
di Chiara Valerio
Dopo la sciagura le parole duravano poco, venivano pronunciate solo per rimanere nell’aria, sparendo con il fiato senza lasciare traccia di sé. Nina dei lupi di Alessandro Bertante (Marsilio, 2011) è la storia di un abbandono. E come per tutti gli abbandoni, le ragioni sono nascoste, oscure, incomprensibili a tutti coloro che sono rimasti. Solo che l’abbandono di cui scrive Bertante è un addio all’umanità. In carne e ossa, perché il cielo improvvisamente s’è fatto indaco e lisergico e una peste incurabile e violenta è scesa sugli uomini e sulla loro progenie, e pure metaforica, perché è l’umanità, come sentimento di conoscenza e confronto, che ha disertato. Al centro di questa storia c’è un eroe, che come tutti gli eroi è solo, scazonte e fatica in sé stesso. L’eroe di Alessandro Bertante si chiama Nina, ha appena avuto le mestruazioni, è una sopravvissuta, vive in un paradiso nonostante, chiuso al resto della devastazione da una frana. Da bambini non si notano certi cambiamenti, quando si è piccoli il mondo è sempre fermo.











