lasciato su Lipperatura da Girolamo (De Michele?) che ieri è scomparso Joe (Josef) Zawinul.
Invito ad ascoltare o riascoltare questo grandissimo musicista.
https://youtube.com/results?search_query=joe+zawinul&search=Search
lasciato su Lipperatura da Girolamo (De Michele?) che ieri è scomparso Joe (Josef) Zawinul.
Invito ad ascoltare o riascoltare questo grandissimo musicista.
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di Christian Raimo
A Pasquetta scorsa, a Roma, a Tor Pignattara, fu ucciso a freddo Ahmed, un uomo bengalese. L’assassino era un vicino di casa che non sopportava la puzza e i rumori che venivano dal piano di sotto. Il processo deve partire in questi giorni ma il clamore che allora suscitò la notizia adesso è nullo. Si disse che il municipio si sarebbe occupato dei funerali e del rimpatrio della salma ma non fu così. Si disse che il Comune sarebbe stato vicino alla famiglia della vittima, ma chi elargiva promesse è scomparso. A vedere ammazzare Ahmed c’era anche la nipotina, sfiorata da uno dei colpi: una bambina di quattr’anni che ha le convulsioni di notte, che viene assistita saltuariamente da alcuni psicologi volontari dell’Arci, e che quando cercano di convincerla che lo zio è tornato in Bangladesh risponde: «No, no, lo zio è morto».
[riceviamo da Giulio Mozzi e pubblichiamo volentieri]
Vado per punti, così si fa prima.
1. Un certo numero di persone si associano. Una condizione necessaria
è che ciascuno degli associati dichiari pubblicamente di stimare tutti
gli altri.
2. L’associazione sceglie un certo numero di persone (direi da tre a
cinque, non di più) alle quali si riconosca una maestria nell’arte
letteraria. A queste persone, d’ora in poi chiamate “Maestri”, si
chiede la disponibilità a “tenere a bottega”, per un tempo determinato
(direi almeno un anno), una persona più giovane di loro. (In che
consista il “tenere a bottega”, è cosa di cui l’associazione discuterà
con i Maestri). Nel contempo l’associazione si impegna a coprire, in
modo e misura da determinarsi, le eventuali spese.
di Antonio Sparzani

Adesso voi vi sarete dimenticati quasi tutto delle puntate precedenti, e quasi anch’io. Però sarebbe bello almeno ricordarsi del motivo di quella parola che ho scelto di mettere sempre nel titolo di questi pezzi e cioè complementarità. Cosa c’entra la complementarità con tutti i discorsi successivi, mirati a comprendere la tabella periodica di Mendeleev (Dmitri Ivanovič) e a giustificare la struttura dell’atomo? Cosa c’entra?
Ciò che ha originato l’uso della parola è stato (come dicevo nella puntata introduttiva) il comportamento della luce − parola che comprende, come sapete, tutte le onde elettromagnetiche − : la luce (ma avete visto cosa Caravaggio riesce a fare con la luce?) mostra talvolta un comportamento da onda, e talvolta da particella (cioè insieme di tante particelle, ovviamente) ; è come se sia Newton (teoria corpuscolare della luce) che Huygens, Fresnel, Maxwell e tutta la fisica dell’Ottocento avessero avuto ragione. Di fronte a questa che sembra una contraddizione insanabile, e che è così come appare, non c’è nessun profondo mistero nascosto, quale atteggiamento può avere il fisico, l’attento osservatore della natura, colui che vuole ridurla a leggi, vuole imbrigliarla in quella categoria che l’encefalo di Homo sapiens sapiens denomina
di Mattia Paganelli
Auto Bomba
Self Bomb
Self Terrorist
Suicide Bomb
Self Boom
BomB
Auto Bomba
Bomba Automatica
Bomba Climatica
Bomba Diplomatica
Bomba Carta
Letter Bomb
Pipe Bomb
Una Bomber
One Bomb
Big Bang
One Bomb
Many Bombs
Bombardment
di Andrea Inglese
(Questo articolo è uscito in una versione più breve su il manifesto del 7/9/07.)
Di fronte ad una società che in pubblico come in privato, per strada come nei palazzi, manifesta in modo sempre più disinvolto e massiccio un atteggiamento xenofobo, qualcuno di tanto in tanto reagisce, ricordando a sé e agli altri che l’italiano, per primo, ha vissuto l’esperienza dell’emigrazione e ha sofferto di tutti i mali che ad essa si accompagnano: sradicamento, sfruttamento, discriminazione. Lo ha fatto nel 2002 anche un giornalista, Gian Antonio Stella, scrivendo un libro dal titolo assai esplicito: L’orda, quando gli albanesi eravamo noi. Ma questo, come altri esempi, sembrano non modificare un dato di fondo: il fenomeno migratorio che ha coinvolto 27 milioni di italiani tra il 1876 e il 1976, per non parlare dei flussi migratori pre-unitari, rimane ancor oggi non solo ai margini della memoria collettiva, ma persino di quella storiografica. È uno specialista in materia come Matteo Sanfilippo a ricordarlo, nell’introduzione del volume collettivo Emigrazione e storia d’Italia (Pellegrini, Cosenza, 2003): “il pregiudizio contro l’assunzione dell’esperienza migratoria nella storia nazionale è comune a tutte le storiografie dell’Europa occidentale e nasce da una triplice damnatio memoriae: per i nazionalisti (compresi i nuovi micronazionalismi a base regionale) chi è partito, ha abbandonato la patria; per le sinistre ha abbandonato la lotta; per i cattolici ha infine messo in pericolo la propria fede, specie se si è recato in paesi protestanti come gli Stati Uniti o la Germania”.
