NUOVI INQUADERNATI 6.

MARCO SIMONELLI

Pretty Picture

Si sciolsero i Soft Cell nel millenovecentottantaquattro
e questo è confermabile, lo dice wikipedia, è un fatto vero
come è vero che il synth-pop negli anni ‘80 contendeva
le vette d’ hit-parade ad internazionali megalomani melodici
ed è vero come è vera la tequila, il lemon soda, il tuo bicchiere
uno schermo di ghiaccio, di bottiglia da cui mi vedi a tratti
come dietro al vetro zigrinato di una doccia con qualcuno –
ed è vero come è vero che accendo una sigaretta dietro l’altra
solamente quando percepisco nell’ambiente un’insolita tensione.

Ed è vero come è vero che Marc Almond si chiede con Sex Dwarf
se non sia carino veramente, con zuccherini e poi con spezie varie
attirare un bambolotto, un tipo truzzo, un tizio danzereccio
in una vita scandalosamente piena di vizio abbacinato
come è vero che nell’ottantaquattro avevo solamente cinque anni
e davvero pensavo che da grande in una discoteca succedessero
le cose che un bambino non dovrebbe certamente mai vedere
ma ero un tipo attento e interessato, divoravo conoscenze
e inoltre ballare mi piaceva, soprattutto poi davanti ai grandi.

E questa non è altro che una prova schiacciante e non so bene
se per l’accusa oppure la difesa ma rimane comunque un fatto vero,
una foto sfocata che ti ritorna in mente come alla radio un ritornello –
e se adesso so con sicurezza ciò che si dice in giro degli uomini bassini
è solo perché anch’io sbiadendo m’ingiallisco e poi passo di moda
come Marc Almond che adesso canta le canzoni di Jacques Brel
e tuttavia rimane un fascinoso cinquantenne, e la tequila è lì
che mi separa da te, da qualcun altro, in una discoteca di vaniglia
dove conta solamente la presenza, qualunque cosa accada.

Leptocephalus brevirostris

Quando, venendo dal capoluogo sfrecci lungo la Firenze-Mare
lo vedi chiaramente azzurro nella valle dal cavalcavia;
dopo la galleria ti salta addosso al parabrezza
e per un attimo ci credi, che sia davvero il mare.
Sul lago, Puccini passò la sua vecchiaia.

Accadde quando ancora l’epoca rampante riscopriva
i piatti regionali con la degustazione d’un gourmet,
cibo povero di quando la famiglia non poteva
permettersi la carne ad ogni pasto.
Dice l’Artusi che i cuccioli d’anguilla
sono foglie d’oleandro trasparenti come il vetro:
la borsa spermatica del maschio è simile all’ovario della femmina
e migrano nei laghi per una metamorfosi.
Aspirano l’h anche quaggiù, le chiamano le ciehe.

Da giorni ne parlavano, gli adulti,
scambiandosi al telefono un codice segreto;
ce l’avrebbe fatta, dunque, il pesciaiolo – quel pirata –
a procurare l’illegale bottino d’ambizione
e poco male se quel fiero pasto costava allora
poco meno d’un milione: le anguille appena nate
sono prelibate.

Mio padre sul cancello coi contanti
aspettava il pusher pesciaiolo
con l’ansia d’un drogato in astinenza.
In un sacchetto d’acqua, brulicanti,
molli e trasparenti s’agitavano a migliaia – girini ancora vivi –
guidate da un interno istinto inutile oramai,
proprio come spermatiche creature che già sanno
dove andare per trasformarsi in altro.

Sul setaccio schizzarono frenetiche,
inquieti murenoidi all’oscuro della situazione.
Mia madre versò una goccia d’acqua
sull’enorme padella prestata da un’amica:
sfrigolando evaporò dopo un momento.

