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La lingua provvisoria

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mg1287gen06.jpgDi Andrea Inglese

Giacomo Sartori ha pubblicato su NI una risposta a un articolo di Massimo Rizzante, sottolineando i diversi ostacoli contri i quali urta il romanziere italiano, condannato ad una lingua e ad un paesaggio culturale determinati. Vorrei estendere questo dialogo all’ambito della poesia. Ma anche mostrare un particolare approccio a quella lingua sui generis che è la lingua di “traduzione’.

La traduzione come critica della cultura
In un articolo del 1947 apparso su “L’Unità” (1), Pavese ripercorreva le ragioni della propria e della altrui attività di traduttore, svoltasi nel decennio dal Trenta al Quaranta, durante il fascismo. In poche pagine, egli chiarisce non solo l’esperienza circoscritta dell’intellettuale antifascista in lotta sorda contro il regime, ma fornisce una chiave di lettura più ampia per comprendere l’esigenza di tradurre letteratura in circostanze storiche che si possono ripresentare in luoghi e tempi diversi.

Epifanie amorali

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di Giorgio Tesen

La macinatrice di Massimiliano Parente è stato pubblicato nel giugno del 2005 dalla casa editrice peQuod. L’autore, trentacinquenne alla sua quarta opera, scrive per il settimanale di cultura “Il Domenicale” e, come recita una nota nel risvolto di copertina del volume “non è un giornalista”. C’è da aggiungere che l’autore pubblica un romanzo in un momento critico della produzione letteraria degli autori appartenenti alla sua generazione, critico perché negli ultimi due anni, sotto i colpi di un mercato letteralmente invaso dalle saghe epiche di hobbit & maghi e malgrado l’imperversare di codici & graal in salsa pariglia con vere e proprie ‘sezioni’ di librerie monotematicizzate, si è sviluppata una sensibilità del lettore nei confronti di romanzi come questo, buon segno anche perché il romanzo in questione non è l’esordio di un autore esordiente.

Febbraio a Bisaccia

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di Franco Arminio

la bella luce di febbraio.
quest’anno è mancata anche quella.
febbraio è stato avvolto e avvilito
da questa luce vecchia, dicembrina.
prima della fugace primavera
bisogna aggirare il muro di marzo
e le montagne russe dell’aprile.
il paese non è più la belva
di un tempo,
la bocca sdentata, l’umore spento,
sembra che più nulla ormai lo scuota.
io qui sono un fantasma
dentro la testa e dentro la mia casa,
mi sento come una madre
che guarda in una culla vuota.

 

Pane e Quotidiani

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Gigi Moncalvo, il giustiziere della rete querela i blog
di Adriano Padua

E’ dovere di ogni buon giornalista la difesa della libertà d’espressione. Gigi Moncalvo,capostruttura di Raidue ed ex direttore del quotidiano “La Padania”, ha un modo alquanto singolare di adempiere a questo dovere. Si prende la libertà di ostentare e maneggiare un’arma, seppur finta, durante la stessa trasmissione televisiva che apre e chiude facendosi il segno della croce. Ha firmato prontamente l’appello dell’associazione Articolo 21 per ricandidare Giuseppe Giulietti, noto per le sue battaglie contro la censura. Chiunque però scriva su uno delle migliaia di blog presenti nella rete internet, ed abbia ultimamente parlato di lui, in questi giorni comincia a temere l’arrivo a casa delle forze dell’ordine, per recapitargli una querela per “diffamazione a mezzo sistema informatico”.

A gamba Tesa/ Raiz

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DIETRO IL SUO CHADOR

di
Raiz

Il Grand Hotel Meridién Le President di Dakar, Senegal, è un palazzone in mezzo ad un giardino di palme e mangrovie alla periferia della città. A dispetto del nome altisonante e malgrado sia de facto il miglior albergo di questa capitale, è una struttura che sembra sempre sul punto di scomparire sotto i colpi del clima avverso.
Rispetto ai suoi omologhi al di qua del Mediterraneo non manca di nulla, ma la costante puzza di umido, il divieto di bere l’acqua dei rubinetti e gli scarafaggi che escono dai tubi del bagno sono un monito costante dell’Africa a questo corpo estraneo, tipica enclave europea che lotta per la sopravvivenza a suon di condizionatori, gruppi elettrogeni e guardie giurate.
Io e gli Almamegretta vi siamo stati ospiti nel 1998 in occasione di un concerto organizzato dalla Fao che aveva per obiettivo lo scambio interculturale tra Italia e Senegal in un momento in cui molti senegalesi attraversavano i nostri confini nazionali in cerca di reddito; per noi che avevamo messo al centro del nostro progetto musicale lo scambio tra culture diverse, fare questo viaggio a ritroso era quanto mai stimolante.

