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Mancano all’appello cento milioni (di donne)

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La tecnologia come agente sociale

di Giuseppe A. Veltri

Fiumi d’inchiostro e tantissimi libri sono stati scritti sul rapporto tra tecnologia e società, di come e quanto la tecnologia stia cambiando il nostro modo di vivere, di comunicare, di organizzare il nostro tempo e di disporre d’informazioni. Spesso, vengono coniati neologismi di ogni sorta e inventate tortuose definizioni su quello che può essere riassunto nel grande tema degli effetti ed impatti sociali delle tecnologie sulle società umane.

Ma questo complesso rapporto viene meglio compreso attraverso esempi e soprattutto esempi su larga scala. Il problema e’ che questi macro-eventi sono difficili da identificare mentre si verificano, lo si può fare solitamente post-hoc, visto che hanno luogo durante archi temporali non brevi.

Tuttavia, qualche eccezione esiste ed e’ particolarmente interessante.

Siete voi che non vedete

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di Walter Siti

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A Franco Cordelli e a Enzo Di Mauro ripugna essere apparentati al protagonista del mio libro; niente di più legittimo. Sotto le categorie negative di “narcisismo, esibizionismo, autoelezione e prepotenza” raccolgono una pattuglia eterogenea di scrittori che va da me ad Antonio Moresco, a Tiziano Scarpa, a Michel Houellebecq e a Bret Easton Ellis, fino al pochissimo autobiografico Alessandro Baricco. E aggiungono che quelle categorie negative “nei termini della vecchia politica sarebbero considerate di destra”.

Vive male la sua vita, ma lo fa con grande amore

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di Franz Krauspenhaar 

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Caro Piero Ciampi, ti conosco da non molto, tanto tempo è passato da quando te ne sei andato per quel cancro in gola (e che? tu pensavi di morire di cirrosi, vero? e invece tac, il cancro alla gola; e già, la sorte è originale…)e io di te, allora, 1980, non ne sapevo niente, tu avevi 46 anni, io ne avevo diciannove, ascoltavo il rock, quello progressivo, bum bum, e i Led Zeppelin, doppio bum bum, e qualche volta il cool jazz, – Lee Konitz, Lennie Tristano, patam patam.

Caro Piero Ciampi, ascolto tutte le tue canzoni, ora che di tacche di vissuto ne ho 45 come un calibro d’arma da fuoco; e si, quelle tue canzoni che non ebbero alcun successo mi tengono la compagnia di un’alchimia negativa; non m’interessa, io ho una corazza ben dura, anzi le cose troppo leggere cominciano davvero a infastidirmi, mi piace la durezza di parole acuminate e trapananti, e le canzoni che aumentano la mia nostalgia (e non ne avrei il bisogno, a dire il vero, ché di nostalgia ne sono pieno, ne sono assediato addirittura); e dunque, forse, ascoltarti è rischioso,  perché l’arte può far male, certa arte (certa, certissima) può anche ammazzare, pian piano, sofficemente, un giorno dopo l’altro, io credo, però si, comunque ammazza; anche se la corazza tiene, si, questa mia corazza è solida, è temprata, ha resistito, in passato, a colpi micidiali.

I giacobini delle lettere

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di Sergio Garufi

silvana-giacobini.jpgQualche riflessione estemporanea e peristaltica a margine del bel pezzo di Nicola Lagioia. Ho l’impressione che molte recenti aberrazioni critico-letterarie, non solo le “cantonate” di Cordelli e Di Mauro riguardanti Troppi paradisi di Walter Siti, derivino dal rifiuto del diktat proustiano di Contre Sainte-Beuve. Come mai si nega così pervicacemente che vi sia una sostanziale separazione fra l’io artistico e l’io mondano, arrivando perfino a identificare l’autore con il protagonista? Perché in questo modo si possono applicare al testo categorie etiche che prima erano state escluse o tenute ai margini. L’unità uomo-opera da un lato ripristina l’auraticità perduta (in seguito alla c.d. morte dell’autore), riassegnando all’autore la funzione di garante del senso, e dall’altro lo sottopone a un continuo esame di coerenza, restituendo così credito al peggior biografismo e psicologismo.

