di Giorgio Vasta

Per scrivere e per leggere descrizioni occorre amore. Intendo dire, provocatoriamente (ma neanche poi tanto), che avere la forza e l’ostinazione di continuare a mettere una parola dietro l’altra, accanto all’altra, una oltre l’altra, non cercando abbreviazioni o scorciatoie o riduzioni, insistendo a fissare l’immagine di una cosa, di un gesto, di una parete o di una strada, di un telefono a gettoni o di un geranio, di un’acconciatura o di una scatola trasparente di mentine (sulla quale sembrerebbe, essendo trasparente e magari vuota, non esserci niente da dire, ma questo soltanto perché sottovalutiamo la descrivibilità della trasparenza), e continuando a “dirla” senza diminuire la capacità del proprio sguardo, senza attenuarne la potenza per stanchezza o per pigrizia, senza opacizzare in modo complice la propria scrittura per smaltirla, estinguerla, congedarla – tutto ciò, secondo me, ha direttamente a che fare con l’amore.