MtvU, il canale sussidiario del network MTV, trasmesso solo nei campus universitari, ha annunciato di aver selezionato il suo primo “poeta laureato”. E’ John Ashbery, il poeta ottantenne di New York, di cui verranno pubblicizzate in brevi spot giornalieri diverse sue liriche. Trascrivo alcuni versi estratti dal poemetto intitolato Self Portrait in a Convex Mirror (ispirato al celebre autoritratto di Francesco Mazzola detto il Parmigianino, in Italia edito da Garzanti nel 1983 e tradotto da Aldo Busi), vincitore del Pulitzer Prize, il National Book Award e il National Book Critics Circle Award.

di Marco Rovelli
Dalle mie parti le morti sono davvero bianche: sono le morti in cava (canta il mio amico Davide Giromini: “Urla la morte bianca che quattro soldi vale. Mastica il paradiso, in miniera si scende, in cava si sale”). Di tanto in tanto, periodicamente – quasi che il tempo fosse scandito, e ineluttabilmente – ne sentivo parlare, ne leggevo sui giornali. Ma distrattamente. Sempre distrattamente. Come si fa per una cosa naturale, a cui non c’è modo di opporsi. La morte accade, e fa delle resistenze un grottesco capriccio. Si muore, morire è naturale, ed è naturale dunque pure morire lavorando. Morire nell’adempimento del proprio compito, una scivolata da mettere in conto, una cancellazione sempre possibile, uno sprofondo sempre incombente. La morte per lavoro è un lapsus, una dimenticanza che torna a galla, un’evenienza indesiderata e rimossa che mostra d’un tratto, all’improvviso, la sua prossimità.
un intervento di Piero Sorrentino e una risposta di Tiziano Scarpa

Caro scrìttico italiano,
scusami se per parlarti mi sono dovuto inventare una (brutta) parola nuova. Spero mi perdonerai.
Sapevo che c’eri, ma non sapevo come chiamarti. Con gli anni sei diventato una figura familiare. Della tua esistenza sento parlare spesso. Sei citatissimo. Ti leggo sui giornali, ti vedo alla tv, sento la tua voce alla radio. Ti ho incontrato ai convegni – in cui sei chiamato a parlare di me – e ti ho letto nelle rassegne stampa – nelle quali ti chiamano a parlare di me – che le brave e belle addette del mio editore mi spediscono di tanto in tanto nella casella di posta elettronica.
Ma era come se non ci fossi.
di Cristiano De Majo
1 . Il sud che produce
Anche i bambini lo sanno, dopo il 2006 anche il 2007 è stato l’anno di Gomorra , il libro/miracolo cominciato sulle colonne di un blog letterario e arrivato negli scaffali dei supermercati. Un «successo clamoroso» che ha portato alla ribalta fino alla scrivania del redivivo Enzo Biagi il suo pluri-minacciato autore Roberto Saviano scatenando asprissimi dibattiti tra scrittori meridionali e non. Dopo alcuni mesi qualcuno ha cominciato anche a parlarne male. Per esempio dalle colonne del Mattino , pur con molti distinguo, Antonio Pascale si è scagliato contro «un’epica della criminalità che finisce per essere consolante». Lo ha seguito a ruota Andrea Di Consoli che ha proposto di dimenticare Saviano zittendo così «la retorica dell’apocalisse».

di Gianni Biondillo
Giancarlo De Cataldo, Nelle mani giuste, Einaudi, 2007, 336 pag.
La contemporanea sensazione di continuità ed estraneità che si prova leggendo Nelle mani giuste è la cifra autentica del romanzo, che se è pur vero che si presenta come sequel del libro culto Romanzo Criminale, riproponendo addirittura gli unici due protagonisti sopravvissuti alla mattanza degli anni Ottanta (lo sbirro Scialoja e la prostituta Patrizia), è vero altresì che ha nella scrittura e negli scenari differenze incolmabili.
Undici anni, un po’ di storia, molti ringraziamenti e progetti per il futuro
Mercoledì 23 ottobre 1996, allegato al quotidiano L’Unità, usciva il primo numero di Diario della settimana, che si autodefiniva giornale dedicato alla «buona lettura», all’inchiesta e al reportage. Dopo un anno Diario se ne andò da solo nel perigliosissimo mare delle edicole. Questo giornale è durato 567 settimane, cercando di fornire nel corso di undici anni la buona lettura che aveva promesso e di non essere travolto dagli eventi. Alla buona lettura iniziale abbiamo aggiunto nel corso del tempo numeri speciali, libri, film.
