di Cristiano de Majo e Christian Raimo
Comunismo
Via Cavour a un certo punto è un chilometro di bandiere nere, e può capitare in un momento di foga che qualcuno stenda il braccio destro, e la ragazza accanto lo rimbrotti con un buffetto: “Ma dai…”. Come dire lascia stare, non serve. Un gruppo della Fiamma inventa l’estremismo della litote, inneggia in coro: “Per me l’antifascismo non è un valore”. Fascismo, nazionalismo, liberalismo non hanno molto collante come riferimenti ideali. E l’unica vera tradizione di riferimento sembra essere una tradizione “inventata con successo”: l’anticomunismo.
La piazza si ritrova immediatamente in due elementi base: quando canta l’inno d’Italia, o meglio, l’inno che si canta ai Mondiali di calcio, con tanto di po-po-po; e quando si salta al grido di “Chi non salta comunista è”. Verrebbe da chiedere: dove sono queste masse di comunisti al potere? Siamo in Ungheria nel ’56?
La costruzione di questo pseudo-concetto di grande impatto andrebbe indagato anche psicanaliticamente, come fecero Adorno e Horkheimer nella “Dialettica dell’illuminismo” con l’antisemitismo. L’ideologia nazista lo costruì per contrasto. E così anche ora: i comunisti immaginari nei manifesti sembrano un po’ gli ebrei nel ‘38. Sono viscidi, sono brutti quanto la fame, sono ridicoli, laidi e immorali, hanno il moccio al naso, possiedono tutto lo schifo che in noi, evidentemente, non riusciamo a vedere.