Sud n°13 uscirà la prima settimana di maggio.
Le lacrime dell’assassino

Anne-Laure Bondoux, Le lacrime dell’assassino, San Paolo, pp.187, Traduzione Francesca Capelli
«Per chi ha una visione edulcorata della narrativa per ragazzi questo libro sarà un bel pugno nello stomaco». Così Roberto Denti, scrittore e fondatore della Libreria dei Ragazzi. Non possiamo che essere d’accordo: il romanzo d’avventura e di sentimenti, della 37enne Anne-Laure Bondoux, protagonista nei giorni scorsi del festival «Minimondi» in corso a Parma, è un capolavoro.
Il treno della morte
di Franz Krauspenhaar
Sono a Roma Termini, verso le 17.30 di un venerdì di dicembre. Nella mia devastante ingenuità penso di poter acquistare un biglietto per un Eurostar direzione Milano direttamente in stazione, come ho fatto varie altre volte, però dalla mia città… Ma è venerdì, appunto. Sono stato nel Lazio tutto il weekend. Prima a Fiuggi, per presentare il mio ultimo libro, poi a Roma, per svago. Il venerdì sera, per ovvie ragioni, i posti sono tutti prenotati. Non mi perdo d’animo, finisco in uno stand, di un servizio esclusivo per clienti Eurostar di cui ho cancellato il nome dalla mente. Clienti ma di prima classe. La hostess mi risponde come fossi un pezzente. La ringrazio con una smorfia. Nulla da fare, devo cercare un altro treno. O passare la notte a Roma, in un albergo. Ma ho poco tempo, sono stanco, abbastanza depresso, e l’indomani a Milano ho di nuovo da fare. Trovo l’unica alternativa. Che sarà mai un espresso? Ne ho presi tanti, da ragazzo.
Autismi 9 – La mia cacca (2a parte)
di Giacomo Sartori
La mia cacca continuava però a deludermi. Ora i risultati erano tangibili, le equazioni matematiche parlavano chiaro, ma c’era pur sempre ogni volta qualcosa che non andava. Proprio per il fatto che i miglioramenti erano lì sotto i miei occhi e sotto il mio naso, era più difficile accettare gli scacchi. Quando il colore era decisamente gradevole, né troppo chiaro né troppo scuro, con una calda tonalità pastello che sembrava venire dalla tavolozza di un postimpressionista, l’odore era disgustosamente rancido, o fradicio di putrefazioni vegetali, o anche nel contempo agrodolce e nauseabondo, quando l’odore era accettabile la consistenza era grumosa e il colore vomitevole, quando il colore era proprio bello saltava fuori un’insopportabile mucosità, e via dicendo: mai una volta che tutti i caratteri positivi apparissero assieme. Sembrava quasi che qualche solforoso spiritello si divertisse alle mie spalle.
Mi sentivo molto solo.
Non avevo capito niente

di Gianluca Veltri
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“A volte ho la sensazione che tutti gli ieri palpitino sotto la terra come se si rifiutassero di scomparire del tutto, l’enorme cumulo […] di quel che è raccontato e taciuto, di quel che mai si è saputo o non ha avuto testimoni o è stato nascosto”.
(Javier Marìas)
Forse fu perché stavano per arrivare gli anni Ottanta, anche per me. Non per caso suonavo le serenate alla chitarra, sotto i balconi e persino al telefono. E nel nostro repertorio era entrato “Saturday Night Fever”.
Sono morto e non so il perché
di Antonio Sparzani

Sono morto nell’anno terzo della settantaduesima Olimpiade, in un passo di montagna vicino all’Ellesponto, chiamato Termopili, che dalla Tessaglia porta a sud, verso Atene e Corinto; sono stato mandato qui con gli altri miei compagni opliti da Sparta, per difendere la Grecia tutta dalla furia dei Persiani di Serse, abbiamo resistito per giorni agli assalti dei Persiani, ma erano troppo più numerosi di noi, e alla fine siamo morti tutti.
Sono morto pochi mesi dopo, annegato con tutti i marinai della mia nave nelle strette acque di Salamina, dove i Greci del troppo astuto Temistocle ci hanno circondati e sconfitti – mentre pensavamo di avere già noi sconfitto Atene – grazie alla grande agilità delle loro navi, abituate a muoversi in quelle infide acque; ero arrivato col mio re Serse, il Re dei Re, dalla lontana Battriana, figlio di genitori Sciti, per trovare la morte nelle acque straniere di un lontano paese dell’ovest.
‘Da nessuna parte’ e altre poesie

