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Language is a virus + Less is more?

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di Piero Vereni

[riprendo questo scritto in due parti dal blog di Piero Vereni, che ringrazio. a.r.]

1. Language is a virus

Premessa-Disclaimer: Non ce l’ho con Daniele Salvini, giornalista e film-maker che non conosco e che quindi rispetto di default. Anzi, i video che ho visto di lui mi sembrano interessanti e si accavallano per tanti aspetti al mio lavoro di antropologo delle identità. Ma le cose che lui dice e che commento in questo post potrebbe averle dette chiunque, le dico anch’io in altre forme (vedi il titolo del post). E comunque, non intendo “criticare” quel che dice Salvini, semmai iniziare a riflettere grazie allo spunto delle sue riflessioni (Fine del disclaimer).

Nell’ultimo numero di Nòva24, il bellissimo inserto del giovedì del Sole24ore, Daniele Salvini scrive un pezzo, a pagina 6, titolato (lo so, non è opera sua, i titolatori sono una professione a sé nel mondo del giornalismo) “Comunità aperta (ma non per tutti)”. Si parla del ventennale di Sdf (Super dimensional fortress).

Complementarità – a mo’ di conclusione

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di Antonio Sparzani

Bacco adolescente

Adesso voi vi sarete dimenticati quasi tutto delle puntate precedenti, e quasi anch’io. Però sarebbe bello almeno ricordarsi del motivo di quella parola che ho scelto di mettere sempre nel titolo di questi pezzi e cioè complementarità. Cosa c’entra la complementarità con tutti i discorsi successivi, mirati a comprendere la tabella periodica di Mendeleev (Dmitri Ivanovič) e a giustificare la struttura dell’atomo? Cosa c’entra?

Ciò che ha originato l’uso della parola è stato (come dicevo nella puntata introduttiva) il comportamento della luce − parola che comprende, come sapete, tutte le onde elettromagnetiche − : la luce (ma avete visto cosa Caravaggio riesce a fare con la luce?) mostra talvolta un comportamento da onda, e talvolta da particella (cioè insieme di tante particelle, ovviamente) ; è come se sia Newton (teoria corpuscolare della luce) che Huygens, Fresnel, Maxwell e tutta la fisica dell’Ottocento avessero avuto ragione. Di fronte a questa che sembra una contraddizione insanabile, e che è così come appare, non c’è nessun profondo mistero nascosto, quale atteggiamento può avere il fisico, l’attento osservatore della natura, colui che vuole ridurla a leggi, vuole imbrigliarla in quella categoria che l’encefalo di Homo sapiens sapiens denomina

Auto Bomba

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di Mattia Paganelli

Auto Bomba
Self Bomb
Self Terrorist
Suicide Bomb
Self Boom
BomB

Auto Bomba
Bomba Automatica
Bomba Climatica
Bomba Diplomatica
Bomba Carta
Letter Bomb
Pipe Bomb
Una Bomber
One Bomb
Big Bang

One Bomb
Many Bombs
Bombardment

Su “La memoria della balena” di Jean Portante

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di Andrea Inglese

(Questo articolo è uscito in una versione più breve su il manifesto del 7/9/07.)

Di fronte ad una società che in pubblico come in privato, per strada come nei palazzi, manifesta in modo sempre più disinvolto e massiccio un atteggiamento xenofobo, qualcuno di tanto in tanto reagisce, ricordando a sé e agli altri che l’italiano, per primo, ha vissuto l’esperienza dell’emigrazione e ha sofferto di tutti i mali che ad essa si accompagnano: sradicamento, sfruttamento, discriminazione. Lo ha fatto nel 2002 anche un giornalista, Gian Antonio Stella, scrivendo un libro dal titolo assai esplicito: L’orda, quando gli albanesi eravamo noi. Ma questo, come altri esempi, sembrano non modificare un dato di fondo: il fenomeno migratorio che ha coinvolto 27 milioni di italiani tra il 1876 e il 1976, per non parlare dei flussi migratori pre-unitari, rimane ancor oggi non solo ai margini della memoria collettiva, ma persino di quella storiografica. È uno specialista in materia come Matteo Sanfilippo a ricordarlo, nell’introduzione del volume collettivo Emigrazione e storia d’Italia (Pellegrini, Cosenza, 2003): “il pregiudizio contro l’assunzione dell’esperienza migratoria nella storia nazionale è comune a tutte le storiografie dell’Europa occidentale e nasce da una triplice damnatio memoriae: per i nazionalisti (compresi i nuovi micronazionalismi a base regionale) chi è partito, ha abbandonato la patria; per le sinistre ha abbandonato la lotta; per i cattolici ha infine messo in pericolo la propria fede, specie se si è recato in paesi protestanti come gli Stati Uniti o la Germania”.

