sfinge bluastra
di Ulrike Draesner
traduzione di Camilla Miglio
(metallo)
canto in pancia
dolore; sono le pareti raschiate
in pancia
ripulite, messe a tacere,
in ogni fibra muscolare, in ogni fibra
manca il bambino –
in pancia. vigono le leggi
della riproduzione, fanno rumore, i
raschiatoi, si aspirano tutto fino in fondo
fino alla radice, a dicembre
in pancia. tavoli d’ospedale
si richiudono, bianchi e raschiati,
voglioso di ogni legge dell’igiene
il tappo nel dorso della mano
rossa
la plastica e beve. ma cosa vuol dire
“nuvola”)
radicina, tu.
in corridoio cantano,
raschiano
rami raschiano la finestra,
la notte. si avvicina, alla vasca,
all’acqua calda
nell’uomo.
che piange; in ogni fibra gli misura
la sua ampiezza (nell’occhio, nel cuore)
solo nella notte,
gli mancano
le piccole baie, il bambino.
curve
le dita sulla gola come
allungata nel canto
là, sul muro
(una nuvola solo) sfinge bluastra,
domande –
in ogni fibra (ogni
lingua – richiudono,
riaprono)
con lo specchio
del muro raschiato (i rami
alla finestra) non acquietati, non allattati.
fibre. messe in silenzio.
ma affamato, ma sporge
dalla mano il tappo
rosso, una bocca svuotata
– non acquietabile, nell’uomo.
lied im bauch
schmerz; das sind die geschabten wände
im bauch
– leer geräumt, stillgestellt,
in allen muskelfasern, in allen fasern
fehlt das kind –
im bauch. es gelten die gesetze
der reproduktion, sie machen geräusch, die
küretten, sie saugen sich fest
im keim, im dezember
– im bauch. krankentische
klappen herunter, weiß und geschabt, die
gesetze der hygiene gierig
sitzt der stöpsel im rücken der hand
– rotes
plastik und trinkt. was aber heißt
“wolke”)
würzelchen, du.
auf dem gang wird gesungen,
geschrubbt.
äste schrubben das fenster,
die nacht. tritt herbei, zur wanne,
zum heißen wasser
– im mensch.
der weint; in allen fasern mißt
seine weite (im auge, im herzen)
allein in der nacht,
vermißt
die kleinen buchten, das kind.
die eingebogenen
finger zur kehle wie
zum singen gereckt
da, an der wand
(eine wolke erst) bläuliche sphinx,
fragen –
in allen fasern (allen
sprachen – sie klappen
herunter, sie klappen
herauf)
mit dem spiegel
der abgeschabten wand (die äste
am fenster) ungestillt.
fasern. auf stille gestellt.
doch hungrig, doch ragt
aus der hand der stöpsel
rot, ein leergeräumter mund
unstillbar, im mensch.
****
sala operatoria
(narcosi)
api di morfina
le loro strisce giallonere
un nonnulla di materia viscida
iniettato nella vena –
già si solleva una zampa pelosa
cala, cerca (così piena di peli)
(ma senza peluria) una seconda
(come fosse stata impollinata)
che racchiude il sedere
la testa sgorgante,
api di morfina,
spugnette di narcosi
ci inzuppano.
mi ti sprizzano via
tra le gambe
bimbo, fiorellino,
“spiaggia nuda”, a seconda,
si sbobina
in noi, dove “tu” fascio
fibra strappo, come “luce lilla”,
può darsi, “a quei tempi”,
siede su una collina,
“in queste regioni”
senza pronome
una coppia, giù, sulla spiaggia
che ti riconcepisce
mentre tu
arrotoli palline di miele
o elettricità o pensieri
nell’ape, nel ragno,
nel lago senza luce.
op
(narkose)
morphiumbienen
ihre gelbschwarzen streifen
ein glibbriger klacks
in die vene gespritzt –
schon hebt sich ein haariges bein
senkt sucht (so sehr behaart)
(doch ohne flaum) ein zweites
(als wär es bestäubt)
das den steiß umschließt
den ausschießenden kopf,
morphiumbienen,
narkoseschwämmchen
tunken uns ein.
sie spritzen dich mir
zwischen den beinen
aus, kind, blümchen,
“nackter strand”, je nachdem,
es spult sich ab,
in uns, wo “du”, strang
faser riß, als “lila licht”,
vielleicht, “dereinst”,
auf einem hügel sitzt,
“in diesen regionen”
pronomenlos
ein paar, unten, am strand
das dich wiederzeugt
während du
honigkugeln rollst
oder elektrizität oder gedanken
in der biene, in der spinne,
im lichtlosen see.
*****
si proceda
(aborto mancato. Tessuto estratto, 80 grammi)
sfugge emerge spinge
in continua
suzione d’aria viziata
spinge sbuffa in un galleggìo
di palline di in-
ed espirazione
passa per il tubo
di plastica appare
tremante
si poggia sulla mano
a dita contratte
davanti al viso, pupille semi
nascoste circondate
da verde scuro come laghi cantano
con te
cellule imbarcate per la notte.
ma nessun dio emerge
solo questo colpo
elettrico alla porta dei fianchi
aperta verso il basso, si seccano i
grumi, guizzano, guizzano,
nel vento dell’aspiratore
due piccole braccia
in una scodella
di sonno.
(controllo ecografico,
poco dopo)
camere di vetro siamo
in piedi nel
bagno. luccichiamo
e siamo. luce
irrompe, la porta
oscilla. s’infrange
e resta. vetro fa
quel che può. nello
screen nuota
un ricordo. ma
cieco. un sacco ruvido,
l’aria. strati di pelle
sul viso. qualcosa
trema e chiede.
angehn
(missed abortion, aushub 80 gr)
abtritt auftritt anlauf
ständig aufge
sogen abluft
anlauf anlaut durch schwimm
bälle ein
aus
atem durch an den arm
getackerten plastik
schlauch erscheinung
gezittert die
liegt auf der hand
mit verkrampften fingern
vorm gesicht, halb verdeckten
pupillen umwachsen von
dunkelgrün wie seen singen
für die nacht geheuerte
zelle dir nach.,
aber kein gott tritt auf
nur dieser elektrische
schlag an der nach unten
geöffneten schenkeltür, vertrocknende
noppen, flackern, flackern,
im absaugwind
zwei ärmchen
an einer schüssel
voll schlaf.
(ultraschallkontrolle,
kurz danach)
glaskammern sind
wir. stehen im
bad. funkeln
und sind. Licht
bricht, die tür
schwingt. splittert
und steht. glas tut, was es kann, im
screen schwimmt
eine erinnerung. Nur
blind. ein rauher sack,
die luft. lagen von haut
auf dem gesicht. etwas
zittert und fragt.
saputo e risaputo
[…]
(nella settima notte)
in sogno i colli vanno
via da me. sono
i miei seni. in sogno
perdo ogni cosa a me cara
mi sfugge via
la candela, la calza rosa,
la scarpa e la chiave. divento
una che va a funghi. vado
nel campo, col cesto. davanti a me
raspa un cane nero.
in segreto china sul margine di un
colle, lo guardo, scava
via tartufi, il terreno è scuro
e aspro. il mio pullover
a maglia grossa mi pende sulla
pancia. una mano calda si poggia
sul mio orecchio. il corpo torna
indietro da me. chiusure a strappo
mi aprono e chiudono.
[…]
(al mattino)
… e qualcosa di soffice
con la mora scura
in bocca. non
volevi vedere il mondo
il suo dolore
il suo travaglio.
ma essere tenero
(alberi in fiamme, figlio,
i coleotteri,
sono qualcosa da amare, in loro)
per te, con la mora scura
in bocca.
Neu und alt gewußt
[…]
(in der siebten nacht)
im traum gehen die hügel
von mir weg. sie sind
meine brüste. im traum
verliere ich was mir wert
kommt mir abhanden
die kerze, der rosa strumpf,
schlüssel und schuh. ich werde
pilzsucherin. ich gehe
ins feld, mit einem korb. vor mir
buddelt ein schwarzer hund.
heimlich über den rand eines hügels
gebeugt, sehe ich ihn, er gräbt
trüffel aus, das gelände ist dunkel
und roh. in weiten maschen hängt
mein roter pullover mir über den
bauch. eine warme hand legt sich
auf mein ohr. mein körper kommt
zu mir zurück. reißverschlüsse
schnappen an mir auf und zu.
[…]
(am morgen)
… und weiches.
mit den schwarzen beere
im maul. Wolltest
die welt sehen
ihren leid
ihren schmerzens.
doch zärtlich sein
(brennende bäume, kind,
die käfer,
sind liebes, darin)
dir, mit der schwarzen beere
im maul
*****
ti chiedo, chi siamo
(lasciando l’ospedale)
figlio:
plastica arancione acceso
ambulanza,
legno a pezzetti, la torre della televisione
lampeggiava giorno e notte. colazione a
letto. i mattoni rossi brillano,
foglie d’acanto, di pietra.
una nuvola d’embrione passava
(vedo chiaramente la testa, il pene,
il tuo cuore). argentei
si ghiacciano/sciolgono
gragnole di neve
tra la ghiaia.
