenuarne la portata. Così facendo, tuttavia, finisce quasi sempre col dare ragione agli sfoghi di Machiavelli, provocandone ulteriori furori. E spesso “Magrechiavel” invade il campo anche del Tenerissimo, fondendo le domande con le risposte in un implacabile disegno di sdegno, che sin dalle prime pagine non può non accattivare il lettore.
Come si evince dal titolo, motore primo di tanto sdegno è l’uomo che in Italia è riuscito a rendere impronunciabile il termine “liberale”, già di gobettiana memoria. Soltanto chi guardasse a questo libro superficialmente, tuttavia, potrebbe ritenerlo ormai “superato”. Perché se è vero che “il Menzogna” non detiene più formalmente la presidenza del consiglio in Italia (e proprio dalla settimana in cui è uscito il libro: hallelujah!) è altrettanto vero che non sono state affatto rimosse le cause che lo portarono e ri-portarono in quella posizione.

GAY RIGHTS ARE HUMAN RIGHTS

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Il Ministro degli Esteri dell’Amministrazione Obama ha fatto un intervento di portata storica il 6 dicembre a Ginevra in occasione della giornata mondiale dei Diritti Umani: “I Diritti dei gay sono Diritti Umani”. Raiset ha censurato la notizia.


di Hillary Clinton
Nel 1947, i delegati di sei continenti si sono impegnati a stilare una dichiarazione che affermasse le libertà e i diritti fondamentali delle persone ovunque esse vivessero. Nel secondo dopoguerra, molte nazioni sostennero una dichiarazione di questo tipo per aiutare a prevenire future atrocità e proteggere l’umanità e la dignità insita in ogni persona. E così i delegati si misero al lavoro. Discussero, scrissero, rividero, riscrissero per migliaia di ore. Incorporarono suggerimenti e revisioni proposte da governi, organizzazioni, e individui di tutto il mondo.
Alle tre del mattino del 10 dicembre 1948, dopo circa due anni di lavoro e un’ultima notte di dibattito, il Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite mise in votazione il testo finale. 48 nazioni votarono a favore, 8 si astennero, nessuna votò contro: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani fu adottata. Essa proclamava una semplice e potente idea: tutti gli esseri umani sono nati liberi e uguali nella loro dignità e nei loro diritti.

l’amor tisico ai tempi di facebook [tracce 1/2]

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di Gaetano Fiumi

Io sono rimasto quel moccioso con le grinze in faccia che si stira il maglione in una mossa nevrotica e volge lo sguardo lontano. Sembra un duro. Non lo sarà. Purtroppo. Crescendo non è cresciuto, continua a guardare lontano, ma si potesse allargare la vista si noterebbe che non c’è nulla da quella parte. L’invecchiamento senza passaggio dall’età adulta lo ha reso creatura inutile. Un vero peccato. Vero? Aveva una faccia simpatica. Sembrava promettere meglio. Da troppe intemperie è stato funestato. Ho messo questa foto della mia infanzia nel mio profilo di Facebook, sperando di farti pietà, ma tu non hai commentato. Tanti hanno commentato, anche femmine pedofile, è una foto commovente. Tanti hanno espresso simpatia per l’operazione. Non tu. Lui è il moccioso originale, precedente ad ogni mutazione. È lui che hai ferito a morte, puttana, il mio nucleo centrale, la mia parte pulita e indifesa. Come hai potuto non aver alcuna pietà di lui? Proprio tu che mi dicevi Io non sono come te, sterile egoista, io con il Promesso Sposo avrò dei figli. Storpi, poco muscolati, mi auguro. E molto pelosi fin dalla tenera età.
A guardar meglio l’immagine il moccioso sembra sul punto di piangere. Forse una favola gli ha profetizzato della maledizione Baronale di Terronia. Fiabe nere. Dove nessuno visse felice e contento.
Nemmeno tu.

C’è la crisi, ma abbonatevi a “Murene”!!!!!!

