
di Stefano Gallerani
Apparso sull’ultimo numero del «Caffè Illustrato», Dieci libri, per esempio è il tentativo di stilare un bilancio di questi primi anni zero di narrativa italiana attraverso la ricognizione di fenomeni, la redazione di genealogie e l’inclusione di giudizi, poiché «l’arte non è complesso di abitudini» ma esercizio «sui “valori” in atto». Delle ragioni più specifiche del lavoro è dato conto al suo interno. A mo’ di introibo – e una volta letta anche la discussione che ha seguìto la pubblicazione, sempre qui sulla Nazione, dell’introduzione di Vincenzo Ostuni alla raccolta di antologia poetica da lui curata per «l’Illuminista» (operazione che a questa mia è in certo qual modo sorella maggiore) – a mo’ di introibo, dicevo, valgano invece queste poche righe di Marguerite Yourcenar: «Non giudicare… Giudica; non smettere, instancabile coscienza, di valutare i tuoi atti, e pensieri, e gli altrui, con i tuoi strumenti ancora primitivi; usa al meglio la tua bilancia, troppo e troppo poco sensibile, perennemente sfasata, tarata alla buona dall’apporto di incessanti scrupoli. Giudica, per non essere giudicata il peggiore degli esseri, l’animo vile, disposto a tutto per ignavia, che rifiuta di giudicare». S.G.
Dieci anni, dieci libri. Ma potevano essere anche dieci libri per ogni anno. O un libro per ciascun anno. Oppure dieci scrittori. O, perché no?, dieci “casi”. Come sempre quando si fa questione di metodo, la convenzione la fa da padrona. È la voce del padrone, anzi. Dunque, inutile sfuggirle, tanto più che per un secolo che si presenta con tre zeri, i primi dieci anni sono qualcosa di più che un semplice lasso di tempo: rappresentano un giro di pista completo, una decade perfetta e il periodo necessario e sufficiente perché si assestino posizioni, s’adeguino situazioni e si stilino bilanci. Come il presente, primo di una triplice serie, che ha ad oggetto – della produzione letteraria italiana – il fenomeno più prosaico e controverso, ovvero la narrativa.