di Sergio Baratto

“Il tenente l’ascoltava ammirato, Pietro era in estasi.
– Ah, perché non sei italiana! – disse con rammarico.
– Il mio cuore è italiano! – rispose la fanciulla con fervore.”
Carolina Invernizio, La piccola araba
Giovedì, i primi morti italiani in Iraq.
Dall’11 settembre 2001 ho imparato che di fronte a certi eventi è meglio costringersi a qualche ora o qualche giorno di silenzio. Che a far prendere subito aria alla lingua, si rischia di dar fiato al peggior alito. Com’era purtroppo prevedibile, i mezzi d’informazione e le autorità hanno invece prontamente spalancato la bocca. Ne è sgorgata una massa di vecchi liquami assortiti: l’amor di patria e il sacrificio per essa, la strategia calcio-spaghetti, i vili traditori, i Salvi D’Acquisto. Persino Ground Zero, il nuovo, superbo modello di ogni tragedia che si rispetti (che sia rispettabile).
L’esperienza di calarsi in questa merda, nonostante il fetore, è istruttiva.
1.
Sfoglio il Corriere. L’effetto che ha sui miei nervi è dirompente. Mi fa diventare acido, cattivo, antipatriottico. Leggo l’editoriale, la seconda pagina, la terza… Comincio irrefrenabilmente a pensare che l’Italia non esista per davvero. Che sia soltanto una summa di stereotipi da manuale di stesura per fiction televisive o film da oscar.