è marrone grigio verde e
bianco / liquido amniotico si è
ghiacciato
sciolto
così
via
neve
e brilla
come tigna.
ich frage dich, wer wir sind
(beim verlassen des krankenhauses)
kind:
knallorange das plastik
rettungsfahrzeug,
zerhacktes holz, der fernsehturm
blinkte tag und nacht. frühstück im
bett. rot leuchteten die backsteine,
akanthusblätter, aus stein.
eine embryowolke zog vorbei
(deutlich der kopf, der schwanz,
dein herz). silbrig
frieren/schmelzen
schneegraupeln
im kies.
es ist braun grau grün und
weiß / lebenswasser ist es
gefroren
geschmolzen
so
fort
schnee
und er leuchtet
wie grind
*****
tu
(dopo tre mesi)
vedi la nuvola alta lassù, sopra il merlo, lattante
il sole, lassù? senti i ciuffetti tra gli alberi, i rametti di vischio,
vedi i nidi tra i rami spogli? intorno il tempo va avanti. adesso
e altrove ci inneva. sulla terra, come animella, nel vestito
del corpo, e felice. tra le foglie, vedi,
qualcosa saltella nella neve, ti lampeggia. un cybergioiello, sul
piumaggio del merlo. cristallo, più leggero della neve.
il sole se lo lecca. ronza. mormora. è
fibra di vetro, come sottoterra, rosso, come in un muro,
madre, dentro di te. come te ne stai seduta e pensi: tu.
ti giri, ti sposti, cerchi, il ramo. lui ti bussa
nel fianco, sotto i jeans. canto che mormora. io
sono così leggero, da piccolo, andato via, da te.
l’hai comprato. ci nuotano dentro due pesci rossi. verdi
scodinzolano le braccia delle alghe dietro di loro. sempre nella stessa
direzione nuotano i pesci nel vetro, in tondo. i loro
occhi neri sono come la luna. anche lei
ha un lato sempre girato altrove. il vetro sta
nella tua pancia. tu guardi con la vena tra fianco
e pube. io, inverno, nevico dentro la stanza.
sorridi. la luna, indicibile, resta dentro la stanza.
piccole stelle arancione, nuotano i pesci intorno a noi.
du
(drei monate später)
siehst du die wolke hoch oben, über der amsel, die saugende
sonne, daran? hörst die baumbüschel, die mistelzweige,
siehst die nester im leeren geäst? ringsherum geht die zeit. hier
und da schneit es uns. auf die erde, als seelchen, im rock
des körpers, und froh. zwischen den blättern, siehst du,
hüpft es im schnee, blinkt dich an. ein cyberjuwel, auf
dem gefieder der amsel. kristall, leichter als schnee.
die sonne schleckt daran. es summt. es sirrt. es ist
fiberglas, wie unter der erde, rot, wie in einer wand,
mutter, in dir. wie du da sitzt und denkst: du.
dich drehst, wegdrehst, suchst, nach dem ast. er pocht
dir in der hüfte, unter der jeans. lied, das da sirrt. ich
bin so leicht, als kleines, weggegangen, von dir.
du hast es gekauft. zwei goldfische schwimmen darin. grün
wedeln die arme der algen hinterher. immer in dieselbe
richtung schwimmen die fische im glas, im kreis. ihre
schwarzen augen sind wie der mond. auch er hat
eine seite, die ist uns immer abgewandt. das glas steht
in deinem bauch. du siehst mit der ader zwischen hüfte
und scham. ich schneie als winter ins zimmer hinein.
du lächelst. der mond, unsagbar, im zimmer drin.
kleine orange sterne schwimmen die fische um uns.
Ulrike Draesner è nata a Monaco nel 1962. Tra le autrici più interessanti dell’ultimo decennio, laureata in letteratura inglese e tedesca, ha interrotto una promettente carriera accademica per dedicarsi alla scrittura. Nel 1995 ha pubblicato la prima raccolta di poesie gedächtnisschleifen, Suhrkamp. Sono seguite für die nacht geheuerte zellen, Luchterhand 2001, e kugelblitz, Luchterhand 2005. All’attività poetica Ulrike Draesner affianca quella di narratrice, con Lichtpause, Volk und Welt 1998, Mitgift, Luchterhand 2001, e Hot dogs, Luchterhand 2004. Il suo ultimo libro, fra saggio e narrativa, è Schöne Frauen lesen, Luchterhand 2007. Con altri poeti della sua generazione ha dato vita al progetto di “paesaggio testuale” www.neuedichte.de.
I commenti a questo post sono chiusi
Avrei 3 domande da fare, a cominciare da: perché l’autrice rinuncia alle maiuscole? Ma la legge di Reister è micidiale: se solo il 3% dei lettori di NI legge anche i commenti, posti 100 lettori qui, solo 3 entreranno nel thread: Pinto, che ha postato, la Miglio che ha tradotto, e me, che però ho le e-mail di entrambi. Ergo
Io credo sia improbabile la percentuale riferita a coloro che leggono “anche” i commenti, perché chi legge il post intero si trova irrimediabilmente anche la colonna dei commenti (il thread) al di sotto di quello. Che poi li leggano oppure no, a quel punto non lo potremo mai sapere, è possibile che tutti e 100 i lettori scendano col cursore fino all’ultimo commento, come è possibile che nessuno di quei 100 oltrepassi l’antiporta “Segnala questo articolo”. Io credo che con quel 3% Reister intenda l’entità del cliccaggio su “commenti”: coloro i quali si dirigono direttamente al thread, o perché hanno già letto il post o perché ricercano visibilità commentando a vanvera.
se c’è anche Aditus, cui va aggiunto Ferrara, stante la legge di Reister i lettori di questo post (ma non dei commenti) sono al momento quasi 200.
jan reister
Pubblicato 24 Marzo 2008 alle 21:09
*a me risulta che i commentatori di NI siano un centinaio, che ci siano altri 200 lettori che leggono i commenti, e che i restanti 5.000 lettori regolari ignorino semplicemente i commenti.*
Chi è Ferrara?
Forse lo sformato di uova e pomodori?
Non pensate sia meglio svolgere questa discussione, se qualcuno è interessato, in bacheca?
Spesso i commenti sono interessanti, per cui si leggono volentieri, i vostri non sembrano proprio pertinenti.
G.
Draesner scrive titoli minuscoli: pregovi correggere nota esplicativa. attendo risposta mia domanda (temo invasione vergé capp. rosso usw).
Borso, cosa dovrei correggere, potresti essere meno ellittico? E soprattutto, visto che hai la mia e-mail, perché non fai queste osservazioni in un’altra sede?
P.s.
Non conosco le ragioni della grafia.
poesie “gedächtnisschleifen”, Suhrkamp. Sono seguite “für die nacht geheuerte zellen”, Luchterhand 2001, e “kugelblitz”
dire che è l’incipit di “für die nacht geheuerte zellen”.
Chissà se lo stridere doloroso di questi versi lancinanti, “metallici” quasi, potrebbe interrompere il bla-bla di chi ascolta solo se stesso… Chi ne è in grado, li faccia arrivare a quel sedicente statista che sulla sofferenza della donna ha fondato un partito e una candidatura, e magari anche alle forze politiche (quasi tutte) che gli esprimono solidarietà (di casta!) quando le donne in carne ed ossa lo prendono a uova marce.
Corleone, eccon e un altro, metti mano alla calcolatrice
Anche Melissa P ha questa fissa per le maiuscole. Si giustifica così: *credo che lettere maiuscole vivano di complessi di superiorità nei confronti delle minuscole e non è giusto utilizzarle perchè le minuscole ci rimangono male*. Chissà cosa ne pensa la Draesner…
lo stridere sovrasta il ronzio
Chissà perché, caro amico Niky Lismo, io e te ci troviamo sempre sulla stessa frequenza! Empatia?
Io credo che questa donna-poeta sia straordinaria, e in nessun commento ho trovato parole sensate sul suo lavoro poetico. Direi che molto spesso trovo commenti su NI, perdonatemi, alquanto superficiali. Vi si trova una facilità nel non dimostrare il proprio pensiero nascondendosi nella più pura banalità. E ciò toglie dignità a chi lavora, a chi presenta un autore, all’autore medesimo, recando scarso rispetto ad ognuno di loro.
Signori, qui si parla di un soggetto serio, di una poesia che squarcia il cuore, temi affrontati coraggiosamente da Ulrike. Incisioni sulla pelle, tagli (ma li sentite quali profondità abissali raggiungono?), dolore, e ancora dolore.
Non vi fa pensare la lacerazione di questa donna? No! Vi limitate a chiedere perché usa le minuscole…
Anch’io le uso quando scrivo poesia. E’ una scelta stilistica, che probabilmente Ulrike adotta per dare un senso grafico e visivo ai propri versi; ad ogni singola parola che si fa, in termini subitanei, immagine.
Lei, secondo me, polverizza il superfluo. Lascia soltanto l’essenziale di ogni suo “dipinto”; usa qualche sporadica punteggiatura; elimina maiuscole: non sa che farsene, non sono necessarie, probabili inutili giganti nell’economia della struttura compositiva.
La costruzione di ogni testo è quasi sempre diversa. Acquista dinamismo in alcuni casi, un senso di pesantezza se il testo esige compattazione. Riscontro molta bellezza, un senso strutturale studiato alla perfezione. E riguardo ai contenuti, che dire… Pura magnificenza!
Ricercatezza nel lessico, scrittura anti-consolatoria per scelta (in fondo ci porta nel suo Ade…); pura, talmente vera che viene da porsi il quesito: come fa Ulrike a sopportare il peso gravitazionale dei suoi versi? Tutta l’estatica visione lirica, passionale, quasi cristologica, in cui si pone essere umano ancor prima di essere poeta, e forse donna?
Di più. Lei sta alla poesia, come la poesia sta alla sua vita.
Grande. Grandissima.
Grazie per avermi permesso di conoscerla, per averle dato il meritato spazio su Nazione Indiana.
PS: credo che il lavoro del traduttore sia stato encomiabile! Complimenti anche a lui.
