Canto popolare e altre poesie

di Tomaz Salamun
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Canto Popolare

Ogni poeta autentico è un mostro.
Annienta la voce e la gente.
Il canto crea una tecnica che devasta
la terra per non farci mangiare dai vermi.
Il beone vende il cappotto.
Il furfante vende la madre.
Soltanto il poeta vende l’anima per
separarla dal corpo che ama.

tradotto da Jolka Milic

Giona

come tramonta il sole?
come la neve
di che colore è il mare?
immenso
giona sei salato?
sono salato
giona sei una bandiera?
sono una bandiera
tutte le lucciole riposano

come sono i sassi?
verdi
come giocano i cuccioli?
come il papavero
giona sei un pesce?
sono un pesce
giona sei un riccio di mare?
sono un riccio di mare
ascolta il sussurro

giona è presente se un capriolo corre per il bosco
giona è se guardo respirare la montagna
giona sono tutte le case
senti che arcobaleno?
com’è la rugiada?
dormi?

tradotto da Jolka Milic

Andraz

Mio fratello, nudo, bello come una sorgente immacolata, entra
nella sala e uccide l’agnello per amore:
mangiamo e meditiamo la scena.
La slitta d’estate arrugginisce, il cielo si fa

umido e basso, la terra genera fragole.
I soldati affamati stanno
tra i narcisi gialli come la notte,
chiara, chiara sentinella;
le persiane sono abbassate e ben chiuse,
i segni portano ai monti, alla Selva di Tarnova,
o, monte Čaven, l’aria densa di angeli,

crediti dell’armata, pane, pane,
o, Sibilla, espanso, rappreso colore
immobile, immutabile anelito.

Fiori Rossi

fiori rossi crescono in paradiso, il giardino è immerso nell’ombra
sprazzi di luce s’irradiano ovunque, ma non vedo il sole
e non so da dove provenga l’ombra sul giardino, l’erba è bagnata di
rugiada
e disseminata di grandi sassi bianchi sui quali sedere

le montagne intorno sono simili a quelle terrestri
solo che sono più basse e sembrano molto più lievi
credo che anche noi siamo molto leggeri, quasi fluttuanti,
se cammino i fiori rossi paiono un poco ritrarsi

mi sembra che l’aria profumi, che sia terribilmente fredda e rovente
vedo arrivare degli esseri nuovi
come se un’invisibile mano li adagiasse nell’erba,
son tutti belli e placidi e tutti quanti stiamo insieme

alcuni, aleggiami, sono risucchiati in vortici d’aria e scagliati lontano
scompaiono e non li vediamo più, e loro gemono
mi sembra che il mio corpo si trovi in un tunnel ardente
che lieviti come un impasto e che poi esploda fino alle stelle

qui in paradiso il sesso non c’è non sento le mani
ma tutte le cose e tutti gli esseri si compenetrano totalmente
e si scindono con impeto da folli per poi congiungersi di nuovo
i colori evaporano e tutti i suoni sono come un molle grumo sugli occhi

ora so che un tempo fui gallo e un tempo fui capriolo
che il mio corpo era trafitto da pallottole che si stanno sbriciolando
com’è bello respirare a fondo
ho la sensazione che un ferro da stiro mi stiri, e non mi bruci.

tradotte da Daria Betocchi

Pesce

Io sono carnivoro, ma sono una pianta.
Io sono Dio e uomo allo stesso tempo.
Io sono crisalide. Da me cresce l’umanità.
Ho il cervello che si espande come
un fiore, perché io possa amare di più. Ogni tanto
ci metto le dita dentro e fa caldo. La gente cattiva
dice che gli altri ci annegano.
Non è vero. Io sono la pancia.
Dentro accolgo i viaggiatori.
Io ho una moglie che mi ama.
A volte ho paura che mi ami
più di quanto io amo lei e sono triste
e depresso. Mia moglie respira come un
uccellino. Il suo corpo mi riposa.
Mia moglie ha paura degli altri.
Io le dico, no, no, non aver paura.
Tutti gli altri sono singoli esseri, come noi.
Un fiammifero bianco con la testa blu mi è
caduto sulla tastiera. Mi sono sporcato le unghie.
Adesso sto pensando a cosa scrivere.
Qua vive una nostra vicina. I suoi figli
fanno molto chiasso. Io sono Dio e li calmo.
All’una vado dal dentista, il dott. Mena,
in via Reloj. Suonerò e dirò che mi
tolga il dente, perché sto soffrendo troppo.
Sono il più felice quando dormo e quando scrivo.
I maestri mi passano tra le mani.
Questo è necessario. Questo è necessario così come
per un albero crescere. L’albero ha bisogno di terra.
Io ho bisogno della terra per non impazzire.
Vivrò quattrocentocinquanta anni.
Rebazar Tarzs vive già da seicento anni.
Non so se era lui in quel mantello bianco,
perché ancora non li distinguo. Quando scrivo ho
un altro letto. A volte mi espando più dell’acqua,
perché l’acqua ama più di ogni cosa.
La paura ferisce la gente. Un fiore è la cosa più
tenera, se ci metti sopra la mano. Ai fiori piacciono
le mani. A me piace tutto. Ieri notte ho
sognato che mio padre si chinava su
Harriet. Le altre donne mi spaventano,
perciò non dormo con loro. Però la distanza
tra Dio e i giovani è poca.
In Dio c’è sempre solo una donna, e questa è
mia moglie. Non ho paura che gli altri mi
dilanino. Io posso dargli tutto, e tutto poi mi ritorna.
Più io do, tanto più ritorna. Così diventa
una fonte per le altre creature. Su un pianeta c’è
il centro di raccolta per la mia carne. Non so
su quale. Chiunque berrà sarà
felice. Io sono un tubo dell’acqua. Io sono Dio, perché
amo. Tutto il buio è qui dentro, non
fuori. Posso radiografare ogni animale.
Mi brontola lo stomaco. Quando sento i miei succhi
gastrici so che vivo nella grazia. Io dovrei
giorno e notte inghiottire denaro se voglio
costruire la mia vita, ma ancora non sarebbe
abbastanza. Io sono fatto per
splendere. Il denaro è morte. Vado in terrazzo.
Da lì vedo tutto il paesaggio, fino a Dolores
Hidalgo. É caldo e tenero come in Toscana,
ma non è la Toscana. Là mi siedo con Metka e
guardiamo. Il sole tramonta e ancora sediamo e
guardiamo. Lei ha le mani come Šakti. Io ho
il muso come un animale egizio. L’amore è
tutto. La cesta di Mosè non si è mai
rotta sulle rocce. Dal paesaggio pianeggiante
camminano piccoli cavallini. Dalla Sierra soffia
il vento. Io vado in bocca alla gente con la testa
avanti e li uccido e li partorisco,
uccido e partorisco, finché scrivo.