Poco dopo la pubblicazione del libro I complici – Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento (Fazi editore), un reportage scritto con Peter Gomez su Provenzano, la nuova mafia e i suoi rapporti con la politica, Lirio Abbate, cronista dell’Ansa di Palermo, ha iniziato a subire intimidazioni dalla mafia. Il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza ha allora deciso a maggio di assegnare una scorta al cronista. Dopo altre minacce, Abbate si è trasferito a Roma, dove ha continuato a lavorare dalla sede centrale dell’Ansa, ma meno di due settimane fa ha deciso di fare ritorno a Palermo.
di Christian Raimo
E così in Italia, mentre città come Roma, Firenze, Bologna – sotto la spinta “democratica” dei loro sindaci – si vorrebbero ritrasformare, ogni giorno di più, in piccoli borghi della provincia più profonda, governate da spinte localiste e logiche condominiali, nella provincialissima Mantova per fortuna questo Festival della Letteratura riesce ancora a far respirare un’aria d’internazionalità. A partire da David Grossman, da Orham Pamuk, da Wole Soyinka, che in conferenza stampa parla di uno dei buchi neri delle guerre del mondo, quella del Delta del Niger (praticamente ignorata dalla politica e dai giornali italiani forse perché lì i cattivi non sono solo Bush e le sue multinazionali, ma anche le nostre Eni e Agip?) per finire con i vari elemosinanti rumeni, senegalesi, sudamericani ma anche italiani, richiamati qui dalla possibilità di fare qualche soldo in più in questa cinque giorni di assembramento cittadino. Come mai a Mantova nessun sindaco li scaccia?
di Alessia Polli
I
Avevo ancora tra le mani la guarnizione di gomma dello sportello della tua macchina, quando mi hai chiesto: “Perché non lo facciamo?”. Ho spalancato gli occhi, più forte che potevo. Deve uscirmi una lacrima, quand’è così. E’ l’unico modo che ho per superare le perplessità. Ti ho guardato senza metterti veramente a fuoco. Allora mi sono piegata e ho forzato il guscio slabbrato e deforme uscito dal binario d’acciaio di quell’intelaiatura massiccia dentro le sue guide. Ho deciso così, su due piedi, spingendo la copertura unta e appiccicosa sui ganci metallici. Se vuoi che qualcosa torni al suo posto devi premere, fare resistenza, mi sono detta. Ho fissato per un po’ le piccole dita che seguivano nervose l’itinerario di ferro da foderare. Mi sono sembrate irritanti. Non mi piacciono, quando reagiscono così. Mi fanno pensare a mia madre e alle sue depressioni fulminanti, che ogni volta che arrivano si sentono, nonostante lei cerchi di metterle a tacere dentro qualche pentola ossidata, una calcificazione da sconfiggere, la superficie del frigorifero da far risplendere.
di Marco Revelli
Così la «casta», alla fine, un foro per uscire, a modo suo, dall’angolo in cui era stata cacciata, se l’è immaginato. All’indignazione crescente per i privilegi di cui godono gli abitanti dei piani alti del Palazzo, al fastidio per una politica separata ed estranea alla propria gente, si pensa di rispondere con un bel giro di vite contro i «miserabili» che stanno in basso. Tanto in basso da essere «fuori» (senza rappresentanza, senza parola, senza diritti).
di Alessandro Seri
MASSIMILIANO PRIMO D’EUROPA
L’antichità gotica dei sentimenti
ha attraversato l’Europa
su un’audi marrone
mentre la Gioiosa di Carlo Magno
unificava le scritture
ed io allaccio rette trasparenti
di donne e anni leggeri
alla vigilia di una cerimonia
si formano ogive di chianti
e madonne acefale nella mia testa
persino il seno dell’architettura
mi allatta gli occhi
oggi il centro del mondo
è un atomo, una piazza atomica
anatomica fiera di scale e porticati
santissima annunziata
la stazione di Bologna
di Franz Krauspenhaar
Mia cara,
fino a pochi giorni fa non sapevo nemmeno chi tu fossi. In un pomeriggio di agosto, nel marasma di una vita sempre indietro e in ritardo, nella ricerca di qualcosa che allontanasse per un poco la grigia noia, ho visto un film porno, Fuga dall’Albania, nel quale apparivi proprio tu.
di Davide Vargas
La cosa mi appare all’improvviso.
Ho lasciato un lembo di campagna dove il verde oscilla tra pienezze carnose umide di colore denso e vivo, e le opacità metalliche delle foglie rivoltate come fodere. Generoso ventre in grado di contenere i papaveri rossi disseminati come schizzi di fuoco e i ciuffi gialli delle ginestre raggruppati e fitti come chiome di alberi.