Con stima,
Nina Maroccolo.
ottima scelta, Domenico grazie anche per la traduzione di Camilla, che mi sembra molto buona.
Potresti invitare con fermezza i trollerini che balbettano d’altro a lasciar stare, o meglio potresti del tutto eliminarli, fan numero per niente.
Il postante ha poco rispetto della Draesner, che scrive tutto in minuscolo COMPRESI I TITOLI, per una questione di principio che qui viene calpestata girando i titoli in maiuscolo. Sulla questione, mi sono fatto una cultura con
http://www.lingue.unige.it/personale/piccardo/1120.pdf
io non conoscevo la Draesner, e ringrazio perciò traduttrice e postante.Se non conosco una cosa, normalmente la prendo dal basso, ossia dal minimo: in questo caso dalle minuscole. C’è invece chi non la conosce e parte dall’alto, dei Cieli, e dà una versione cristologica. Vabbe’, allora ci provo anch’io: più che cristologica, direi MARIANA.
Quanto a Reister, non è uno qualsiasi, è IL tecnico di NI, e i numeri li sa lui. certo, se dice 5.000 lettori si può dubitare, non nel senso dell’imbroglio, ma nel senso che il numero va tarato: ci sono molti frequentatori compulsivi che alzano la cifra!
Invece non si ha nessunissima ragione di dubitare sulle percentuali: quel 3% di lettori che legge anche i commenti è sacro, e qua sacro fa tremare (non i lettori però…)
Borso, non capisco di che rispetto vai cianciando. La Nationalbibliothek dà i titoli maiuscoli, così anche il suo principale editore, Luchterhand, anche se vi sono oscillazioni di grafia.
Mi sembri veramente fuori bersaglio: rimani sui testi presentati, tu che potresti farlo. E basta con la paranoia del correttore di bozze.
hai la gamba corta, Pintocchio!
http://www.draesner.de/en/books/schleifen/
http://www.draesner.de/en/books/kugelblitz/
http://www.draesner.de/en/books/nachtzellen/
Sarà l’ultima volta che ritorno sull’argomento, perché qui ci rimetto solo il ranno e il sapone:
http://dispatch.opac.d-nb.de/DB=4.1/SET=3/TTL=1/CMD?ACT=SRCHA&IKT=8500&SRT=YOP&TRM=ulrike+draesner
http://www.randomhouse.de/author_new/author.jsp?per=4327&ehf=6#tabbox
Abbiamo dimostrato che vi sono oscillazioni grafiche nei titoli, o perlomeno vi sono nella loro registrazione bibliografica. Tutto ciò era di vitale importanza per la lettura di queste poesie?
Un paio d’anni fa ebbi la fortuna di sentire la Draesner leggere in pubblico, e così di scoprirla; a queste belle traduzioni aggiungo solo, se può valere, il ricordo di una commozione metallica, nella scansione e nel timbro di voce, che mi colpì moltissimo e che tuttora mi rimane in memoria. Grazie a Camilla e a Domenico.
vedi, se la Draesner avesse scritto tutto in minuscolo e i titoli in maiuscolo, avrei detto: è una balorda! così sono andato a verificare, e nelle copertine i titoli sono in minuscolo. Sono altresì convinto che la Draesner, in quanto seria, ogni volta che si vede citata un libro di poesie in maiuscolo, le si torcono le budella. Per sapere se è così, ossia se ho ragione io, basta che la Miglio chieda alla Draesner e poi riferisca.
Il rispetto si vede dal piccolo, e soprattutto è sempre dovuto – (just a little bit) mister (just a little bit), sei ancora in tempo a correggere.
@Borso
Bene, ho corretto i titoli. Ma ora avvisi tu la Nationalbibliothek e Luchterhand.
@ Andrea
Andrea, grazie a te, invece, per l’improvviso chiarore.
c’è un sistema più semplice: basta scrivere a Ulrike qui
http://www.draesner.de/de/
lo farei subito, ma non ho il pc impostato per il kontakt. ditele delle poesie su NI, e di rispondere direttamente qui al quesito: cosa fanno le tue budella quando ecc.?
se non sbaglio, Arno Schmidt ha delle belle pagine sulla semplificazione grafica: illuminaci, Pintoricchio (senza oscillare però)!
ho dato, domenico, uno sguardo all’aquilecchia *ma io purtroppo sono uno storno nello stormo – non so le lingue – e come al solito sono rimasto frastornato* mi pare sedulo, industre, zelante, fleisig, diligentissimo, e sarei stato disposto a suggerire di accettare la sua proposta quando fosse ben chiaro che non intendo avallare la sua insopportabile pedanteria in fatto per esempio di punteggiatura e di grafia.
appartengo, come Signore ormai anziano, a quella categoria di borghesuccio di orrizonte limitato che non crede che l’abbandono della costruzione grammaticale, parole isolate, buttate giù come brandelli e, sopratutto, una incomprensibilità nebulosa siano già segni di genialità. La mia concittadina U.Draesner avrebbe potuto, senza la minima perdita di contenuto poetico, dire tutto in una phrase come: “Sono triste d’aver abortito mio bambino, è una cosa che mi occupa molto.” È sempre la stessa cosa: vengono confuse due cose che hanna niente a fare una con l’altra: 1) il desiderio di esprimersi, di eshibirsi, d’essere creativi e 2) il talento per questo desiderio. Possono coincidere le due cose, casualmente e molto di rado, come, per esempio, un giardiniere che abbia una gobba. Resta sempre una fronte e una mano per batterci sopra.
Questi sono problemi veri, fermarsi sulle maiuscole è da pazzi.
io non posso dare un giudizio sulla poesia di ulrike draesner *neanch’io so le lingue* e quindi nemmeno sulla traduzione: la cosa, per me, sarebbe imbarazzante: se la traduzione è ottima, come qualcuno dice, non è ottima la poesia, se invece la poesia non è ottima, come dice qualcun altro, allora, in questo caso, cosa significa un’ottima traduzione?
a proposito di karl betz. un pochino più in su, forse il signore non è tanto anziano quanto antico:
“V’è una terza forma di esaltazione, di cui sono autrici le Muse. Questa, quando occupa un’anima tenera e pura, la sollecita e la rapisce nei canti
e in ogni altra forma di poesia, e celebrando le infinite opere del passato, educa i posteri. Ma chi giunga alle soglie della poesia senza il delirio delle Muse, convinto che la sola abilità lo renda poeta, sarà un poeta incompiuto e la poesia del savio sarà offuscata da quella dei poeti in delirio”.
platone, fedro
forse il dolore solo non basta *il dolore non basta, e non serve, mai a niente* si può aver rifiutato cristo – il cristianesimo – proprio per questo motivo
è stato bello
partendo dalla scelta delle minuscole, autrice e traduttrice hanno dialogato coi commentatori sino a raggiungere il centro buio del poema
sarebbe stato brutto
se il postante avesse fatto la maestrina isterica (con tanto di bacchetta virtuale-tragica)
bd dalla penna rossa, vedo che non facciamo economia di retorica, meno male, sarebbe brutto se non dicessi le cose come stanno
sono stato bidello
se vedevo la maestra bacchettare…
ho fatto un birutto
quando ho visto le cifre di Reister!!!
@db
Il problema è che esiste una libertà d’espressione. Il mio atteggiamento riguardava un senso fastidioso iniziale, perché nulla sembrava avvicinare i commenti dei postanti alla poesia e alla visionarietà lirica di Ulrike. Divergevano con la semplice domanda di Pinto: “Che ne pensate di queste poesie?”. Tutto veniva detto tranne dare una risposta a Domenico. Alcuni termini che ho usato per descrivere il sentimento sorgivo nei vari momenti di lettura delle poesie di Ulrike, sono stati oggetto di “ridicolo”. Non importa. Non sono qui per ricevere approvazioni o con la pretesa di insegnare a chicchessia. Sono più semplice ed umile di quanto tu possa credere.
Ciò non toglie che la materia espressiva di Ulrike mi abbia richiamato a quel “cristologico” così messo all’indice, e solo citato come sensazione di somiglianza al tema del dolore, quasi al limite del sacrificio; ma ben lontano da ogni riferimento di tipo storico, evangelico o religioso.
Del resto la scrittura, di per sé, non è disciplina allegra. Figuriamoci quando si indagano temi come quelli della Draesner.
Dunque nessun passaggio isterico.
Inoltre sono d’accordo con Godog: “forse il dolore solo non basta…”.
E infatti, in quanto buddhista, sono alla ricerca del suo non perdurare nella vita già tragica di ogni essere vivente.
Se il mio commento iniziale è stato, come dire, un po’ sovrastato da rabbia, comprendo che sono andata contro i miei personali precetti: sta qui la mia sconfitta. La rabbia è un sentimento regressivo ed inutile.
Per tutto il resto continuo a credere nella libertà di potersi esprimere. Io l’ho fatto con Ulrike, anche se i miei commenti possono essere stati pertinenti o non pertinenti rispetto alla sua poetica.
Per il resto non so che dire. Adesso vige una nuova regola: ogni commento “verrà moderato”… Ve lo chiedo per favore: lasciatelo intatto.
O non passerò più da qui. Anche se per molti, credo sia una vera liberazione.