di Azzurra D’Agostino
Da “D’in nciun là”, I Quaderni del Battello Ebbro, 2003
Mi’ nòn am’ dsgiva:
“al sèèt tè, che mé
san stè in tì partisèèn?”
“nòn, mé ed politica
an capiss mja gninta”- disiva me
“ma infàt ai’n’era mja d’la politica;
a’i eren dì bosc negher
indovv ti stèvi òr e dé e setmèni
con ‘na fèm un bùr e ‘na pòra
e’d mòrìr adòss
comm’ i’ han sulament al bésti”
-am rispondeva lù.
Mio nonno mi diceva/ “lo sai tu, che io/ sono stato nei partigiani?”/ “nonno, io di politica/ non capisco niente” – dicevo io/ “ma infatti non c’era della politica;/ c’erano dei boschi bui/ dove stavi ore e giorni e settimane/ con una fame un buio e una paura/ di morire addosso/ come hanno soltanto le bestie”/ – mi rispondeva lui.
il prezzo della parità

di Darien Levani
La storia, come mi è stata spiegata da Ardit, si è svolta grosso modo così: lui lavora in un impianto sportivo, si occupa prevalentemente delle pulizie ma non solo. Fa un po’ tutto quello che c’è da fare. Lui è un albanese di quarant’anni con un contratto inutile come una banconota da trenta euro.
Non gode della stima del titolare per via della sua razza, il quale – parole sue – ha sempre un occhio di sriguardo verso di lui. Niente di che, solo insinuazioni soft, sfiducia che si taglia con un coltello. Questo perché chi gioca a calcetto sa quante cose si dimenticano negli spogliatoi. Da shampoo e calzini sporchi fino a orologi, portafogli, catenine di oro o argento. Il tuttofare che lavorava lì prima di Ardit è stato licenziato per appropriazione di questo genere di cose. Certo, fa Ardit, vedevo la sfiducia nei suoi occhi, io lo sentivo chiaramente quanto pensava “Ma per questo lavoro delicato, proprio un albanese dovevo assumere?”
Sono cose che noi possiamo sentire, sapete.
Un giorno Ardit si è stancato ed ha escogitato un piano semplice e geniale. Finito di pulire ha tirato 70 euro dal suo portafoglio, frutto del lavoro di qualche giorno, e li ha consegnati al tipo dicendo che li aveva trovati in uno degli spogliatoi. Adesso stava facendo il suo lavoro, dando prova della sua onesta. È stato in quel preciso momento che l’atteggiamento del titolare è cambiato. Ardit dice che è stato uno scambio equo: per soli 70 euro ha comprato la sua dignità da uomo libero ed uguale. Non ha rimpianti.
Potremmo rubargli l’idea. Dunque, siamo circa 4 milioni di stranieri. Tiriamo tutti un 70 euro verso i nostri amici italiani. Vi toccano circa 6 euro a testa. Come prezzo per la stupidità non è male, ed è uno scambio equo. Chi vuole i miei?
Due settimane dopo
Ardit mi aggiorna. Il titolare gli ha detto di aver trovato il legittimo proprietario e di aver restituito i soldi. Ardit si gratta la testa perché non capisce. Dopo un po’ giungiamo alla conclusione che il suo titolare è un ladro e un bugiardo. E dunque lo sono tutti gli italiani. Calcoliamo che pagando 70 euro ciascuno potete conquistare la vostra dignità macchiata da uno solo. Non so se ci conviene.
Che mi dite, troviamo un’altro modo?
Autismi 9 – La mia cacca (1a parte)
di Giacomo Sartori
Qualche anno fa ho deciso di risolvere una volta per tutte il problema della mia cacca. Non ne potevo più che fosse sempre tendenzialmente troppo molle, come succedeva ormai da tempo. Troppo fluida, a volte spugnosa, o addirittura acquosa, e nello stesso tempo o troppo chiara o troppo scura, ogni tanto marezzata, e soprattutto sempre puzzolente. Volevo una cacca di qualità omogenea, puntuale e affidabile, e di odore sopportabile, se non proprio profumata. Una cacca presentabile, insomma. Una cacca in linea con i progressi che mi prefiggevo anche negli altri campi della mia esistenza.