Su Cordelli e Di Mauro su Siti

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di Nicola Lagioia

La grazia con cui qualche critico casca stagionalmente nelle botole spalancate dagli scrittori attraverso la crudele buona fede dell’innovazione letteraria è spesso il certificato (superfluo) della qualità di quest’ultima. Se però il tonfo è fragoroso come quello di cui si sono resi protagonisti Franco Cordelli e Enzo Di Mauro dalle pagine dello scorso «Alias» in relazione a Troppi paradisi di Walter Siti, la faccenda inizia a farsi preoccupante se non dolorosa. Perché Cordelli e Di Mauro sono tutt’altro che sprovveduti, hanno una storia importante alle spalle – e invece, con una naiveté spericolatamente affine a quella di chi non riesce proprio a parlare di un libro se non trova l’aggancio “giornalistico” o “di costume”, commettono il peggior errore in cui possa incorrere chiunque voglia provare a occuparsi di letteratura: confondere lo scrittore con un suo personaggio.

Il surf è come la letteratura, più parlato che praticato

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di Francesco Longo

Da che parte stanno i surfisti? Partirono per il Vietnam o sfilarono per la pace? Come si è formata la cultura surf? Tutti hanno ascoltato almeno una volta Surfin’ USA dei Beach Boys e molti hanno visto Un mercoledì da leoni, o almeno ne hanno sentito parlare. Ma sapere cos’è un leash e chi è Greg Noll, è l’accesso verso un mondo arcano. Una grotta in cui oggi si respira una forma di epica.

Gli irriverenti

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di  Mia Hoffmann

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Ho il vizio del cecchino. Li spio dalla mia vecchia postazione mobile pedalando a rilento, simulando dietro a un paio di lenti il mirino. 

Non si puo’ correre il rischio che scoppi una rivoluzione

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di Nicolò La Rocca 

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Sciascia è stato forse l’intellettuale più osteggiato della nostra storia, con lui per qualche decennio il potere (sia quello cattolico, sia quello comunista) ha dimenticato quella sentenza per la quale se vuoi uccidere un libro basta che non ne parli, né bene né male, e questa distrazione il potere l’ha pagato a caro prezzo, perché questo intellettuale non l’ha lasciato in pace (cioè nel suo disordine controllato, la pace della nostra cinica e ipocrita società occidentale) mai, impegnandosi in ogni libro, giallo o pamphlet che fosse, nell’esibirlo al lettore, senza dare spettacolo, senza metterlo in mostra, senza sentimentalismi, ma sezionandolo con la competenza del medico legale e restituendo al lettore la fredda disamina di un mondo dove la ragione può solo morire.

Anteprima Sud 7 /Pasquale Panella e Lucio Saviani

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lucio_pasquale_01.jpgfoto di Silvano Forte
Il testo di Lucio Saviani precede le prime pagine dell’opera di Pasquale Panella. Il dialogo sarà pubblicato sul prossimo numero di Sud (ottobre)interamente dedicato al tema della musica e dei resti. Cosa resta della canzone italiana dopo Pasquale Panella?
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ps
Dialogo presentato in occasione del Festival della Filosofia, Instability, a cura dell’Associazione culturale Multiversum e dalla rivista Micromega, svoltosi a Roma all’Auditorium Parco della Musica dall’11 al 14 maggio 2006

Resti e Musica
di
Lucio Saviani

Il dialogo di oggi seguirà delle modalità, dei tempi, diversi da quelli che l’hanno preceduto. Questo, probabilmente per la natura stessa del tema che ha per oggetto. Ed è una natura doppia. E’ un dialogo doppio. Doppio è anche l’ospite, doppia l’altra voce di questo dialogo.
Il dialogo è con Pasquale Panella, che fa parlare Riccardo III.
Come dice Panella, è un Riccardo III da Shakespeare e da se stesso; in uno strano dialogo, oggi, come può accadere in certi lavori di Beckett.
Pasquale Panella: una delle voci più eversive della poesia italiana contemporanea. Panella fa brillare le parole, ma come fa un artificiere; le parole le fa brillare nella loro miniera.