Un caro saluto,
Nina Maroccolo
in rete la dimensione e forse la struttura stessa dell’equivoco è differente che in vita: anche perciò è interessante, invita all’esperimento. ad es., letto il post ho posto la domanda: *perché l’autrice rinuncia alle maiuscole?* La situazione ottimale sarebbe stata che a rispondere fosse l’autrice; second best, la traduttrice. Invece ha risposto il postante: *Non conosco le ragioni della grafia.* Vabbè, uno si mette il cuore in pace. Nel frattempo però ben 2 redattori di NI, la Puecher e Sparzani, pensano bene di bacchettare: domande come quelle poste da me sarebbero *ronzio* e *trollaggio*. Infine, ci si mette il postante stesso, a bacchettare e smaniare sulle maiuscole dei titoli, che sono palesemente un errore. A questo punto arriva il *cristologico*, che per me è un’opinione come un’altra. Invece per lo staff non è un’opinione come un’altra: è valida, mentre la mia no. Da ciò le mie rimostranze contro le maestrine, che sono 3 e non comprendono la Matroccolo.
Sullo stato più in generale dei commenti in NI, la linea è: dolor, luctus et mortalitas tantum in gehenna remaneant. E quando Reister scrive: *a me risulta che i commentatori di NI siano un centinaio, che ci siano altri 200 lettori che leggono i commenti, e che i restanti 5.000 lettori regolari ignorino semplicemente i commenti*, dice più che i semplici numeri.
Non era certo un *bacchettare e smaniare*, il mio, mostrando la presenza, e in fonti non trascurabili, di grafie alternative, grafie che infine ho armonizzato. Perdi di lucidità, come in questo caso, a trascinare il discorso, fino alla consunzione, fino alla sazietà, sulle dinamiche del post. Ciò che ti viene rimproverato da più parti è proprio di alimentare gli equivoci di cui parli, tanto che a dipanarli bisognerebbe poi dedicare una quantità di tempo che solo tu sembri disposto a spendere. I tuoi contributi sarebbero, secondo me, di significato ben diverso se tendessi in qualche modo alla chiarezza, mentre vanno troppo spesso verso i torbidi di un pensiero noto a te solo. Fa’ mostra ogni tanto, oltre dell’armatura filologica, anche di qualche argomento. Ma già conosco la risposta, sarebbero perle ai porci.
Tuo Domenico
sembra che io spenda molto tempo, ma sono veloce di natura (altri hanno altri doni). sui titoli della draesner non c’è santi: sono in minuscolo, senza oscillazioni. certo, se lei non ci spiega perché, il discorso muore (non certo per colpa mia). Ovvero: altri poeti tedeschi usano le minuscole, ma questa non è una spiegazione (o non è una spiegazione da draesner).
*perle ai porci* non rientra nel mio vocabolario: al massimo *ghiande ai proci* – a prop., dov’è penelope, la mia adorata che dovrebbe tessere la trama del nazicrucco feuilleton? le ho spedito giusto 1 settimana fa la seconda puntata, dove di mio non c’è niente: è tutto e solo Heine, che parla di olandesi, di ebrei, di censori e madonnine. sarebbe il colmo se finisse censurata, no?
Caro DB, la Matroccolo (mi piace questa fusione tra anatroccolo e Maroccolo) vorrebbe davvero conoscere ed ampliare un dialogo con te. Superato il tutto, sarebbe bello aprire le nostre pance e dire quello che sentiamo sulla poesia di questa grande autrice, e condividerla con gli altri lettori.
Cosa c’è che non va? Io ho compreso che sei uno studioso, e credo anche di valore, ma a questo punto la priorità è un’altra: è solo Ulrike Draesner e la sua poesia.
Dai! Desidero anch’io conoscere il tuo pensiero, come tutti.
Un abbraccio,
Nina
scusa nina, ma è hans christian che mi picchia sovente in testa. io comincerei anche subito, buttando lì a mo’ di ripasso la versione Bluish Sphinx by Andrew Shields. ma fammi un favore: va’ su http://www.draesner.de/de/ e chiedi a ulrike se ci spiega le minuscole: lei capisce l’italiano, risponde in tedesco e pinto traduce (io non riesco a creare il contatto col marchingegno)
song in the belly
pain: scraped walls
in the belly
—emptied out, nursed dry,
in every muscle fiber, in every fiber
the child is missing—
in the belly. in effect, laws
of reproduction, they make noise, the
curets, they attach themselves
in the bud, in december
—in the belly. tray tables
snap down, white and planed,
laws of hygiene greedy
the plug sits in the back of the hand
—red
plastic, and drinks. but what’s it mean
“cloud”)
little root, you.
in the corridor, singing,
scrubbing.
branches scrub the window,
the night. a step this way, to the tub,
to hot water
—in the person.
who cries, finds, in every fiber,
her size (in the eye, in the heart)
alone in the night,
pines
for the little coves, the child.
bent fingers
raised to throat as
if to sing
there, on the wall
(a cloud first) bluish sphinx,
questions—
in every fiber (all
languages—they snap
down, they snap
up)
with the mirror
with the wall scraped clean (branches
at the window) unnursed.
fibers. set for nursing.
yet hungry, yet sticking
out of the hand is the plug,
red, a mouth emptied out
—not to be nursed, in the person.
op
(narcosis)
morphine bees
their yellow-black stripes
a slimy blob
injected into the artery—
a hairy leg already lifts
sinks seeks (so very hairy)
(but without down) a second
(as if pollinated)
that encloses the tailbone
the head shooting out,
morphine bees,
little narcotic sponges
dipping us in.
they rinse you
out of me between
my legs, child, little bloom,
“bare beach”, depending,
it comes undone,
in us, where “you”, strand
fiber rip, as “purple light”,
perhaps, “one day”,
sit on a hill,
“in these spheres”
pronounless
a couple, below, on the beach
that conceives you again
while you
roll balls of honey,
or electricity, or thoughts,
in the bee, in the spider,
in the lightless lake.
take
(missed abortion, tissue extracted, 80 g)
exit entrance effort
steady sucking
in of used-up air
effort at first breathe in
out
through swimming
balls through plastic
tube stapled to
arm apparition
trembling that
lies in hand
with cramped fingers
in front of face, half hidden
pupils surrounded by
dark green like lakes cells
signed on for the
night sing after you.
but no god enters
only this electric
shock on the door opened
downward in thigh, drying
nubs, flicker, flicker,
in suction wind
two little arms
on a basin
full of sleep.
(ultrasound checkup,
soon after)
glass rooms are
we. stand in
bath. sparkle
and are. light
splits, the door
swings. splinters
and stands. glass does
what it can. on
screen swims
a memory. only
blind. a raw sack,
the air. layers of skin
on the face. something
trembles and asks.
new and old, known
(the next day)
we still do have the hum of heart
stand in garden, eating cherries,
childlike and glad
we still do have the hum of heart
blackbirds in grass, stroke
hands light playing
the final sum is waiting, silent,
is stroking us—and has it
still, the hum of heart, in us
and chews the cherry, silent.
(in the seventh night)
in dream the hills go
away from me. they are
my breasts. in dream
I lose what I value
slips from my grasp
the candle, the pink stocking,
key and shoe. I become
mushroom hunter. I go
into the field, with a basket. before me
a black dog burrows. secretly
bent over the edge
of a hill, I see him, he digs
up truffles, the terrain is dark
and raw. the loose mesh of my
red sweater hangs over my
belly. a warm hand covers
my ear. my body comes
back to me. zippers
on me snap open and shut.
(in the eighth night, dream)
saw her push
a tampon in
a small white figure
packed tight as if to parachute—a photo of a child
appeared—little girl as fly agaric—someone turned
the knob—pulsing pointer on shining
frequency scale—brain rhythm of a gnat in
flight over dragonfly pond.
the smooth. the notched.
the gleaming, inside, in her.
plug zipper. bleeding after missed
abortion. on the scale the pointer
phosphoresces in ultrasound
white: follow me
follow me. white as a tooth
you lie in my belly
and sleep.
(in the morning)
… and something soft.
with the black berry
in its mouth. wanted
to not see the world
its suffered
its painings.
but to be gentle
(burning trees, child: some-
thing sweet, lady-
bugs, in them)
to you, with the black berry
in your mouth
i ask you who we are
(leaving the hospital)
child:
bright orange the plastic
ambulance, chopped
up wood, the television tower
flashed day and night. breakfast in
bed. the bricks shone red,
acanthus leaves, of stone.
an embryo cloud drifted past
(the head clear, the tail,
your heart). silvery
soft hail
freezes/melts
in gravel.
it is brown gray green and
white / water of life it
frozen
melted
right
away
snow
and it shines
like scabs
you
(three months later)
can you see the clouds up high, above the blackbird, the
suckling sun, on it? hear the tufts of trees, the mistletoe twigs,
see the nests in empty branches? all around, time goes. here
and there it snows us. onto the earth, as small soul, in the skirt
of body, and glad. between the leaves, see,
it hops in snow, blinks at you. a cyberjewel, on
the blackbird’s feathers. crystal, lighter than snow.
the sun licks it. it hums. it buzzes. it is
fiberglass, like underground, red, like in a wall,
mother, in you. how you sit there and think: you.
turn around, turn away, look, for the branch. it pokes
you in the hip, under your jeans. song buzzing there. i
am so light, as a little one, gone away, from you.
you bought it. two goldfish swim in it. green
the algae’s arms wave behind. always in the same direction,
the fish swim in glass, circle. their black eyes
are like the moon. it too has a side that’s invisible. the
glass stands in your belly. you see with the vein between hip
and pubis. i snow as winter into the room. you smile.
the moon, unutterable, in the room, too. little orange stars
the fish swim around us.
es gelten die gesetze
der reproduktion, sie machen geräusch, die
küretten, sie saugen sich fest
im keim, im dezember
– im bauch.
vigono le leggi
della riproduzione, fanno rumore, i
raschiatoi, si aspirano tutto fino in fondo
fino alla radice, a dicembre
in pancia.
in effect, laws
of reproduction, they make noise, the
curets, they attach themselves
in the bud, in december
—in the belly.
nina, che volevi un commento: Italia-Inghilterra : 2-1. al 1° v. segna Miglio per uno svarione del difensore inglese, che dimentica il verbo. poi al 3° v., su attach sconsiderato di Shields, contropiede alla radice del solito Miglio. al 5° v. di recupero, gol della bandiera inglese, con Andrew che sradica l’asta della bandierina posizionandola però correttamente in orizzontale. Fischio finale, e tutti negli spogliatoi.