Mi sono messo allora a studiare a fondo la questione, perché io quando affronto i problemi lo faccio in maniera scientifica. Ho per l’appunto una formazione scientifica, il che in circostanze come questa mi aiuta parecchio. Per molte faccende non è possibile trovare delle soluzioni veramente valide, senza la scienza. Ho insomma preso in mano pesanti manuali universitari e atlanti anatomici, ho digerito nomi e definizioni, interrogato illuminati luminari, confrontato teorie e pareri. Come sempre all’inizio avevo un po’ l’impressione di aggirarmi nella babele struggente di una discarica di immondizie, dove ogni frammento rivendica il proprio individualistico passato, poi un po’ alla volta le cose hanno cominciato a avere un aspetto familiare e a rivelare perché erano lì e come comunicavano tra di loro. La scienza ha questo di bello, che ti appronta tutto attorno degli appigli ai quali i tuoi occhi e il tuo cervello possono aggrapparsi: un po’ alla volta appaiono le rotaie dei legami logici, i punti di ristoro delle leggiadre equazioni matematiche e delle regole soggiacenti, finché arriva il momento in cui tutto ti appare perfettamente in ordine e così come deve essere. È la stessa insensata confusione di prima, ma il peso che ti opprimeva i polmoni è sparito: puoi finalmente riposarti.
5 poesie di Bhikkhu Abhinando
Parla anche tu,
parla per ultimo,
di’ il tuo pensiero.
Parla ma non dividere
il sì dal no.
Dà anche senso al tuo pensiero:
dagli ombra.
Paul Celan
Pubblicato per la prima volta in Italia nel dicembre del 2007 da La biblioteca di Vivarium, Wenn alles gesagt ist (Quando tutto è detto), è anche in assoluto il primo libro di poesie pubblicato da Bhikkhu Abhinando, nato ad Amburgo nel 1966, dal 1994 monaco buddhista della tradizione Theravada.
Le poesie sono state tradotte (dalla versione inglese) e introdotte da Livia Candiani, uno stralcio della sua prefazione la si può leggere qui, su La dimora del tempo sospeso, dove è già stata pubblicata una più ampia selezione di queste poesie. [A. Cirolla]
Risposta dal mondo dei blog a Scurati
“Mi candido allo Strega, è ufficiale”
Franz Krauspenhaar
dyptique: dire fari (Forlani vs Cipriano)
Un libretto delle assenze
di
effeffe
Today at 12:56am | Edit Note | Delete
In questi giorni di partecipato sole e alla deriva di solitarie passeggiate e solitario stare in camera, adesso che la neve è scomparsa totalmente dai prati, ora verdissimi, di ritorno a casa mi sono fermato all’altezza della rotonda oltre la Dora, a un passo da dove abito. Ho alzato lo sguardo per notare la differenza tra la lampada appena sostituita e le altre del viale alberato. La lucentezza che la faceva nuova di zecca, uscita di fabbrica, del metallo ricurvo non sarebbe sfuggita nemmeno a un occhio poco avvezzo così come la luce del lume più fredda e meno filtrata dalle polveri di smog e di vento. Perché il lampione in questione me l’ero trovato spezzato al ritorno di uno dei frequenti viaggi dello scorso inverno. I due ragazzi curdi che lavorano all’angolo me l’avevano raccontato. Un inquilino al quinto piano aveva perso ogni speranza, il lume della ragione al dolore della recente scomparsa dell’amata moglie e saltando giù si era come aggrappato all’ultima luce. Dell’incidente restava la segatura mescolata alla neve, sul selciato e il segno della testa del lampione sostituita, più nuova di tutte le altre.
L’energia del cinema maghrebino