John Ashbery on MTV

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parmigianino4.jpg MtvU, il canale sussidiario del network MTV, trasmesso solo nei campus universitari, ha annunciato di aver selezionato il suo primo “poeta laureato”. E’ John Ashbery, il poeta ottantenne di New York, di cui verranno pubblicizzate in brevi spot giornalieri diverse sue liriche. Trascrivo alcuni versi estratti dal poemetto intitolato Self Portrait in a Convex Mirror (ispirato al celebre autoritratto di Francesco Mazzola detto il Parmigianino, in Italia edito da Garzanti nel 1983 e tradotto da Aldo Busi), vincitore del Pulitzer Prize, il National Book Award e il National Book Critics Circle Award.

Non ci sono morti bianche

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di Marco Rovelli

Dalle mie parti le morti sono davvero bianche: sono le morti in cava (canta il mio amico Davide Giromini: “Urla la morte bianca che quattro soldi vale. Mastica il paradiso, in miniera si scende, in cava si sale”). Di tanto in tanto, periodicamente – quasi che il tempo fosse scandito, e ineluttabilmente – ne sentivo parlare, ne leggevo sui giornali. Ma distrattamente. Sempre distrattamente. Come si fa per una cosa naturale, a cui non c’è modo di opporsi. La morte accade, e fa delle resistenze un grottesco capriccio. Si muore, morire è naturale, ed è naturale dunque pure morire lavorando. Morire nell’adempimento del proprio compito, una scivolata da mettere in conto, una cancellazione sempre possibile, uno sprofondo sempre incombente. La morte per lavoro è un lapsus, una dimenticanza che torna a galla, un’evenienza indesiderata e rimossa che mostra d’un tratto, all’improvviso, la sua prossimità.

Gli scrìttici

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un intervento di Piero Sorrentino e una risposta di Tiziano Scarpa

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Caro scrìttico italiano,

scusami se per parlarti mi sono dovuto inventare una (brutta) parola nuova. Spero mi perdonerai.
Sapevo che c’eri, ma non sapevo come chiamarti. Con gli anni sei diventato una figura familiare. Della tua esistenza sento parlare spesso. Sei citatissimo. Ti leggo sui giornali, ti vedo alla tv, sento la tua voce alla radio. Ti ho incontrato ai convegni – in cui sei chiamato a parlare di me – e ti ho letto nelle rassegne stampa – nelle quali ti chiamano a parlare di me – che le brave e belle addette del mio editore mi spediscono di tanto in tanto nella casella di posta elettronica.
Ma era come se non ci fossi.

Piccolo Sud

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di Cristiano De Majo

1 . Il sud che produce
Anche i bambini lo sanno, dopo il 2006 anche il 2007 è stato l’anno di Gomorra , il libro/miracolo cominciato sulle colonne di un blog letterario e arrivato negli scaffali dei supermercati. Un «successo clamoroso» che ha portato alla ribalta fino alla scrivania del redivivo Enzo Biagi il suo pluri-minacciato autore Roberto Saviano scatenando asprissimi dibattiti tra scrittori meridionali e non. Dopo alcuni mesi qualcuno ha cominciato anche a parlarne male. Per esempio dalle colonne del Mattino , pur con molti distinguo, Antonio Pascale si è scagliato contro «un’epica della criminalità che finisce per essere consolante». Lo ha seguito a ruota Andrea Di Consoli che ha proposto di dimenticare Saviano zittendo così «la retorica dell’apocalisse».

Nelle mani giuste

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di Gianni Biondillo

Giancarlo De Cataldo, Nelle mani giuste, Einaudi, 2007, 336 pag.

La contemporanea sensazione di continuità ed estraneità che si prova leggendo Nelle mani giuste è la cifra autentica del romanzo, che se è pur vero che si presenta come sequel del libro culto Romanzo Criminale, riproponendo addirittura gli unici due protagonisti sopravvissuti alla mattanza degli anni Ottanta (lo sbirro Scialoja e la prostituta Patrizia), è vero altresì che ha nella scrittura e negli scenari differenze incolmabili.

Giovedì 6 settembre 2007, 13:37 : Diario chiude e volta pagina

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Undici anni, un po’ di storia, molti ringraziamenti e progetti per il futuro

Mercoledì 23 ottobre 1996, allegato al quotidiano L’Unità, usciva il primo numero di Diario della settimana, che si autodefiniva giornale dedicato alla «buona lettura», all’inchiesta e al reportage. Dopo un anno Diario se ne andò da solo nel perigliosissimo mare delle edicole. Questo giornale è durato 567 settimane, cercando di fornire nel corso di undici anni la buona lettura che aveva promesso e di non essere travolto dagli eventi. Alla buona lettura iniziale abbiamo aggiunto nel corso del tempo numeri speciali, libri, film.