Potrebbe sembrare che Platone sia dalla parte dei “poeti in delirio”, ma poi, con quella cesura, risulta chiaro che preferisce la “poesia del savio” [Ulrike Draesner? per noi] che, purtroppo per lui, sarà sempre offuscata dall’altra.
E infatti, poi, i poeti, quelli veri, li espelle da quel lager nazista che è la sua Repubblica.
Ora,come si vede, non è che io sia un entusiasta di Platone: ma almeno sulla poesia mi pare dica una banale verità: siccome si tratta di poesia, la poesia bella è quella che è bella .
Lasciamo stare il perché la bellezza debba essere prodotta dal delirio. Anche se è così.
O no?
E quando è brutta – fosse pure il Pater Noster – è brutta.
D’altronde, per la parte critica : “ I giudizi di valore nella ricerca […] si fanno sempre più difficili e noi […] ci stiamo trasformando per lo più in tecnici”.
Qui non si parla però di poesia. E’ un matematico, Stanislaw Ulam, che parla di quello che succede in matematica.
Anche lui è alla ricerca di “valore”, come Platone: “celebrando le infinite opere del passato, educa i posteri”.
E’ a questo punto che non ci capisco più nulla.
Che ancora una volta, come sempre, etica ed estetica siano destinate a non incontrarsi, come l’ape Maia e la sua cara mamma?
E io che mi sento più vicino a un qualunque ninfolessico che sa stare al suo posto, che a chiunque abbia il coraggio di esaltarmi le “Confessioni” di Sant’Agostino. Perché sarei capace di ucciderlo, sapendo quali pericoli per la mia libertà rappresenti uno che la pensa come lui.
fratello!
E’ solo stamani che mi accorgo che la poesia di Ulrike ha fatto le spese di una contingenza da gazzetta: tre articoli de “La Repubblica” di ieri. [Io lavoro e al giornale do una sguardo la sera].
1. Piergiorgio Odifreddi, Se i libri bruciano.
Non ha potuto citare Sant’Agostino, che come vescovo di Ippona guidava branchi di fedeli a
distruggere le biblioteche dei pagani colti, solo perché le cronache del tempo non specificano se
usasse anche il fuoco.
2. Andrè Glucksmann, Il nichilismo di oggi figlio del sessantotto.
“il vecchio continente non si unificava nel cielo limpido dei valori “positivi”. La sua professione
di fede conteneva un triplice rifiuto: era antifascista, anticomunista e anticolonialista. Un’etica
che attuava la volontà di sbarrare la porta ai tre “inferni” del ventesimo secolo: i sessantottini vi
si riconobbero spontaneamente, a differenza dei postsessantottini che non se ne cureranno più.
In mancanza di un accordo preliminare sui mali e sulle calamità da evitare, gli ideologi si agitano
in assenza di gravità […]. L’abolizione a priori della possibilità di mettersi d’accordo su – o
meglio contro – i pericoli che incombono, rimanda ciascuno alla ragnatela presente nel suo
cervello […].”
Insomma l’abbiamo capito che non è più tempo di “Proibito proibire”, ma che l’unica salvezza,
dice lui, è mettersi d’accordo su “che cosa proibire”?
3. Jurgen Habermas, Habermas e Rorty. Un’amicizia iniziata con una sonora lite.
“Una seconda, più radicale spinta dell’illuminismo deve così rinnovare le ragioni autentiche di
una modernità che non ha tenuto fede alle sue promesse. La modernità deve ricavare ogni
normatività solo dal proprio interno. Non c’è nessuna autorità, né punto fermo, al di là dell’
impenetrabile contingenza[…]. D’altro canto, la human condition è caratterizzata dal fatto
che il realistico riconoscimento della finitezza e della corruttibilità dell’umana creatura –
fallibilità dello spirito, vulnerabilità del corpo, conflittualità sociale – può sempre trasformarsi
nell’impulso creativo a migliorare società e cultura[…].
Direte voi: ma che ci chiappa la Ulrike Draesner? Mah!?
c’entra, fratello, c’entra (e grazie per la rassegna: lavoro anche di sera, per cui giornali 0). anzi, la domanda che ciascuno dovrebbe rivolgere a sé e tutti a NI è: siamo veramente pronti per un balletto di suore morte?
Martedi’25 marzo la redattrice di NI Helena J. mi scrive che l’idea di Gioventù Tedesca le sembra interessante, quindi di scriverla se mi va. Aggiunge che vorrebbe prima vedere cammello, ma in linea di massima me lo mette su volentieri.
E difatti la prima puntata del feuilleton previo controllo esce su NI giovedì 27 marzo. Il giorno dopo scrivo a Helena: “procederei così, a ogni puntata: prima ti dico cosa avrei intenzione di fare; se ti dichiari d’accordo, stendo il testo e te lo mando. secondo me la lunghezza giusta è quella della prima puntata. La seconda sarebbe la traduzione da Heine, il cap. VI delle Memoires del Sig. Vattelapeskovski. Secondo te, un polpettone dovrebbe avere cadenza settimanale o semisettimanale?”. Sabato 29 marzo Helena mi risponde che non ci sono problemi di cadenza, e di regolarmi da me.
Così mercoledì 2 aprile le invio la seconda puntata accompagnandola con: “se esce domani rispettiamo il polpettone al giovedì (venerdì baccalà). fammi sapere, così quando posti controllo i refusi su NI”.
Giovedì 3 aprile la seconda puntata non è uscita. Poco male. Venerdì ho inviato a Helena l’originale tedesco di Heine, casomai volesse postare pure quello. Ma da 11 giorni ormai non ho più avuto notizie. Qualche svelatore di equivoci mi dà una mano?
Vedo che nessuno c’è cascato. solo il mio fratello *ndragh* si è dichiarato disposto a seguirmi su questa strada. anzi si è assunto il compito di incitarmi ad andare avanti, quando stavo per fermarmi.
il commento di stamattina era proprio una bella provocazione. mi ero complimentato con me stesso quando l’ho scritto.
1. habermas è il più famoso tra gli intellettuali laici – lasciando perdere le pere marce – che dialogano con benedetto sedicessimo. vicario del cristo in terra, con annessi e connessi
2. rorty, oltre ad esserne uno agli antipodi, è anche quello che in *conseguenze del pragmatismo* riferendosi al suo amico, questo sì vero, searle, dice:
*il rapporto fra le parole e il mondo dev’essere compreso osservando come le parole vengono usate, invece di partire dal punto in cui esse si ricollegano alla realtà.
ora, è proprio per comprendere l’operazione della draesner che possiamo applicare il metodo di rorty [e di searle, e di wittgenstein].
la cosa per me si conclude in questa proposizione *l’operazione della draesner esteticamente non supera la celebrazione di un dolore individuale*
3. glucksmann: il più grande pericolo – è una mia, fortissima, opinione personale – per noi, non è qualcosa che debba avvenire, ma qualcosa che è avvenuto e che sta avvenendo e che rende marcio ogni cosa che fa l’occidente: il cristianesimo.
la prima cosa che farei – se il discorso di glucksmann fosse valido – sarebbe di proibire ogni espressione che, anche in modo inconscio, provochi o favorisca un atteggiamento di tolleranza, di sublimazione e di uso del dolore
e invece siamo qui nella gehenna, a raschiarci e macerarci le cervella. faccio un esempio. “Il boligrafo boliviano” è un polpettone di NI giunto alla 17ma puntata: l’autore tra l’altro ha il suo bel sito ufficiale dove esterna di essere sposato con una modella di Fendi. io invece, con la mia Gioventù tedesca, mi hanno segato perché flop, e pare che trasmettano solo ancora la seconda puntata “per pietà”. in più mi è scappato l’amico hans, le modelle le vedo solo in tv, sono nato l’immacolata concezione, e grazie alla 194 mi fanno abortire: ma lo sapete che potevo diventare un leonardo?
@db: ti amo
se avessi un briciolo di potere – ma ho rinunciato al potere per poter uccidere con le parole, se solo ci riuscissi – obbligherei ogni
lettore di n.i. a recitare un pezzo di “Gioventù tedesca” 1.2.3.4.5…etc. prima di poter accedere al sito
e non essere severo con le leggi: a noi ci ha
salvato la 180
sturm, ho letto dal dentista che la ninfolessi prima o poi va in apoplessi: comunque sempre meglio della catalessi e dei bolliti misti, no?
Come trasmettono la seconda puntata solo “per pietà”!? E perché flop?
E’ ingiusto, ora vogliamo tutte le puntate, e rivogliamo anche Ebner!
Sturm, ma tu leggi nel pensiero? è tutt’oggi che penso a questo passaggio del dott. Antonucci:
Ero appena arrivato a Gorizia e non avevo ancora avuto l’assegnazione dei reparti. Una domenica ero di guardia, quindi avrei dovuto svolgere le funzioni dei medici assenti, ed il mio collega Jervis mi telefonò dicendomi che dovevo fare l’elettroshock a una sua paziente. Io risposi che l’elettroshock non lo facevo, egli disse che l’avrebbe eseguito di persona e mi invitò ad andare a vedere.