Lo scrittore intelligente

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di Sergio Garufi

dfw-sized.jpgPer lungo tempo ho creduto ciecamente all’interpretazione ufficiale di David Foster Wallace. Wallace è il Musil del terzo millennio!, l’ultimo grande mostro sacro della letteratura mondiale!, la mente migliore della mia generazione!, un classico contemporaneo!, un temporale d’intelligenza! E’ curioso come si possa dar credito per anni a queste panzane, come ci si lasci così facilmente gabbare dalla più enfatica propaganda critico-letteraria; eppure il carattere scopertamente agiografico delle interviste in ginocchio e delle recensioni adoranti avrebbe dovuto svelarne subito l’esagerazione e l’inconsistenza. Forse, ciò che gli nuoce maggiormente è proprio questo culto della personalità, questa canonizzazione in vita (Wallace santo subito!), per colpa della quale di una promettente parabola artistica si è fatto carne da macello accademico, materia per tesi di laurea ed encomi solenni. Ed è naturale che, giunti a questo punto – cioè al punto in cui il suo nome non si può più discutere, perché appartiene al pantheon dei grandi pur avendo poco più di 40 anni, e quindi esige uno spirito acritico, un atteggiamento fideistico di prona devozione -, oggi esprimere delle riserve su Wallace risulti blasfemo, equivalga a sputare nell’acquasantiera, tanto più se si intende intaccare il mito fondante sul quale è basata l’unanime ammirazione dei lettori: la sua prodigiosa intelligenza.

Qui non ho pianto

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di Christian Raimo

Quando mi risveglio dall’anestesia senza braccio, la prima cosa che penso è che se mi scappa da pisciare d’ora in poi dovrò tenere il pisello con il braccio destro, e non l’ho mai fatto. La stanza del limbo postoperatorio è illuminata da una luce avvolgente e materna, e anche il ronzio del neon ha un languore tutto familiare. Sono sdraiato su un letto da ospedale grande e rettangolare; mi hanno lasciato qui da solo, a contemplare i miei sensi ancora attutiti, che si risvegliano a poco a poco, il liquido anestetico è ancora in circolo, e io: mi sento così bene.

Poesia sporca

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di Ferreira Gullar

La città è dentro l’uomo
quasi come l’albero vola
nell’uccello che lo lascia.

[ traduzione misteriosa]

Le macchine liriche. Sei poeti francesi della contemporaneità (2)

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mg1224gen06.JPG A cura di Andrea Inglese e Andrea Raos

(Continuiamo la pubblicazione dei poeti francesi – Hocquard, Portugal, Tarkos – iniziata qui)

Emmanuel HOCQUARD. Nato nel 1940. Tra i suoi libri più recenti : Théorie des tables (1992), Un test de solitude (1998), L’invention du verre (2003), tutti pubblicati da POL. Ha tradotto Charles Reznikoff, Antonio Cisneros, Natacha Strijevskaia, Michael Palmer, Fernando Pessoa.

Il discrimine

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di Francesco Pecoraro

berlusconipique.jpgLo so che tornare e ritornare sempre sulla stessa questione può alla fine darci la nausea.
Ma il “mistero del presente” non ammette scorciatoie, tollera male le sintesi affrettate, richiede una continua messa a punto delle argomentazioni, fino al rischio della noia.
Ritorno sulla questione del rapporto tra Berlusconi (inteso, più che come una persona, come un “Pacchetto operativo completo”) e gli intellettuali italiani.

La Prima Fiamma

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del
maestro Furlen

francesco forlani tedoforo con scorta La sveglia è alle cinque e mezzo. L’incontro alle ore sei in corso Belgio novanta. In corso Belgio novanta per Torino 2006. La torcia non si deve spegnere nemmeno sotto pioggia, neve e vento fino a 120 km/h e il fuoco che sprigiona non deve superare i 10 cm d’altezza con un’autonomia di 15 minuti. Alta 765 mm, 108 mm di diametro e 1,850 kg di peso, è prodotta in 12.000 esemplari numerati. Mitico!! Furlen tedoforo!

senza titolo

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di Massimo Sannelli

1. La poesia di Amelia Rosselli era un urlo corporale, a tutti, attraverso una tecnica precisa. Oggi è diventata un fenomeno elitario: la sua potenza inusuale interessa veramente ad una minoranza dei lettori possibili. Nessun popolo ha veramente accolto Rosselli: o perché «pubblico disattento», come nell’incipit di Documento, o per una reciproca impermeabilità. La poesia antiborghese non è automaticamente una poesia populista: «tu non distribuire / pensieri nelle selve, ai poveri, ma ai / ricchi, dona tutto il mio sangue». Prima di tutto, si trattava di non sedere più ad una tavola conosciuta e non parlarne più la lingua. Quindi: aggredire tavola e lingua con uno scempio raffinato, sulla base di una disposizione millimetrica che fa parte per se stessa. Dunque il sangue di Rosselli appartiene ai ricchi, paradossalmente: non ai poveri, che lo conoscono per elezione, ma possono rifiutarlo.