La cinquina del Premio Campiello 2006

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niffoi-campiello.jpgdi Matteo Di Gesù 

C’è poco da fare: viene proprio da chiederselo. Banale e ovvio, inutile ed esornativo per quanto sia, il rovello s’insinua già mentre occhieggi, maneggi e annusi i libri che ti hanno spedito, e che dovrai leggere perché – che ci vuoi fare? – quelli sono, e tu, recensore, non hai che da metterti lì e masticarteli uno dopo l’altro. Ma del resto cominciare una recensione sulla cinquina finalista al premio Campiello (o meglio, sui cinque romanzi già vincitori del cosiddetto “premio selezione campiello”, tra i quali la giuria dei trecento lettori sceglierà quello a cui assegnare il cosiddetto “supercampiello”) ponendosi l’oziosa domanda: «a che servono i premi letterari?» è evidentemente inopportuno, se non rischiosamente fuorviante. L’unica è apparecchiarsi all’impronta una risposta sufficientemente valida (che non sia, dunque: “a far sì che gli editori sistemino sulla copertina la fascetta che recita:”Premio Campiello. Selezione Giuria dei Letterati”), farsela bastare e ripetersi la formula rituale: è uno sporco lavoro ma qualcuno doveva pur farlo.

L’elettrica solitudine di Voce

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di Aldo Nove

Il Cristo elettrico di Lello Voce è il libro che sigilla il ricordo di una generazione fiorita negli anni Ottanta e in quegli anni dispersa, magistralmente raccontata da uno dei più grandi poeti italiani. E’ un romanzo aspro, refrattario a ogni possibile forma di occhieggiamento a un pubblico che non si dà a priori, dando così espressione (a partire dall’introduzione, scritta su calco manzoniano, rivolta ai 25 lettori a cui ironicamente parlava il grande Lombardo) a un pessimismo che sfiora l’autoreferenzialità per mera conseguenza storica: quella di un isolamento assoluto dell’individuo di fronte all’avvenuto crollo di ogni illusione di collettività fattiva.

Casuali somiglianze volute

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di Franz Krauspenhaar

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“Le solite cose: com’è ovvio tutti i luoghi, le persone e gli avvenimenti sono liberamente inventati. Casuali somiglianze sono volute”. Questa è la nota dell’autore che appare alla fine di Quasi un’ infanzia di Hans-Georg Behr, (Einaudi pagg.324   euro 18,50). Una nota che dovrebbe sgombrare il campo da equivoci sulla quantità di autobiografia contenuta nel testo, se non fosse che, a leggerla e a rileggerla, questa nota a me è parsa sottilmente ironica soprattutto nel finale, quando si indicano “causali somiglianze volute”.

Il doping negli sport professionistici

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di Bruce Schneier, traduzione di Communcation Valley

La grossa novità nel ciclismo professionistico è che è stato annullato il titolo di vincitore del Tour de France a Floyd Landis perché il ciclista è risultato positivo al test antidoping, che ha rivelato l’uso di una droga per aumentare le prestazioni. Lasciando da parte per un momento l’intera questione sul permettere ad atleti professionisti l’uso di droghe per l’aumento di prestazioni, sulla pericolosità di tali droghe, e su cosa sia anzitutto una droga per l’aumento di prestazioni, vorrei parlare della sicurezza e delle questioni economiche legate alla problematica del doping negli sport professionistici.

un sorriso di buddha dormiente

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buddha    di Margherita Carbonaro

Con forza inspira qualche volta e si mette a sedere su una panchina. Le cicale stridono come impazzite. Non devono saper nulla del proprio chiasso, pensa fra sé e sé la ragazza, e probabilmente è così. Non sanno nulla del furore di cui stanno saturando l’aria. È un suono che cresce accumulandosi e poi si distende e cala. Come il meccanismo di un giocattolo, fai più giri con la chiave fino in fondo e poi la carica si svoltola a poco a poco. Ora lo stridio di milioni di cicale si addensa furibondo, si svoltola, si esaurisce, stordisce.