Così, perché non pensasse che io non facevo l’elettroshock per l’impressione, anziché per principio, cioè perché l’elettroshock fa male ed è una forma di tortura, fui costretto ad andare a vedere. Vidi fare l’elettroshock ad una suora di ventotto anni che era stata internata dalle consorelle del suo convento perché ad un certo punto aveva cominciato a dire che lei non voleva più saperne di essere sposa di Gesù, ma voleva degli sposi sul serio. Jervis allora le fece l’elettroshock. La situazione si commenta da sola! Io presi i reparti di donne che erano di Jervis e vi trovai che l’elettroshock era molto usato, mentre nei reparti degli uomini esso era stato già eliminato. Inoltre i medici sostenevano che le persone dovevano essere liberate dal manicomio, ma non tutte potevano uscire. Le uscite erano consentite solo se controllate, mentre con me non erano più controllate perché ritenevo che ogni persona avesse il diritto di uscire quando voleva e secondo le sue intenzioni. Operai così due cambiamenti: tolsi l’elettroshock e lasciai le persone libere. Inoltre cominciai a ridurre drasticamente gli psicofarmaci, per poterli in seguito togliere definitivamente. Sono convinto che le persone che sono nella sfera psichiatrica sono persone come noi che hanno dei problemi, forse più difficili da affrontare, ma con le quali bisogna comunicare e non porsi in maniera paternalistica. Per esempio, se una persona viene da me e dice di essere perseguitata dai servizi segreti, io ci discuto perché mi sta comunicando una sua idea. Questa idea può essere giusta o sbagliata, ma il fatto di sbagliare non significa essere malati di mente poiché sbagliamo tutti in continuazione. Oppure se qualcuno viene da me e dice di credere nella Trinità, io lo rispetto, anche se la sua idea di tre persone distinte riunite in unico Dio non è fondata certamente sulla logica.
Jervis dunque nel ’68 con una mano faceva l’elettrochock e con l’altra scriveva su Quaderni Piacentini?
Per concludere il discorso (si fa per dire)
Nato a Firenze il 25 aprile 1933, Giovanni Jervis ha conseguito la laurea in Medicina a Firenze nel 1957, e la specializzazione in Neurologia e Psichiatria a Roma nel 1960. Nel 1968 ha ottenuto la libera docenza in Psichiatria. Dal 1959 al 1963 ha collaborato con l’etnologo Ernesto De Martino in ricerche sul tarantismo pugliese e sul tema culturale e psicopatologico della fine del mondo. Dal 1966 al 1969 ha collaborato con lo psichiatra Franco Basaglia lavorando a tempo pieno nella Comunità terapeutica di Gorizia. Dal 1969 al 1977 è stato direttore dei Servizi psichiatrici territoriali di Reggio Emilia. Dal 1977, anno in cui sposa un’ex-modella di Fendi, insegna all’Università La Sapienza di Roma. Attualmente è ordinario di Psicologia Dinamica nella Facoltà di Psicologia di questa Università. E’ stato, negli anni Sessanta, membro del consiglio editoriale della casa editrice Einaudi e in seguito consulente per la Feltrinelli e la Garzanti. Ha una formazione psicoanalitica freudiana.
Dunque la moglie del boligrafo… ?!
“dei maiali si può utilizzare tutto, tranne gli strilli”: è Vonnegut, mi pare in *madre notte*. ed è lì: i macelli di Boston, che ho saputo che l’elettroshock venne acquisto alla *medicina* tramite un medico italiano che vi aveva visto stordire il bestiame prima dell’esecuzione
a proposito, nessuna sa che gli u.s.a. hanno la migliore legislazione in fatto di sofferenza animale?
se una bestia viene pungolata più di venticinque volte elettricamente, è quello che usano, il pungolo elettrico, per portare i bovini all’esecuzione, la mcdonalds non l’accetta più. chi ha promosso la legge, una grande, una zoologa autistica, un grande libro adelphi *la macchina degli abbracci* lo ha fatto perché ci crede. la macdonalds lo fa perché la carne angariata è meno buona
jervis, mai convinto, come mai mi convinceranno freud e i freudiani, io abito vicino monte sole – ma non quello di dossetti – quello in ticino, in isvizzera [mi piace il suono di *sonare*]
che poi j. sia in qualche modo legato a de martino, non mi meraviglia più di tanto, sono certo, da tempo, che oltre gli occhi dell’americana, ci siano ben precise responsabilità personali e politiche nella morte di pavese. de martino, cane mastino di togliatti, fu il maggior responsabile dell’addomesticamento prima e della distruzione poi della CollEzione di Studi REligiosi, etnologici e PSicologici – *la collezione viola* dell’einaudi – la più amata creatura di pavese: la mancata cura omeopatica per il nostro marxismo, la cui mancanza ha condotto me e i miei coetanei, quarant’anni fa, sull’orlo dell’abisso
Cercando Madonna Helena disperatamente, ho sbattuto su questo pezzo: *Se mettete a bagno Stephen King nel calderone della tradizione mitteleuropea e talmudica, se lo convincete a non guadagnare cifre abnormi, se lo traumatizzate in età precoce, se amplificate le sue capacità telepatiche e oniriche, se lo sottoponete a chirurgia genitale e a una prodigiosa opera di restyling estetico – allora, avrete Helena Janeczek.* M’inquieta assai, in questo senso: partendo dal postulato che uno non viene meno alla parola data se non per cause di forza maggiore, allo stato attuale ne vedo solo 2: o mi considera un antisemita, o è morta. In entrambi i casi, non c’è da stare allegri.
A me dispiace che Cerletti sia ricordato solo per l’elettroshok: forse perché ha avuto diffusione enorme. Ma i suoi studi sul gozzocretinismo erano più profondi ancora, solo che non gli si dette retta, e i risultati si vedono ora.
(per noi alpini comunque Cerletti resterà sempre l’inventore della tuta mimetica bianca)
Sì, ma non a Boston:
*Ebbi un tremito e e chiusi gli occhi. “Com’è che dicono nei mattatoi di Chicago, a proposito di maiali?”
“Non so,” disse Wirtanen.
“Si vantano di saper utilizzare tutta la bestia, tutto tranne gli strilli,” dissi.*
Kurt Vonnegut, Madre notte. pag. 161, Feltrinelli, U.E.
e così si ritorna in Bassa Baviera: cos’altro sono infatti, queste della Draesner, se non scene di caccia?
sturm, ma se alicata scriveva in “Il meridionalismo non si può fermare a Eboli”: “secondo noi, se egli ce lo consente, è accaduto perfino ad Ernesto de Martino, il quale pure tanto contributo ha dato non solo all’approfondimento, alla luce del marxismo e particolarmente alla luce dell’opera di Gramsci, dei problemi metodologici dell’etnografia e del folklore ma tante benemerenze si è acquistato, e continua ad acquistarsi, con le sue indagini concrete sul folklore contadino meridionale, e particolarmente lucano, di cadere talvolta, e prorio per influeza del Levi, nella posizione (non marxista) di “scindere il suo interesse teorico di capire il primitivo” dal suo “interesse pratico di partecipare alla sua liberazione relae”. Con la conseguenza, secondo noi, di presentare certi elementi di superstizione propri della “concezione del mondo” di contadini meridionali non in lotta con gli altri elementi di una “concezione del mondo” più critica e razionale, già presente oggi nella loro coscienza seppure in forme elementari, ma quasi come la manifestazione di un loro congeniale, e pur sempre valido, strumento di rappresentazione e di conoscenza della realtà.”
alicata sembra riprendere togliatti, che nel 1952 aveva scritto: “L’esistenzialismo è venuto e partito come una foggia nel vestire. Le piu varie correnti di rinascita spiritualistica e nazionalistica sono alimentate coi mezzi più diversi e bizzarri, che vanno dalle cosiddette poesie, che nessuno sa cosa siano e cosa vogliano dire, alle serissime indagini sulla validità conoscitiva della stregoneria e alla descrizione analitica dell’animo del pederasta attivo e passivo”.
Senza nemmeno contare che lo stesso fortini è critico su de martino.
sturm, chiarisci e spiegami meglio, se vuoi.
Indolore per Jervis il passaggio dai tarantolati agli elettroscioccati, questo si capisce. Come certo che a yalta Palmiro non si accorse di mandelstam. Ma Ulrike è bavarese?
Non sono un antropologo, e non posso dare un giudizio ‘scientifico’ sull’opera di DeMartino.
Tutto quello che posso dire, lo posso trarre da una o due delle sue opere che ho letto quando ero ragazzo, assieme all’opera di una sua allieva sul rituale dell’”argia” in Sardegna.
Delle prime ricordo la delusione che sconfinava nello sbadiglio, dell’altra ricordo soltanto la comicità.
Faceva letteralmente ridere.
Ma questo, al passato, non vuol dire niente.
E’ oggi che si può affermare che quella che venne salutata come grande opera scientifica non era altro – è una mia espressione – che *un tozzo di pane stantio sul tavolo della miseria*
La ricchezza e l’intelligenza erano da tutt’altra parte. E la “collana viola” stava portando in Italia proprio quegli autori che hanno dimostrato quanto questo sia vero.
Nessuno mette in dubbio alcuni meriti dei demartiniani e del loro maestro, ma sono, essenzialmente, meriti di documentazione.
Se uno, oggi, dovesse farsi un’idea della “magia” che ha abitato per secoli non solamente il nostro sud, non va certamente a leggere De Martino se ne vuole avere un’interpretazione sensata.
Scusate la lungaggine.
