di Gianni Biondillo
Giunto da una Parigi gelida, l’aria umida e calda che mi investe uscito dall’aereo pare uno schiaffo che toglie il fiato. È notte all’aeroporto internazionale Hassan Djamous – guida dell’esercito durante la guerra libico-ciadiana e “casualmente” anche cugino dell’attuale presidente Idriss Déby – e il nostro è l’unico aeromobile presente sulla pista. D’altronde, come scoprirò in seguito, non esistono voli interni nel Ciad se non quelli umanitari organizzati dall’Onu, e quelli internazionali sono sporadici. Con la Libia, l’Etiopia, la Francia e poco altro ancora.
A piedi raggiungo l’edificio aeroportuale, dove un paio di trabiccoli ammazza zanzare dai neon viola sono completamente ricoperti di cadaveri di insetti a formare una lanugine che fodera le griglie. “Cominciamo bene” penso, vagamente ipocondriaco, conscio che i ceppi di malaria falcipara presente in Ciad sono i più tignosi e mortali e che della profilassi se ne fanno un baffo. Dentro all’edificio il caldo e l’umido non si mitigano, e neppure la presenza di insetti dalle fogge inimmaginabili; alcuni, zampettanti, sono di tale fattura e dimensione che paiono transgenici ai nostri occhi di europei che hanno della natura un’idea pacificata.