Sui crostini fatte pappa, nella pasta lunga come condimento
insieme a poca scorza dell’arancia e poi limone:
durante la cottura quell’agonia dell’olio caldo le tramuta,
sbiancandole le allunga e a colpo d’occhio non sapresti
distinguere le larve da un piatto di bavette.
Tranne forse per quegli occhi, minuscoli puntini
ad un’ estremità dello spaghetto, neri come
se la luce in un istante fosse implosa.

Non era pepe ma uno sguardo
che non implora più.

Spiaggia libera

Viale dei Tigli, la variante Aurelia srotola la strada: siamo nello sciame,
magliette, ciabatte, stampate fantasie multicolori, un fluorescente
succhiare di Calippo per la strada; domenica, c’è il sole, tutti quanti
quantificano all’aria la pelle nuda ancora da ustionare.

Passeremo svoltando la pineta, sicuri di trovarti ancora lì.
Il tuo tipo è uno che respira: una faccia da schiaffi, tatuato,
efebico oppure ipertricotico, lo strepitoso fascino
dell’ultracinquantenne in piena forma. E dopo le dune l’orizzonte.

Sei fissa in una fascia Gucci bianca intera, sei Liz Taylor,
la Circe più abbronzata e bionda tinta della costa.
Anna, minaccia ancora la nostra ingenuità. Hai quarant’anni.
Distesa sul tuo telo rosa fuxia circòndati di giovani,

più giovane tu di quella giovane che vinse l’anno scorso
lo sponsorizzato concorso di Miss Trans.
Stenderemo intorno al tuo gli asciugamani, riprenderai la storia
di un autunno che chirurgicamente tu non senti:

ricevi a casa adesso, eppure nei dintorni ci passi volentieri,
saluti le tue amiche, ci racconti di un’età lontana quando eri
a Livorno ragazzino e non ancora Towanda la Guerriera.
E poi siliconati impianti e mai avvenute evirazioni.

Quando dalla base americana sfrecciavano le reclute
i rangers, per te tutti marines: tutta salute all’epoca del dollaro!
Limpidi guanti: l’Aurelia a Migliarino, Marina di Vecchiano.
Avevi una roulotte. Passavi avanti a tutte per un salario serio.

Adesso puoi permetterti di scegliere: estrogeni, lunga transizione –
l’hai letto sul tuo corpo che l’uomo da solo si spaventa.
I tuoi contanti dentro al portafoglio proteggono il domani
dall’incerto precariato. L’hai sudato, questo apprendistato.

Gli uomini sono come dei gattini, non devi accarezzarli contropelo
si rischia il graffio, un taglio involontario e curati di te
e solo dopo curati di loro: passa i polpastrelli dietro al collo,
le loro fusa spasmi, un lamentarsi al caldo del sudore.

A mezzogiorno pranzi col ghiacciolo, dagli ambulanti compri
braccialetti di filo colorato, ad ogni nodo un desiderio:
gli amici, dimagrire, i conoscenti: pochi ma leali.
Verrai da noi a cena. Arriverai col sugo per la pasta.

All’una un’altra lucky strike, assisti alla sfilata:
abbronzàti si scrutano bagnandosi i piedi alla battigia,
l’incendio dei costumi. Sono mimmi
nei giorni di vacanza, non sai se in salvo o in saldo.

Da quando l’hai rivisto non fai che ripensarci.
Ricordi come pianse quando seppe; il suo corpo tremava,
scoraggiato ti disse che eri bella come una regina.
Si guardava peloso il ventre piatto. Gli estrogeni erano impossibili.

La resina s’appiccica sui corpi, è stato come un pianto.
Li vedi ritornare, riconsideri il sorriso, il pomeriggio
scroscia in chiacchiericcio, sei raggiante, la tua socialità
dimentica imprevisti e probabili armatori vedovi da poco.

L’amore equo e solidale lo impareremo dopo.
Diana cacciatrice: sei come Salomè con il battista,
l’esperienza ti ha insegnato a fischiare agli stalloni
come fossi un camionista.

Adesso ti slanci, una corsa di cerbiatto e spruzzi il mare
le onde che affronti in pieno petto ti spostano il costume,
mostri il seno e per pudore abbassiamo tutti gli occhi,
e tu ci guardi come quelli che restano all’asciutto.