Per rispondere a GVBHJ
Ciò che volevo dire su De Martino e Pavese è la stessa cosa che dice Alicata, anche se lui la vede dalla parte opposta. La totale ambiguità politica di De Martino, oltre quella intellettuale, infatti lo rende, su suggerimento dei responsabili culturali del Pci di allora, il più adatto ad assumere la funzione di polizia, e di affiancare Pavese nella direzione di quella collana senza condividerne appieno gli scopi. Sino ad arrivare al ricatto e a imporre che ogni testo – e i testi li sceglieva per lo più Pavese – venisse corredato di una ‘introduzione’ affidata a ‘intellettuali fedeli alla linea’ per mettere in guardia i lettori su una possibile ‘contaminazione’ da parte dell’”irrazionalismo”.
Ricordiamoci, per inserire tutto nel giusto contesto, che questi anni di ‘reazione’ culmineranno con la pubblicazione da parte dell’Einaudi, nel 1959, di quel polpettone avvelenato che è “La distruzione della ragione” di Gyorgy Lukàcs. Testo che riesce a documentare soltanto la distruzione della ragione del suo autore – anche grande in alcune opere precedenti – ma che con quest’ultima si attirerà la fatale ironia di Thomas Mann, che ne “La montagna incantata” lo fa incarnare in una figura a dir poco ridicola, uccidendolo.
Come anch’io vorrei imparare ad uccidere.
L’ironia togliattiana si commenta da sé. Ma forse sarebbe bene che noi ci chiedessimo quanto ha fatto ridere i compagni che ha mandato nei gulag – non Stalin, quelli sono altri – quelli che ha mandato lui, il migliore.
Scusate, ma è per prevenire il sarcasmo su un ‘ambiguità : “La Montagna incantata” è del 1924: ergo: Mann aveva individuato la ragione distrutta
di Lukàcs – incarnandolo in un prete – con 35 anni d’anticipo
Non facciamo confusione: Diesel (che Pocar traduce con *Renzo Rosso*, svelandone così subito le simpatie politiche), figlio di un macellaio rituale ebreo, somma in sé la trimurti Bloch|Lukàcs|Benjamin, e giusto perché sovraccarico si spara. Ma il diomorto è Nicce, che aleggia aleggia. Non a caso *C’è chi, come Massimo Cacciari, dice di averlo letto almeno dodici volte.* (almeno?!) – ed è per questo che prossimamente andrà al Grande Fratello. (su tutto ciò però, decisiva è la 13sima puntata di Gioventù Tedesca).
Stanotte finalmente uno spiraglio: ho rimandato a Helena la seconda puntata di Gioventù Tedesca, accompagnandola con queste rinsavite parole: “Provvidenziale i tuo ritardo: c’erano ben 3 refusi!”. Così, dalla circostanza che non sono antisemita e nella speranza che Helena non sia morta, la seconda puntata vedrà prossimissimamente la luce: ué ué!
Più in generale proporrei questa soluzione: a partire dal giorno 25 aprile NI mi concede un post settimanale, non uno di più e casomai uno di meno: io interverrò solo ed esclusivamente nei thread dei ‘miei’ post. Faccio questa proposta ufficiale alla redazione intera di NI meno Pinto, Inglese, Helena e Saviano. Paro l’eventuale obiezione “ma chi ci garantisce…?” ribadendo che sono uomo d’onore (come del resto Helena è donna), e come tale mi firmo
Dario Borso
borso non mi abbandonare in balia delle onde
rifugiandoti sulla banchina
ho appena iniziato
a imparare
a nuotare
Non scriverti
tra i mondi,
insorgi contro
la varietà dei significati,
confida nella scia di lacrime
e impara a vivere.
non sono più vostro
una sera
poggiando la testa
nel cerchio tra le braccia
mi sono battezzato cosa
rosa canina
Impara la modestia se vuoi la conoscenza. Un altopiano non potrà mai essere irrigato dal fiume.
ma la draesner?
nessuno ha mai pensato
quanto il nome ulrike
sia difficile da portarsi
ai giorni nostri:
vivere
senza giustificarsi
o abbracciare il nemico
che ci renda più lieve
col primo
l’ultimo passo
a momenti tireranno l’acqua, il post scivolerà nella fossa, e tutti saremo un po’ più (biologicamente) liberi: buona nuotata, cossa!
Un villaggio di montagna qualsiasi, i cui abitanti appaiono tranquilli e buoni bevitori. Nella piazza affollata dopo la messa, arriva la corriera. Ne scende Abramo. Nel paese si dice sia stato in prigione per atti di libidine omosessuale. Schivo e taciturno, Abramo lavora con lena e serietà, ma è un isolato e non ama partecipare ai riti della collettività. Così tutti lo evitano, compresa la madre che arriva a schernirlo pubblicamente. Gli unici che lo trattano sono Sara, che passa per una ragazza di facili costumi, e Isacco, un ragazzo ritardato mentale. Il fastidio generale contro Abramo continua, soprattutto dopo che è stato visto appartarsi con il ragazzo. Per di più, un giorno Sara rivela di essere stata messa in cinta da lui. E’ la miccia che fa scattare la caccia. Pur ignaro di ciò che Sara ha rivelato, Abramo vorrebbe fuggire ma, braccato da tutta la popolazione, ne è impedito. Sara riesce a raggiungerlo; quando gli dice del bambino, scoppia una lite e Abramo la uccide colpendola con un cacciavite. Quando l’omicidio è scoperto, tutto il paese si sguinzaglia alla sua ricerca finché non è catturato. Il giorno dopo tutto sembra dimenticato. Per la festa del santo patrono, fiumi di alcol, scorpacciate di carne suina, fisarmonica, volgarità.
La parola nella poesia mi appare talvolta come una piccola barca.
E com’è riottosa! Come si gira! In fondo le barche mi incutono paura. Soprattutto nei mari in tempesta o in quelli abitati da mostri, nei mari della poesia dalle rive selvagge o nei mari in costante mutamento.
Una barca. Una volta saliti sopra ci si può rallegrare e accomodarsi. Ora tuttavia mi chiederete, e a ragione: gentile signora Draesner, ma come si accede alla parola? Questa metafora non conduce piuttosto a una palude che verso le acque libere? Posso rispondere soltanto: vedete, la parola si comporta così. Un attimo fa il termine Boot (barca) sembrava ancora meraviglioso – quella simmetria affascinante delle lettere all’inizio e alla fine con racchiuso al centro il guscio della doppia “o” che si presta ottimamente a fungere da banco del vogatore. E poi Boot suona bene, una parola in cui sentirsi a proprio agio, quasi una piccola terza “o”. Così la parola Boot si allunga per far posto anche al Brot (pane).
Forse le parole sono qualcosa come il pane quotidiano del poeta. Sono necessarie, che lo si voglia o no. Talvolta una parola si offre, quasi fosse un’unità familiare e arrendevole al punto da divenire pressoché invisibile. Altre volte invece non si addice per nulla. È vero che è possibile apportare cambiamenti, ma questi generano sempre perdite d’attrito percepibili. In effetti è la parola ciò che ci troviamo dinanzi.
Ora si tratta di inventare possibili riferimenti, bilancieri e raccordi nella lingua che le appartiene, che le viene incontro. In tal modo inizierà a emanare luce, in modo udibile e sensibile.
Poiché una parola da sola può essere tutto o niente, non appena si inizia appaiono da ogni dove altre barche. Sembrano del tutto diverse dalla prima, in una nuova luce, in una luce estranea e a volte cambiano linguaggio, come lo potrebbe fare anche la parola Boot che intesa come boot potrebbe rimestare qualcosa dal basso o che come vecchia megèra potrebbe percorrere, è questa la speranza, la riga in formazione.
Il lavoro da compiere è all’incirca questo: le barche riottose devono essere messe in riga sull’acqua, mentre noi stessi non si sta da nessuna parte. Talvolta vi sono moltissime barche, si tratta di scoprire quali sono le tre alle quali non si può rinunciare. A volte ne manca giusto una e non la si trova. Ma si rema sempre soli. Tutto ondeggia vorticosamente perché una specie di mostro agita l’acqua dal basso. È quello che viene chiamato volentieri “senso” o “significato” e a volte, se le cose si mettono proprio male, addirittura “messaggio”, ma tutte queste definizioni sono espedienti, perché nessuno ha mai visto questo “qualcosa” tranne per l’appunto in quella forma che le barche assumono alla fine sul lago, sulla linea di galleggiamento. Compreso l’orizzonte e il poeta appeso senza speranza, contorto, nel groviglio delle cime della barca – come una mosca impigliata in una ragnatela. Sopra un mare dagli strani riflessi.
Sono tutte metafore, certo, e non potrebbe essere altrimenti. In effetti le barche ondeggiano parecchio. Una volta, da bambina, accadde che, seduta in una barca, venissi trascinata alla deriva su un lago prealpino. Spaventata, mi consideravo già perduta; le rive del lago si stagliavano nell’oscurità della sera, nella barca non c’erano remi. E improvvisamente dal bordo del lago giunse una musica e le cime delle Alpi cominciarono a rispecchiarsi meravigliosamente da ogni angolo nelle acque… ma suppongo che questa sia già un’altra storia.
Da dove è tratto questo frammento di Draesner?
mi viene dal compagno Speier, che anche stavolta farà il suo dovere nell’urna.
Alcuni dettagli di un sistema di regole possono a volta sembrare arbitrari od opzionali. Negli scacchi, per esempio, la regola dell’arrocco potrebbe venire cambiata senza distruggere il gioco.
Reuben Hersh, Cos’è davvero la matematica.
4.
C’erano tutti nella ‘rocca del re’.