Libero?

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di Gianni Biondillo

Oggi ho avuto una giornata pesante. Non tanto per il lavoro, in fondo non ho fatto un gran che, ma per un colossale mal di testa che mi ha rovinato il pomeriggio. Colpa della digestione, lo so. Ho mangiato delle schifezze immonde. (In centro, a Milano, si tende a mangiare schifezze immonde, al costo di un pranzo da Chez Maxime.)
In ogni caso. Stasera, tornato a casa, col mio bel colossale mal di testa, ho ritirato la posta dalla casella (quella vera, intendo, non la posta elettronica). A me piace ricevere posta, mi sembra sempre che qualcuno mi pensi, che qualcuno mi voglia bene, insomma. C’era un po’ di tutto: bollette, una rivista di settore, una lettera della banca. E poi, infilata a forza per la sua dimensione, una busta, grande come un A4 (21, 29.7 mm). Su un lato c’era una piccola etichetta col mio indirizzo. Sull’altro lato c’era questo (cliccateci sopra):

Biscotti salati

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di Franz Krauspenhaar

tuc.jpgTutto cominciò a picchiare forte su sterno e cuore e cervello quando morì mio padre, al quale ho sempre cercato di assomigliare senza riuscirci. Mio padre per me voleva ben altro – mio padre, mio padre, lo nomino spesso, lo nomino troppo- voleva per me un avvenire radioso. Io avevo fatto molto per accontentarlo, mi ci ero messo d’impegno, non era difficile, pensavo, basta che segui le sue orme, sono ben disegnate, tu seguile e vedrai, mi dicevo. No, è andata come non m’aspettavo, tutt’altra cosa, tutt’altro giro, tutt’altre scene.

Poesia del 14 febbraio

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di Franco Arminio

posta elettronica: nessun messaggio.
telefonino e telefono: muti.
cassetta della posta: vuota.
non ci sarebbe da preoccuparsi,
sono ancora le dieci del mattino,
a quest’ora la gente lavora,
il mondo ti penserà più tardi,
magari ti arriverà
una lettera della banca,
quelle che non apri mai.

Maestri non Mostri

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IL SOGNO DEL MAESTRO

David Albahari
traduzione di Massimo Rizzante – fotografia: “Carota”, di Luca Anzani

a Danilo Kis
Carota - foto di Luca AnzaniNella notte tra il 13 e il 14 agosto del 1976 ho sognato, per la prima e ultima volta, Danilo Kis. Non ricordo se a quel tempo lo conoscessi già; in realtà, non ricordo affatto dove e quando l’ho conosciuto. Nel sogno, per quanto posso giudicare dalle note del mio diario, abbiamo scambiato solo qualche frase. Gli ho detto: «Mi piacerebbe parlarle». Danilo Kis mi ha risposto: «La prego».
È certamente possibile che il sogno sia stato molto più lungo e che io l’abbia dimenticato, o che al mio risveglio abbia intenzionalmente ridotto il suo contenuto a quelle due frasi insignificanti. Non c’è niente nelle note che precedono quella di quel giorno d’agosto che spieghi l’apparizione del sogno; non c’è niente nella mia memoria che mi fornisca una chiave supplementare. Eravamo in piedi o seduti? Si è inclinato verso di me o invece, a braccia conserte, è rimasto indifferente? E soprattutto: di che cosa volevo parlargli? E perché proprio a lui?

Uomo

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di Michele Monina

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[Il trasloco di Michele Monina pare biblico. E’ per questo che, di comune accordo, abbiamo deciso di pubblicare il suo articolo uscito su Diario il 20 gennaio scorso, al posto di un pezzo scritto apposta per NI. Per, diciamo, placare i sensi di colpa nei confronti di Andrea Barbieri, che chiedeva delucidazioni sul fenomeno Mondo Marcio in un suo commento (qui); sperando così di captare la sua benevolenza. Sicuramente non riuscendoci. G.B. ;-) ]

Milano, città del fumo. L’incontro con Mondo Marcio avviene in un angolo di strada, come dentro il testo di una sua canzone. È mezzogiorno, e ci si incontra per una colazione da Spizzico. Fuori è arrivata la prima neve, a rendere più ovattato il traffico prenatalizio di Corso Buenos Aires.