MARCO SIMONELLI è nato nel 1979 a Firenze, dove vive. Lavora come traduttore. Ha pubblicato Memorie di un casamento ferroviere del ‘66 (Florence Art, 1998), Sesto Sebastian – Trittico per scampata peste (Lietocolle, 2004), Palinsesti (Zona, 2007) e Will – 24 sonetti (d’If, 2009). Per Black Sun Productions ha scritto i testi di Hotel Oriente (anarcocks.com, 2011)

Azzurra D’Agostino
Yari Bernasconi
Eleonora Pinzuti
Mariagiorgia Ulbar
Fabio Donalisio

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24 Commenti

  1. Seguo il lavoro di Marco da anni ormai. Diciamo da Palinsesti che avevo considerato un vero e proprio monumento degli anni 0 – come sintesi emotiva e sociale di chi negli anni 0 ci mette piede ancora in fase di sviluppo, di passaggio dalla adolescenza ad una maturità che tarda ad arrivare (per via della precarizzazione che, come si diceva tempo fa, rende tutti più “ciofani”). Ho letto Will – 24 Sonetti come un bambino incantato che guarda dei giocattoli in tv e dice “Lo voglio”. E adesso quest’ultima prova di Marco, un’altra prova che segna un taglio netto con le precedenti, e indica il risultato – approssimativo – di una “poetica sempre in fieri”. Strutture libere, assonanze e rime “a-funzionali” – come l’epoca del superfluo in cui siamo-stiamo crescendo – che si riducono all’osso ed una funzione la acquisiscono in forma “riduttiva”, appunto – “monumento” (termine poetese per eccellenza) che viene “ridotto” attraverso la rima con “condimento” (che mi ricorda il Dado Star che appariva in Palinsesti); strutture della tradizione – come il sonetto – che non appaiono come apparivano prima in linea con le tendenze di fine novecento cannibale e di stampo “lorussiano”.
    Restano i temi forti dell’immaginario “simonelliano”: la datazione “millenovecentottantaquattro”, gli anni 80 come fase di “imprinting” di quell’immaginario con i quali adesso dobbiamo fare i conti; il “regresso” all’infanzia in cui ci si è creati la coscienza televisiva; il sottofondo “pop” che in Palinsesti era predominante e che qui si evolve (“lo dice wikipedia”, “Sei fissa in una fascia Gucci bianca intera”); tematiche non tanto “neocrepuscolari” – per intenderci quelle poetiche che tanto a noia erano venute ad Anceschi (cfr. Le istituzioni della poesia) – ma, azzerderei, “Postcrepuscolari”, in cui il “fanciullino” è non solo “meravigliato” e il suo rapporto con gli adulti non è “paideia, educazione” ma “trauma” – “Da giorni ne parlavano, gli adulti”, “a Livorno ragazzino” che stanno in pendant con il bambino privato dell’orsacchiotto delle poesie precedenti “mi fanno paura gli adulti, i più alti, non sanno il valore dei nostri balocchi”.
    Insomma, Marco ci/mi sorprende ancora. Bene. Bravo. Bis.

    l.

  2. d’accordo con mazziotta direi – marco appuntito e qui sfinato, specie mi scolpisce pretty picture

  3. Luciano, grazie! Che bella analisi! Arrossisco, ma: quanto dici sul trauma (me ne accorgo adesso) corrisponde perfettamente. Grazie per questo contributo alla consapevolezza.
    Azzurra, grazie, contento ti siano piaciute!
    xxx
    M.

  4. Marchinoooooo ma mi potevi invitare a mangiare le ceeeee….anzi meglio di no che schifo! ah ah ah…tvb ci vediamo presto…ho il regalino di Natale da darti!