A rendere omaggio al ‘divino’ che non si era mai allontanato, se non una volta, in tutta la sua vita, uscendo da quelle mura per ammirare un lago, in cui erano riflesse le montagne che facevano corona attorno.
Non si trattava però del divino quale si era presentato sino a cinquant’anni prima, quando Georg Cantor venne convocato in Vaticano per giustificarsi davanti alle gerarchie ecclesiastiche di aver sostenuto, con la sua teoria dei ‘numeri transfiniti’, che non esisteva un Infinito più Infinito degli altri, ma un’infinità di infiniti, senza Capo né coda.
E aveva mentito, come Galileo, ma fortunatamente, per lui, quei Cardinali che non capivano la matematica c’erano cascati. D’altronde non erano più i tempi di Bellarmino, che aveva invece proposto un compromesso del tutto dignitoso a Galileo: considerare il sistema copernicano una ‘ipotesi’. Ben più avanzato, in verità, dello stesso Galileo, che pensava del sitema copernicano quello che la Chiesa aveva pensato del sistema tolemaico, ed Einstein della geometria quadrimensionale, scambiando tutti i linguaggi per il fondo delle cose.
Ma questa volta avevano torto davvero i Cardinali. Perché, con i trasfiniti, veniva sì a mancare il Capo, ma la coda no. Anzi diventavano due.
Come la pentola fatta dal Diavolo, senza coperchio, ma con il fuoco sotto che continua bruciare.
Infatti non solo diabolé in greco vuol dire “divisione”, ma krínein vuol anche dire “separare”, da cui viene “critica”, con la quale Cantor aveva sì reso esplicita la limitazione dell’infinito potenziale dei matematici, equiparandolo all’infinito attuale che è un attributo di Dio, ma riducendoli, tutti e due, ad uno spezzatino.
E da krínein viene anche ‘crisi’, dei fondamenti, perché da lì parte, con la contraddizione – sarà sempre la stessa – che Cantor aveva scoperto nel suo sistema, ma senza parlarne con nessuno se non con qualche complice per lettera, sino a quando Buriali-Forti non la scodellò davanti a tutti, nei ‘Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo’.
Ed è finita, così come era iniziata, con i ‘24 Filosofi’, e ora anche tutti gli altri a cercare un centro e una circonferenza che non erano più in nessun posto, contemporaneamente, né uno né l’altra.
Almeno, prima, avranno pensato i Cardinali, un punto fisso potevamo decidere d’averlo.
C’erano tutti, angeli, arcangeli, troni, potenze e dominazioni a Konisberg, nel settembre 1930.
E c’era anche il Demiurgo, ma, naturalmente, non nello stesso posto dove stavano gli altri.
A rendere omaggio al divino Immanuel Kant.
La Conferenza sull’Epistemologia delle scienze esatte, organizzata dalla Società per la Filosofia empirica (un’associazione berlinese collegata al ‘Circolo diVienna’) durò tre giorni dal 5 al 7 di quel settembre 1930. Ed era tenuta in concomitanza, cioè prima, della novantesima riunione annuale della Società degli scienziati e medici tedeschi e della sesta Assemblea dei fisici e matematici sempre tedeschi.
Il primo giorno fu caratterizzato da tre interventi di un’ora sulle tre versioni della filosofia della matematica che erano in competizione all’epoca, e ancora oggi,: per il ‘Logicismo’ parlò Rudolf Carnap, per l’‘Intuizionismo’ Arend Heyting e per il ‘Formalismo’ Johann von Neumann.
Allo stesso titolo intervenne anche Friedrich Waismann, che espose il pensiero sulla filosofia matematica di Wittgenstein, ma il testo della conferenza non fu consegnato come gli altri per essere pubblicato sul numero della successiva annata di ‘Erkennetnis’, la rivista del ‘Circolo di Vienna’.
Il sabato 6 settembre, poi, ebbe luogo una comunicazione di Gödel sugli argomenti della sua tesi, alle tre e venti del pomeriggio.
L’incontro si concluse la domenica, con una tavola rotonda, in cui si discussero le relazioni del primo giorno. Nel corso di quest’ultimo evento, senza avvertire e quasi incidentalmente, Godel annunciò con tranquillità che “si possono anche dare esempi di proposizioni (e in effetti del tipo di quelle di Golbach e, allora, di Fermat) che, sebbene contenutiscamente vere, sono indimostrabili nel sistema formale della matematica classica.”
Il Teorema di incompletezza.
Il verbale della seduta non riporta nessuna discussione dopo l’annuncio di Gödel e la sintesi della riunione preparata dopo l’evento da Hans Reichenbach per la pubblicazione su ‘Die Naturwissenschaften’ non menziona affatto la partecipazione di Gödel.
Il Demiurgo, David Hilbert, presente a Konisberg, ma non alla Conferenza di epistemologia, il giorno dopo la tavola rotonda – del tutto ignaro di quale abisso la talpa gli avesse scavato sotto i piedi – pronunciò il discorso di apertura di fronte alla Società degli scienziati e medici tedeschi:
Per il matematico non vi sono Ignorabimus, e, a mio parere, per le scienze naturali (…) La vera ragione per cui [nessuno] è riuscito a trovare un problema insolubile è, a mio parere, che non ci sono problemi insolubili. Invece dell’insensato Ignorabimus, il nostro credo afferma:
Noi dobbiamo conoscere
Noi conosceremo
Per colmo dell’ironia, sembra che l’unico che si sia reso conto dell’importanza della comunicazione di Gödel, sia stato proprio l’allievo di Hilbert, che al convegno aveva parlato anche a nome suo: von Neumann.
Con la sua leggendaria rapidità mentale, dopo aver chiesto informazioni a Gödel, si mise al lavoro, e il 20 novembre, con una lettera, gli annunciò un ‘suo’ risultato.
Fortuna volle che Godel avesse già inviato all’Accademia delle Scienze di Vienna un sunto che conteneva gli enunciati di entrambi i teoremi di incompletezza, altrimenti saremmo qui a parlare del teorema dell’‘uomo nuovo’ e non del ‘diodio’.
Il fatto è che Neumann, malgrado un’indubbia genialità, sembra afflito da un ingrato destino, quello dell’‘eterno secondo’. Come Bartali. Costruì il primo computer come lo conosciamo noi, ma tutti i computer si chiamano ‘macchine di Turing’, perché l’impostazione teorica di tutti i computer è quella con cui Turing – un allievo di Wittgenstein, che l’abbandonò dopo poche lezioni, a causa delle liti furiose che scoppiavano tra i due sulla ‘contraddizione’…
[Turing morì, così dicono, mangiando una mela avvelenata…]
Il lago, alimentato dalle acque dei ghiacciai e adatto, anche in piena estate, soltanto agli allenati, lo agguantò col gelo di una tagliente ostilità. Egli si aspettava un gran brivido, ma non quel freddo così glaciale che lo avvolse come un mare di fiamme e dopo una prima vampata incominciò a penetrargli nelle ossa. Dopo il salto era riaffiorato subito e aveva veduto davanti a sé Tito che nuotava con grande vantaggio, ma, sentendosi aspramente incalzato dal gelo ostile, s’illuse di lottare ancora per diminuire la distanza, per raggiungere la meta della gara, per il rispetto e l’amicizia, per l’anima del ragazzo, quando invece lottava già con la morte che gli aveva fatto lo sgambetto e lo stringeva fra le braccia. Facendo appello a tutte le sue forze vi resistette fintanto che il cuore continuò a battere.
HERMANN HESSE, Il gioco delle perle di vetro.
4 EBREI COL MORTO
giugno 1960: Paul Celan accompagna Nelly Sachs alla tomba di Heine a Parigi;
aprile 2008: Dario Borso consegna a Helena Janeczek un pezzo di Heine per NI
Domenico, invece di far domande stupide, fa’ un bilancio del tuo thread, su!
Ti ho chiesto la fonte. Non mi sembra una domanda così stupida. Pensavo fosse una tua traduzione.
Riporto un collegamento, nel caso altri lettori fossero interessati: qui.
scusate. non ho capito niente.
pensavo quella
fosse la risposta. viva
* * *
Un mio braccio è sempre nel fuoco.
Cenere è il mio sangue. Seni e gambe,
ma io passo oltre e singhiozzo
per le isole del Tirreno:
Una valle balena di bianchi pioppi,
un Ilisso tra rive d’erba,
l’Eden e Adamo e una terra
di nichilismo e musica.
Gottfried Benn, Qui non è conforto.
***
un grazie a Ulrike
meglio una risposta morta che una non-risposta. se non l’ho risuscitata, l’ho almeno imbalsamata. prego.
la domanda è doppiamente sciocca: 1- basta copiare la prima riga, incollare su google e verificare. 2- fa perdere tempo all’interrogante e al rispondente.
Va bene, era una domanda sciocca, ma perché ti ho sopravvalutato. Come ormai troppo spesso.
Sulle buriane che sollevi: fa’ tu un bilancio dei tuoi sciocchezzai.
ma dico, sei impazzito? Miglio e Draesner assenti, c’è il problema di capire la poetica della poetessa. lavoro di manovella, riesco a pescare dal maremagno della rete un bel pezzo di Ulrike e lo offro in commento – e uno mi chiede se l’ho tradotto? il primo giorno di un post, solo il 3% di chi passa va a vedere i commenti. il 7° giorno di un post, a leggere ancora i commenti è solo il postante ed eventualmente l’idealista che deposita un solitario commento, nella fattispecie io: e io sarei così fesso da spendere un pomeriggio a tradurre – per il postante?
hai evidentemente perso il senso della misura: recuperalo! (sennò finisci come krauspenhaar: NB da sciocchezzaio a troll il passo è breve)