di Maurizio Salabelle

(Un anno fa moriva Maurizio Salabelle, classe 1959. Se è possibile essere amici senza frequentarsi mai, allora Maurizio era un mio amico. Un mio caro amico. La cosa più “insieme” che abbiamo fatto, oltre a nascere nello stesso anno, è stata quella di esordire entrambi per l’editore Bollati Boringhieri. Ci si sarà sentiti per telefono due o tre volte nella vita. In una di queste occasioni gli chiesi un intervento per la rubrica “Martin Eden” che allora tenevo sull’Indice. Un pezzo in cui esplicitasse qualche aspetto della sua attività di scrittore, della sua poetica. Lui mi mandò questa riflessione. Mi dicono che sia stata l’unica volta in cui Maurizio ha direttamente parlato della sua scrittura. Dario Voltolini)


Entro le prime 48 ore dall’uscita nelle sale, tutti i miei amici sono andati al cinema a vedere il Signore degli Anelli.


Ricevo e pubblico molto volentieri questo messaggio di Paolo della Bella (db@paolo.dellabella.name, http://www.paolo.dellabella.name). T. S.
Quando sotto le mura di Troia si doveva scegliere il modo di assediare la città, al fine di espugnarla, vi furono due punti di vista, due atteggiamenti esistenziali, archetipici: uno era il cavallo di Ulisse. Affrontare la dura realtà coi colori dell’intelligenza. Sfruttando l’astuzia penetrare la meta bramata. Vengono usate insomma le stesse armi della realtà multiforme e cangiante. Achille, invece, contrasta la realtà affrontandola di petto. Nel caos della guerra, Achille, si distingue perché non accetta compromessi. Non viene distolto dalla confusione della situazione eccezionale. Continua a credere nei valori assoluti, alti, che non si lasciano intaccare dalla volgarità della guerra, e della quotidianità in genere. Il muro di Troia, per Achille, deve essere abbattuto con la integrità ottusa che egli ha appreso dal passato. In questo senso, ‘Ndrja Cambrìa, affronta il viaggio di ritorno, la conquista del villaggio natale, allo stesso modo di Achille. Mentre “l’Odissea ci insegna ad accettare la realtà com’è: Itaca”,(52) Cariddi da ‘Ndrja è stata ricreata dalla memoria e dai sogni, ma nella realtà non esiste. L’Ulisse interpretato da P. Citati pare essere l’eroe della vita, che si adatta alla vita, che si fa contagiare dai fatti che la sconvolgono in continuazione, anzi il suo Ulisse non sa vivere senza di essa, non

“‘Dove stiamo andando’, chiede Enrico di Ofterdingen, l’eroe dell’omonimo romanzo di Novalis, alla misteriosa figura femminile che gli è apparsa accanto all’antichissima rupe nella foresta, dove è diretto il nostro cammino? ‘Sempre verso casa,’ gli risponde la fanciulla, conducendolo a una larga e luminosa radura”.(1)
Nei giorni scorsi ho letto Le parole della memoria, un libro edito da Cadmo che raccoglie interviste rilasciate da Romano Bilenchi nell’arco di tempo che va da 1951 al 1989, anno della sua morte. In un’intervista l’autore del Conservatorio di Santa Teresa elenca una serie di libri da lui profondamente amati. Uno di questi è Bellarmino e Apollonio, dello spagnolo Ramón Pérez de Ayala, del 1921.