[ricevo dall’Africa e volentierissimo pubblico. G.B.]
di Giulia Marchi
All’occasione dei 40 anni del Fespaco, il festival cinematografico panafricano di Ouagadougou, i registi maghrebini hanno partecipato in modo importante con lungometraggi, corti, documentari e video. Tra polvere e proiezioni, nella capitale burkinabè si incrociano personaggi di tutti i tipi. Un algerino, in particolar modo.
ZAMEL III

di Franco Buffoni
Casa di Aldo, terza notte: sentenza
Questa è l’ultima notte nella casa di Aldo. Non mi esce dalla mente il tono di voce del giudice mentre legge la sentenza. Vent’anni gli ha dato per l’efferatezza del crimine – malgrado l’attenuante della giovane età – “rubricato” come omicidio per rapina. Anche se Nabil la verità l’ha detta, l’ha dovuta dire: ha ucciso per una parola, per quella parola “infamante”, zamel. Ma l’accusa lo ha messo nella condizione di non poter dichiarare di essere stato insidiato. C’era il referto della visita medica “intima” e la corte non ha concesso quest’altra attenuante. Mi fa quasi più pena lui. Cresciuto – come ha tentato di dire la difesa – in una cultura che concepisce l’ira “giusta” come strumento di difesa del proprio onore. Ho l’aereo prenotato per domani alle undici, alle nove devo essere in aereoporto. Taxi alle otto. Sveglia alle sette. Gli ha tagliato la gola con un frammento della porta a vetri del bagno, dove Aldo si era rifugiato. Aldo è stato trovato nudo, dissanguato nella vasca da bagno. Con numerose altre ferite da taglio in tutto il corpo e “ulteriori lesioni nella regione prefrontale ventromediale”. Anche Nabil si era ferito con quel vetro. Le sue impronte insanguinate sono state trovate dappertutto nella casa. Andandosene si era portato via il cellulare di Aldo. Grazie a quello dopo due giorni lo hanno preso. Questo giustifica la condanna di omicidio per rapina e il tono di voce del giudice mentre legge l’ipocrita sentenza. Orifizio anale imbutiforme, come gli arrusi di un secolo fa. Non tornerò più in questa casa. Ho creduto di fare il coraggioso e il razionale, ma non la reggo. Anche il rumore che ho appena sentito… Veniva dall’esterno: un gatto forse contro la finestrella di questo bagno maledetto. Non tornerò più in questa casa e nemmeno in Tunisia. L’omosessualità in Tunisia è ufficialmente perseguita in base all’articolo 330 del codice penale, che riguarda i “rapporti contro natura”, in arabo lavat: sodomia. Non era proprio il caso di infangare la memoria di Aldo con questo reato, mi ha spiegato l’avvocato italiano, istruito dal suo potente fratello.
Gianfranco Ciabatti
di Roberto Bugliani
A quindici anni dalla sua scomparsa (febbraio 1994), questo medaglione artigianale su Gianfranco Ciabatti valga, con tutti i suoi limiti intrinseci, come affettuoso ricordo dell’uomo e memoria di un poeta che ha fatto della coerenza etica e della prassi politica la sua ragione di vita, anche artistica.
“Nato a Ponsacco (Pisa), nel 1936, Gianfranco Ciabatti si è laureato in giurisprudenza nel 1959. Ha collaborato da prima con Danilo Dolci e successivamente è stato operaio in cantieri edili e insegnante nelle scuole medie. Dal 1969 è redattore presso una casa editrice fiorentina”. Così recitava la breve nota bio-bibliografica su di lui dell’antologia einaudiana Nuovi poeti italiani (1980), in cui figurava una scelta di suoi testi poetici, dal 1960 al 1977.
Lav Diaz : Rivoluzione e fotosintesi clorofilliana
di Lorenzo Esposito
Il tempo non richiede presenza né presente. Il tempo si (e ci) assenta. Un film di otto nove dodici ore non riguarda il di più di attenzione necessaria o il di più di fatica eventuale. Semplicemente l’idea stessa di durata invita a avere paura, a tentare un riordino dei fatti scoprendoli sempre anteriori, a ricordarsi ciò che il ‘sistema’ del quotidiano tende a smarrire per sopravvivere, e cioè che qualunque avvenimento in quanto tale circola come brano di passato. È il modo in cui il cinema riconduce senza sosta allo stato di non-essere che terribilmente ci è proprio. Ed è ciò che avviene e che viene indagato nei film del regista filippino Lav Diaz (è solo questa paura, qualche mese fa durante il festival di Venezia, a lasciar vedere le otto ore del suo ultimo Melancholia al massimo a dieci venti persone): l’azione è la prima finzione, l’alibi che fa credere di essere nel tempo, mentre al massimo ne è la prova documentaria (cosa per cui la distinzione tra fiction e documentario si conferma risibile).
Le classifiche di qualità: una risposta
di Alberto Casadei, Andrea Cortellessa, Guido Mazzoni
Ci fa piacere che il progetto delle classifiche di Pordenonelegge-Dedalus abbia suscitato un dibattito così ampio. Ringraziamo tutti coloro che sono intervenuti, sia quelli che hanno espresso giudizi favorevoli, sia quelli che hanno formulato critiche severe. Vorremmo cominciare rispondendo alle obiezioni radicali per poi arrivare alle obiezioni costruttive.
1. Classifiche.
Qualcuno (Franco Cordelli sul “Corriere della Sera” e su Radio Tre, per esempio) ha scritto e detto che è insensato e degradante esprimere un giudizio attraverso una classifica, soprattutto quando la classifica nasce da una valutazione collettiva. I giudizi sulla letteratura si formulano in modo personale e argomentato; il confronto fra posizioni diverse deve avvenire attraverso una discussione, e non attraverso la semplice somma di numeri; lo strumento della classifica è semplificatorio e inquinato.
Il paese degli esami (a)normali

di Gianluca Monti
L’aggettivo normale è spesso utilizzato in rifermento al nostro paese, quasi sempre (e purtroppo) in proposizioni interrogative. I giornali, i blog, le discussioni nei bar sempre più spesso si chiedono se l’Italia sia un paese normale. Pur in assenza di una risposta definitiva, si invoca, a scanso di equivoci, il ritorno alla normalità. Concetto fumoso quello della normalità.