Il caso Vargas

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 di Gianni Biondillo 

pessoa.gif  Fernando Pessoa, Il caso Vargas, edizioni “il Filo”, 2006, cura e traduzione di Simone Celani.

Fa specie vedere come ancora oggi, residuo di un pregiudizio critico assolutamente novecentesco, molta della critica parruccona guardi con disprezzo tutto ciò che è “genere” – e quindi, nella loro schematica divisione del mondo, non appartenente di diritto alla Letteratura con la L maiuscola – mentre proprio in quegli anni del secolo passato, quando la cultura veniva fatta da grandi e più liberi intellettuali, quest’ultimi non avevano  nei confronti del “genere” pregiudizio alcuno:

Et dimitte nobis debita nostra

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Tra quest’immagine e l’autore del post non esiste alcuna relazione di fatto. Nomen Omen.
Questo post deve il suo slancio ai recenti interventi di Sergio prima ed Helena poi.

Inventario del gesto

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immagine-002.jpgdi Andrea Inglese

(io fungo, agendo così e così, in un quadro
più vasto, in cui servo e non servo, calzo
per oggi guanti gialli, spingo precise leve,
maniglie, mani, tastini, bottoni, mi adopro
nel tratto designato, fingo – tutto vestito –
di fare una cifra neutra, che passa liscia,
mi usate anche a torto, di traverso, bene,
faccio numero, mettetemi in fondo, io passo
le braccia conserte come gli altri, lo stesso
moto assorto di quello che serve e non serve)

Langewiesche, scrittore d’aria, di terra e di mare

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di Roberto Saviano

William Langewiesche è uno scrittore capace di mettere le mani nel budello della realtà. Polpastrelli nel sangue dei fatti, dita nella vescica del vero. Il primo libro pubblicato in Italia uscì per Arcana Lo schianto dell’EgyptAir 990 nel 2002 tradotto da Stefania Cherchi. Non ebbe grande successo, eppure è un lavoro fondamentale. Il racconto dell’inabissamento nell’ottobre del 1999 di un aereo decollato dall’aeroporto Kennedy di New York e diretto al Cairo in Egitto con 217 persone a bordo. Langewiesche, ex pilota professionista, indaga, raccoglie, ascolta le voci, le indagini, le carte meccaniche dei periti, per comprendere come quell’EgiptAir sia potuto inabissarsi d’improvviso.

Lo specifico filmico

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di Simone Ciaruffoli
 

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“Lei non sa chi sono io, mi faccia passare!”. Disse così Natalia Aspesi qualche anno fa sul limitare di una sala veneziana. Io ero presente.

Non la volevano fare passare, forse la sua frangetta costituiva un problema per chi pensa che un taglio fatto in quel modo sia impudico per una settantenne. O forse, più semplicemente, quelli non sapevano davvero chi era lei: Natalia Aspesi.

La casa di Ernesto

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di Mario Bianco 

L’Ernesto quando ereditò la casa dello zio Erasmo fu contento assaissimo ché pensava: che così la vendo e finalmente tiro il fiato dopo tutti ‘sti mesi passati ad assisterlo che sarà stato anche bravo ma scassava pure parecchio e ancora un po’ mi veniva l’esaurimento.
Poi aggiungeva dentro di sé: meno male che ho fatto venire il notaio in tempo se no zio mio manco mi lasciava tutto, finiva che dovevamo dividere tra quella puttana della Pina, l’Adriano che non l’ha mai degnato di attenzione o cosa, Emilio è stronzo si sa pure egoista e i Tempestini stanno già troppo bene del loro in Brasile, ecco.

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