di Rinaldo Censi
Venezia
In Somewhere, Stephen Dorff posa per la promozione di un film. Sono scatti pubblicitari, per un prossimamente su questi schermi, una coming attraction. Di queste espressioni automatiche, pavloviane, resterà solo il momento apicale: il sorriso, dritto negli occhi della macchina fotografica, espunto da tutto il resto (i tempi morti, le facce lunghe o perse nel vuoto). Al cinema, in pubblicità, funziona così: ci sono gesti automatici che vengono ripetuti, uno di questi resterà nel film, sfrondato da tutte le esitazioni che lo contornavano, destinate alla spazzatura.
Il magnifico film di Peter Tscherkassky, Coming Attractions, si muove in senso inverso. Come Kurt Schwitters, Tscherkassky recupera dalla spazzatura i rushes di alcuni film pubblicitari e ne ricava una sorta di commedia puntuta, un saggio che indaga i legami tra le “attrazioni” del cinema delle origini e l’avanguardia degli anni ’20, trovando appunto un residuo di questi due momenti nei film pubblicitari.