tradotto da Giuliano Donati

Giovani morti

giovani morti! giovani morti!
dove nelle steppe gli uccelli spiccano il volo e il giorno si dimezza
dove i cubi delle teste sono velieri per sussurrare e i carri
delle assi di legno rimbalzano dalle rocce
dove i mattini sono splendidi come gli occhi degli slavi
dove a nord i castori si schiaffeggiano e gli schiaffi
risuonano come un invito alla morte
dove i bimbi mostrano gli occhi cerchiati e con rabbia
saltano su fastelli di legna
dove con braccia strappate spaventano i tori dei vicini
dove aspettano il freddo in fila
dove il pane puzza di aceto e le donne di bestie feroci
giovani morti! giovani morti!
dove rilucono le zanne e le fiabe frusciano
dove la più grande arte è inchiodare uno schiavo all’arco del salto
dove bruciano il mais su enormi superfici sicché dio lo fiuta
giovani morti! giovani morti!
dove ci sono apposite chiese di uccelli affinchè si abituino
al fardello dell’anima
dove gli abitanti ad ogni pasto fanno schioccare le bretelle
e sotto il tavolo calpestano testi sacri
dove i cavalli sono neri di fuliggine
giovani morti! giovani morti!
dove i birilli sono arnesi dei giganti che si strofinano
le mani unte sui tronchi
dove saluterebbero šalamun con un grido
giovani morti! giovani morti!
dove tutti i portieri sono di pelle gialla per perdere meno tempo
a chiudere gli occhi
dove i venditori di carne sono percossi a morte con le racchette
e non vengono sepolti
dove scorre il danubio nel cinema dal cinema nel mare
dove la tromba militare è un presagio di primavera
dove le anime fanno ampie volute e mormorano in coro con le belve
giovani morti! giovani morti!
dove la lettura è rinforzata con la ghiaia perché si senta
se si urta in essa
dove gli alberi sono a spirale, i viali a giunture
dove ai bimbi di un giorno intagliano la pelle come agli
alberi di sughero
dove spacciano alcool alle vecchie
dove i giovani scavano nella propria bocca come la ruspa
nel fondale di un fiume
giovani morti! giovani morti!
dove le madri sono orgogliose e dai figli sradicano fibre
dove le locomotive sono imbrattate di sangue di salmone
giovani morti! giovani morti!
dove la luce marcisce e scoppia
dove i ministri indossano granito
dove i maghi hanno incantato gli animali fino a farli cadere
in canestri, gli sciacalli stanno sugli occhi delle lontre
giovani morti! giovani morti!
dove segnano con delle croci i punti cardinali
dove il grano è ruvido e le guance gonfie a causa degli incendi
dove le greggi hanno occhi di cuoio
dove tutte le cascate sono di pasta cruda, le collegano con
nastri neri di giovani creature
dove ai geni rompono le ossa dei piedi con gli uncini per
il trasporto di legname
giovani morti! giovani morti!
dove è permesso fotografare solo piante che dopo continuano
a crescere e fanno scoppiare la carta
dove nei solai si stanno seccando le prugne e gocciolano
in vecchie cantilene
dove le madri dei soldati avvolgono pacchi di viveri su una ruota
dove gli aironi sono squadrati come le atletiche sagome
degli argonauti
giovani morti! giovani morti!
dove vengono in visita i marinai
dove nelle ville nitriscono i cavalli, odorano i viandanti
dove le piastrelle nei bagni sono ricoperte con disegni
di semi d’iris
dove nutrono i cannibali con assicelle di legno
dove le viti sono avvolte in velli grigi perché si faccia
una cateratta sugli occhi dei gelosi
giovani morti! giovani morti!

tradotto da Jolka Milic

Colgo l’occasione per segnalare il sito www.lyrikline.org dal quale ho tratto le poesie postate sopra. Lyrikline, edito in varie lingue fra cui inglese e francese, offre un’ampia panoramica delle poesia contemporanea mondiale, con file audio, bio- e bibliografie e traduzioni.

Tomaz Salamun, nato nel 1941 a Koper, in Slovenia, gode di grande considerazione internazionale. In italiano sono disponibili tre raccolte di sue poesie, fra cui quelle qui pubblicate nelle traduzioni di Daria Betocchi e Giuliano Donati. Salamun attualmente vive fra Lubljana e New York.

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helena janeczek
Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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