Le macchine liriche. Sei poeti francesi della contemporaneità (1)

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A cura di Andrea Inglese e Andrea Raos

[Leggere anche la seconda e la terza parte del dossier.]

Su tale scelta di testi tradotti si è espresso negativamente Alfonso Berardinelli (articolo 1 e 2). Noi gli abbiamo risposto difendendo le nostre ragioni (lettera 1 e 2).

Sei poeti soltanto non possono costituire di certo un paesaggio, ma neppure un semplice scorcio di poesia francese contemporanea. Ciò nonostante l’idea del paesaggio va salvaguardata, ma con un’opportuna correzione. È un “paradigma di paesaggio” quello qui proposto. In esso è possibile rinvenire dei tratti salienti comuni a un paesaggio ben più vasto e variegato.

Niente più culto dei morti nell’Italia del Novecento

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di Christian Raimo e Nicola Lagioia

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Io e Nicola eravamo stati amici – molto amici, stretti, sodali, soprattutto nei due anni in cui le cose stavano andando talmente a scatafascio che potevamo passare le ore a fare battute sarcastiche sul fatto che non avevamo i soldi per comprarci una corda da agganciare al soffitto.
In un’Italia divorata dalla crisi economica, nel maggio assolato e ventoso in cui per un periodo ci dividemmo un appartamentino a San Giovanni, le cose erano andate più o meno in questo modo: io ero depresso perché ero depresso e Nicola era depresso perché – fuori tempo massimo, nevrotizzato dai sensi di colpa – si stava sputtanando i pochi soldi che gli passava una web-agency facendosi nelle vene. Io lo guardavo con gli occhi abbacinati, abbozzavo meraviglia: preparare tutta quella roba lì, le bustine di cellophane, i filtrini di ovatta, il cucchiaino… Tutti i pulpiti su cui sarei dovuto salire per contraddirlo o almeno biasimarlo mi sembravano troppo alti, e del resto ero convinto che lui ce l’avrebbe fatta perché aveva una fidanzata, Betta, che nonostante tutto gli voleva bene, come lui era convinto che io mi sarei salvato perché avevo una famiglia che mi avrebbe fatto in qualsiasi evenienza da materasso protettivo; ma questo, appunto, non ce lo dicevamo.

È in edicola

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il n. 202 di “Poesia” (Crocetti), con il primo di due articoli di Marco Giovenale dedicati ad alcuni autori nati negli anni 1968-77. Il secondo testo uscirà in marzo. In entrambi è proposta una sezione antologica.
In questo numero di febbraio sono raccolti testi di Gian Maria Annovi, Elisa Biagini, Alessandro Broggi, Giovanna Frene, Florinda Fusco, Vincenzo Ostuni, Laura Pugno, Massimo Sannelli.

Il titolo dato a questo primo saggio e segmento antologico è legato al lavoro affrontato nel contesto di RomaPoesia 2005: Corpo, gelo, tempo, oggetti. Si tratta di un intervento in buona parte indipendente da quella occasione di incontro, ma che a vari campi tematici e riflessioni e discorsi lì impostati fa riferimento.

[ M.G., Questioni e generazioni. Alcuni autori nati negli anni 1968-77. Prima parte: Corpo, gelo, tempo, oggetti, in “Poesia”, a. XIX, n. 202, febbraio 2006, pp. 49-58 ]

La sciagura dei romanzieri italiani: risposta al comparatista Rizzante

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di Giacomo Sartori

1. Il comparatista

Massimo Rizzante è un (ottimo) comparatista, e nel testo pubblicato su Nazione Indiana (qui) ragiona da comparatista. A differenza del tassonomo, che classifica tutto, lottando anima e corpo contro la labirintica infinitezza del reale, e correndo a volte il serio rischio di prendere il proprio naso per una nuova interessantissima specie, il comparatista vola alto nei cieli. Con le sue potenti ali di grande rapace, che gli permettono di farsi un baffo delle ripide e perigliose scarpate che separano le varie vallette che incidono il paesaggio – punta con sicurezza sulle prede di proprio gusto: il suo acuminatissimo sguardo è rivolto alle prede più appetitose. Della fauna minore e dei vegetali che chiudono la catena alimentare nelle varie vallette gliene importa in fondo assai poco. Si potrebbe dire, con un’altra metafora, che la sua visione è quella di un raffinato gourmet, poco preoccupato di cosa si mangi nelle trattorie di second’ordine, sprezzantemente indifferente all’esistenza dei fast food.