di Giacomo Sartori
a Pauline De Margerie, editrice (in memoria)
Io sono nato senza un pezzetto, ma in fondo poteva andarmi ben peggio. A molti neonati mancano pezzi molto più grandi, o insomma i pezzi presenti funzionano da cani, sono già mezzo marci. A parte il pezzo mancante io stavo benone. Insomma benone, avevo sempre la febbre. Ma a parte la febbre alta, e il fatto che vomitavo in continuazione, tutto il resto era a posto. Del resto era logico che avessi la febbre e vomitassi, anche se erano tutti troppo presi dalle loro carsiche pastoie individuali per accorgersene. L’ho capito da solo una trentina d’anni dopo, leggendo un libro di psicologia dell’infanzia: quel tomo in una lingua straniera spiegava tutto. Ormai però era tardi per farmi passare la febbre, e i protagonisti principali erano defunti. Ma non è questo di cui volevo parlare: piangevo sempre, tuttavia la mia era un’infanzia felice. All’asilo vomitavo e piangevo, ma ero felice. Prima di rigettare avevo dei mal di testa strazianti, poi di solito liberandomi passavano (la febbre se ne era andata, non era più una questione di febbre). L’ospedale per i bambini della mia cittadina si chiamava “Ospedalino”, e io ero sempre all’Ospedalino: me lo ricordo alla perfezione, a cominciare dall’odore e dall’attaccaticcio della finta pelle delle sedie metalliche. Quando arrivavo mi salutavano e mi facevano le feste, perché ero un habitué. Mi incollavano gli elettrodi tra i capelli e scuotevano la testa, quasi volessero levarsi l’acqua dalle orecchie.