  5. Veramente impressionante. Trovo padronanza di lingua, immagini e plot. E’ difficile creare anticipazione in poesia ma tu ci riesci benissimo. Ti traduco in inglese prima o poi ( se non l’hanno gia’ fatto”)
    x Luca

  6. Bravo Marco, testi molto belli, immagini chiarissime e coinvolgenti…

    Dice l’Artusi che i cuccioli d’anguilla
    sono foglie d’oleandro trasparenti come il vetro:
    la borsa spermatica del maschio è simile all’ovario della femmina
    e migrano nei laghi per una metamorfosi.

    Questo passaggio è potente davvero. Il testo finale mi trova solidale nella scelta del tema. Molto toccante il finale.

    Adesso ti slanci, una corsa di cerbiatto e spruzzi il mare
    le onde che affronti in pieno petto ti spostano il costume,
    mostri il seno e per pudore abbassiamo tutti gli occhi,
    e tu ci guardi come quelli che restano all’asciutto.

    Il verso finale ricorda la chiusa famosa di Montale, poesia citata anche in strofe predenti.
    Ma ci sono molti punti che toccano. Ti leggerò con trasporto.
    Vincenzo

  7. @Laura: in genere quella poesia fa passare l’appetito!

    @Luca: molto volentieri! Grazie!

    @Eleonora: grazie! Mica mi verrà l’ansia da prestazione, ora? :-)

    @Vincenzo: sì, grande! In Spiaggia Libera l’idea di base era esattamente un’Esterina transessuale!

  8. Sui crostini fatte pappa, nella pasta lunga come condimento
    insieme a poca scorza dell’arancia e poi limone:
    durante la cottura quell’agonia dell’olio caldo le tramuta,
    sbiancandole le allunga e a colpo d’occhio non sapresti
    distinguere le larve da un piatto di bavette.
    Tranne forse per quegli occhi, minuscoli puntini
    ad un’ estremità dello spaghetto, neri come
    se la luce in un istante fosse implosa.

    Capolavoro!

    Bravo Marchino, c’è da brindare. Un abbraccio, a.

  9. letto d’un fiato
    ritmo incalzante
    immagini battenti, a piccole raffiche
    … si aspetta il seguito
    ciao

  10. “(…) Non era pepe ma uno sguardo
    che non implora più.(…)”
    La poetica dello scarto tra quel che sembra e quel che è.
    Grazie, Marco. Aspetto il resto.

  11. marco mi dà un piacere fisico che tu sia stato inquadernato. ti (vi) aspetto ad ancona per la presentazione del quaderno eh.
    l.

  12. mi piace la capacità di dilatare quasi indefinitamente il discorso (e il verso) senza abdicare l’inseguimento della poesia. una sorta di libertà conscia dei limiti (l’unica libertà possibile?). e mi piace, tanto, trovare i soft cell in un incipit. per quanto già sciolti.

  13. @andrea e mariagiorgia: grazie!

    @ luigi: felicissimo d’averti provocato piacere fisico! Oh yeah! Ci sentiamo prestissimo, promesso, parola di orsacchiotto!

    @ fabio: il sottofondo dovrebbe essere “Sex dwarf” con “isn’t it nice/ sugar and spice/ luring disco dollies to a life of vice”. Se ti capita cerca il video non censurato! :-)

  14. Denso e coinvolgente (come l’intera silloge, del resto, che ha una forza e una coesione impressionanti; eh sì, ho avuto il privilegio dell’anteprima!). Scusate poi se faccio l’eco di Vincenzo, ma il passaggio sui cuccioli d’anguilla dell’Artusi è strepitoso.

  15. Poesie che emanano il senso giocoso della creazione, della libertà espressiva, con le loro aperture e i loro controtempi; poesie caparbie, sonanti, in tempi <>.

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franco buffonihttp://www.francobuffoni.it/
Franco Buffoni ha pubblicato raccolte di poesia per Guanda, Mondadori e Donzelli. Per Mondadori ha tradotto Poeti romantici inglesi (2005). L’ultimo suo romanzo è Zamel (Marcos y Marcos 2009). Sito personale: www.francobuffoni.it
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