Da: Liste

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di Ruggero Solmi 

LISTA 3470

era, la neve, occhi, di samotracia, pillole resipiscenti, ercole patti, a dogana, doge mantellini, gol, minuti uno, beckenbauer spiritato, le colli, montinari, psico, labils, pills, resine accumulatorie, di destini, imago celta, ruvida ancheggia, in pisolini a mamma roma, orson 1 orson 2 passo, e occludo, viatico per svianti miramare, la mantovana volante, viene e va, gulp, fumettazzi, il tromba di nascimbene, mario adorf sul pozzo senza luna, lucky, luciano palazzi, morto pavarotti, la biagini rifatta a dogville, credevo fosse amore, invece era un lesso kebab, a strati, maglie foranti di mattoni gelée, pischelli tumidi, vagine defalcate, dichiarazioni dei termini, stazione pulsar, andromeda viscontea, fuori milano, era la notte, gelida lucia bosè, antonioni calvo, il mio migliore amico, saltafoss, roma sport, cazzinculi devil’s, pornogame, videodrome, unca palanca, ehig baluba, brodo hag, caffè monistrol, con scuola radio elettra, torino notte, era semplicemente luciano emmer, formaggio di foresta, udine attiva, buco tagliato, accetta mengoli, gengis renis, mille lire al mozzo, pizza con tracia, forato desinare attonito, ehila ehila kaseigerola, gheroni, germi pietrosi in film liguri, rossellini di campo, piano americano, irak tende, libia aereo, spacco missile, trinariciuto splendore a tabacco blended, chissà, febo, sebo pulsionale, passione medicale dr. bronson, non avrai il mio schiavo, io la schiava isidra, santa isaura, spaak tucc, enea numismatica, revenge de brest, break, fast tarato in america, airlines morti, 40 giovani e cordati, curdi, mission, peck, gregorio samsa in smash, pulviscoli redatti, occhio alla sfinge, mi reco, vago, defeco, min, vallalodid, venezuela d’organza, capitombolo uno, enasarco per tutti.

Nuove minacce per Lirio Abbate

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Poco dopo la pubblicazione del libro I complici – Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento (Fazi editore), un reportage scritto con Peter Gomez su Provenzano, la nuova mafia e i suoi rapporti con la politica, Lirio Abbate, cronista dell’Ansa di Palermo, ha iniziato a subire intimidazioni dalla mafia.  Il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza ha allora deciso a maggio di assegnare una scorta al cronista. Dopo altre minacce, Abbate si è trasferito a Roma, dove ha continuato a lavorare dalla sede centrale dell’Ansa, ma meno di due settimane fa ha deciso di fare ritorno a Palermo.

Il festival di una cosa chiamata letteratura

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di Christian Raimo

E così in Italia, mentre città come Roma, Firenze, Bologna – sotto la spinta “democratica” dei loro sindaci – si vorrebbero ritrasformare, ogni giorno di più, in piccoli borghi della provincia più profonda, governate da spinte localiste e logiche condominiali, nella provincialissima Mantova per fortuna questo Festival della Letteratura riesce ancora a far respirare un’aria d’internazionalità. A partire da David Grossman, da Orham Pamuk, da Wole Soyinka, che in conferenza stampa parla di uno dei buchi neri delle guerre del mondo, quella del Delta del Niger (praticamente ignorata dalla politica e dai giornali italiani forse perché lì i cattivi non sono solo Bush e le sue multinazionali, ma anche le nostre Eni e Agip?) per finire con i vari elemosinanti rumeni, senegalesi, sudamericani ma anche italiani, richiamati qui dalla possibilità di fare qualche soldo in più in questa cinque giorni di assembramento cittadino. Come mai a Mantova nessun sindaco li scaccia?