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Cari abbonati e abbonate di Murene, e cari lettori e lettrici indiani,

Vorremmo raccontarvi che cosa ha significato, sino a oggi, per noi di Nazione Indiana una scommessa che si chiama “Murene”. Noi siamo soprattutto una realtà elettronica, informatica, virtuale, ma abbiamo voluto vagabondare anche nei luoghi fisici, nei locali e nelle librerie, nei castelli e nei circoli ARCI, abbiamo voluto incontrare altri autori, altri lettori, degli amici, dei curiosi, altri appassionati. La letteratura non è stata mai per noi un porto franco, al riparo dal caos epocale che stiamo attraversando, con le sue miserie in grande stile, le sue ottusità di gran formato. Per cui andiamo e veniamo da e verso la letteratura, che vuol poi dire da e verso la realtà.

Trova le differenze

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di Helena Janeczek

Grazie al pendolarismo, l’altro giorno sono riuscita a sbirciare le testate vicine al partito in grado di esercitare la pressione più forte sul governo. Salgo sul treno con sullo stomaco “Grazie ai nostri sacrifici, IL DIO SPREAD E’ SAZIO” de Il Giornale ostentato nell’edicola della stazione, ma resto incredula quando mi capita sotto il naso una copia abbandonata di Libero: GLI EVASORI RINGRAZIANO. Il titolo del giorno prima – GOVERNO CHE CHIAGNE E FOTTE – sembrava copiato dai commenti in rete con cui i contribuenti di sinistra e reddito medio-basso sintetizzavano la loro rabbia. Il rebus Trova le differenze si risolve un po’ meglio leggendo gli editoriali.

Importanza di un’opera

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Andrea Inglese

L’importanza di un’opera poetica contemporanea non dovrebbe basarsi sulla popolarità (numero di copie vendute e/o notorietà del nome d’autore, per festival, premi, interviste) né sulla leggibilità della sua opera (una poesia “finalmente” accessibile a un lettore qualsiasi). Un’opera poetica importante è un’opera che costringe coloro che le sono contemporanei a sospendere il loro rapporto ovvio e familiare con il linguaggio. Non pretendo che il genere poetico sia l’unica forma di scrittura letteraria in grado di fare questo, ma mi sembra che in ciò consista la sua caratteristica e l’eredità, quindi, che si assume chi perviene al genere e dentro vi lavori in modo sempre diverso. (Perché la lingua di cui si vuole sospendere l’uso non è la lingua di ieri, ma quella di oggi, dei parlanti, e bisogna agire attraverso di essa in una maniera che non ha precedenti.)

MANIFESTO LAICO

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di www.italialaica.it

Esiste anche un’altra Italia. E se ne deve tenere conto. L’Italia laica di chi crede che la convivenza civile si fondi sullo spirito critico di ciascun cittadino. 1) SÌ ALL’AUTONOMIA E AL PLURALISMO DELLO STATO 2) NO ALLE INGERENZE DELLE GERARCHIE ECCLESIASTICHE · 3) SÌ ALLA RIGENERAZIONE DELLA SCUOLA PUBBLICA 4) NO AL FINANZIAMENTO STATALE DIRETTO O INDIRETTO DELLE SCUOLE CONFESSIONALI · 5) SÌ ALLA LIBERTÀ D’INSEGNAMENTO 6) NO A TRUCCHI PER AGGIRARE IL DETTATO COSTITUZIONALE: “SENZA ONERI PER LO STATO” · 7) SÌ ALLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE DI TUTTE LE RELIGIONI 8) NO AI PRIVILEGI DELLA CHIESA CATTOLICA · 9) SÌ ALLA LIBERTÀ DELLE SCELTE MORALI E CULTURALI DI CIASCUN INDIVIDUO 10) NO A UNA LEGISLAZIONE CHE PROVOCA DISUGUAGLIANZA TRA I CITTADINI ······ Esiste anche un’altra Italia. E se ne deve tenere conto. L’Italia laica di chi crede che la convivenza civile si fondi sullo spirito critico di ciascun cittadino. Di chi condanna ogni integralismo ideologico o religioso.