Di un tre capovolto

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di Alessia Polli

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I

Avevo ancora tra le mani la guarnizione di gomma dello sportello della tua macchina, quando mi hai chiesto: “Perché non lo facciamo?”. Ho spalancato gli occhi, più forte che potevo. Deve uscirmi una lacrima, quand’è così. E’ l’unico modo che ho per superare le perplessità. Ti ho guardato senza metterti veramente a fuoco. Allora mi sono piegata e ho forzato il guscio slabbrato e deforme uscito dal binario d’acciaio di quell’intelaiatura massiccia dentro le sue guide. Ho deciso così, su due piedi, spingendo la copertura unta e appiccicosa sui ganci metallici. Se vuoi che qualcosa torni al suo posto devi premere, fare resistenza, mi sono detta. Ho fissato per un po’ le piccole dita che seguivano nervose l’itinerario di ferro da foderare. Mi sono sembrate irritanti. Non mi piacciono, quando reagiscono così. Mi fanno pensare a mia madre e alle sue depressioni fulminanti, che ogni volta che arrivano si sentono, nonostante lei cerchi di metterle a tacere dentro qualche pentola ossidata, una calcificazione da sconfiggere, la superficie del frigorifero da far risplendere.

Vite di scarto

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di Marco Revelli

Così la «casta», alla fine, un foro per uscire, a modo suo, dall’angolo in cui era stata cacciata, se l’è immaginato. All’indignazione crescente per i privilegi di cui godono gli abitanti dei piani alti del Palazzo, al fastidio per una politica separata ed estranea alla propria gente, si pensa di rispondere con un bel giro di vite contro i «miserabili» che stanno in basso. Tanto in basso da essere «fuori» (senza rappresentanza, senza parola, senza diritti).

L’amore non esiste esiste il tempo

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di Alessandro Seri 

MASSIMILIANO PRIMO D’EUROPA
L’antichità gotica dei sentimenti
ha attraversato l’Europa
su un’audi marrone
mentre la Gioiosa di Carlo Magno
unificava le scritture
ed io allaccio rette trasparenti
di donne e anni leggeri
alla vigilia di una cerimonia
si formano ogive di chianti
e madonne acefale nella mia testa
persino il seno dell’architettura
mi allatta gli occhi
oggi il centro del mondo
è un atomo, una piazza atomica
anatomica fiera di scale e porticati
santissima annunziata
la stazione di Bologna

A Karen

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di Franz Krauspenhaar

Mia cara,
fino a pochi giorni fa non sapevo nemmeno chi tu fossi. In un pomeriggio di agosto, nel marasma di una vita sempre indietro e in ritardo, nella ricerca di qualcosa che allontanasse per un poco la grigia noia, ho visto un film porno, Fuga dall’Albania, nel quale apparivi proprio tu.

Pop Art

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bocca_nbsp_copia.jpgdi Davide Vargas

La cosa mi appare all’improvviso.
Ho lasciato un lembo di campagna dove il verde oscilla tra pienezze carnose umide di colore denso e vivo, e le opacità metalliche delle foglie rivoltate come fodere. Generoso ventre in grado di contenere i papaveri rossi disseminati come schizzi di fuoco e i ciuffi gialli delle ginestre raggruppati e fitti come chiome di alberi.

I premi letterari

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di Christian Raimo

Perché nessuno crede ai premi letterari? Perché nessuno riconosce ai vincitori quell’autorevolezza, quella qualità, quella primarietà che dovrebbe essere la ragione del premio? In mano alle cordate degli amici, decisi a tavolino dalle case editrici, vittime di poco scaltre manovre lobbystiche, di strategie promozionali di qualche assessorato, è impensabile, diciamo rarissimo, oggi in Italia che un premio letterario abbia quel valore di “classicizzare” un libro che può avere che so io, un National Book Award. Quest’anno l’impressione si è trasformata forse in una constatazione.

C’è fannullone e fannullone

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di Lanfranco Caminiti

Incontro, a luglio, Raffaella in un ascensore della Regione Lazio. Siamo stipati, la ventola interna di aerazione non funziona, si suda. Lei viene su dal bar, ha dell’acqua e un vassoio con dei caffè, sta andando a non so quale piano per non so quale incarico – magari sta solo portando un ristoro ai colleghi: ho sempre avuto difficoltà a capire esattamente i suoi compiti, ma d’altronde questo vale per buona parte dei «regionali» che conosco. Non la vedevo da tempo – Raffaella scompare letteralmente dal lavoro per lunghi periodi. E’ abbronzantissima, i denti le splendono in bocca, freschissima e fichissima con il suo fisichino ancora asciutto a dispetto degli anta e di due figli.

Sette note atroci a ritroso, dicono possa abrogare certe apocalissi, e si portò avanti la Colonia, la Colonia instabile.

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di Greta Rosso

1

– E quali linee percorrere sempre, per non finire basse, deformi, infine schiantate?
– Mi muovo talvolta sotto nomi diversi, nomi che hanno i bambini che nessuno picchia mai. Ogni giorno mi guarderanno negli occhi senza sapere che quando a casa qualcosa va storto digrigno i denti schiumo e bestemmio.