Il mio piccolo mostro

di Irene Gironi Carnevale

“E’ poco più di una formazione benigna, ma bisogna toglierla”mi dice il medico, un modo carino per spiegarmi che nel mio seno sinistro c’è un piccolo mostro pronto a espandersi e a tentare di portarmi via. Un tumore, non mi è mai piaciuto girare intorno alle cose, preferisco chiamarle con il loro nome, così le affronto meglio. Mentre cerco di capire cosa provo, il pensiero va a mia madre. Da lei ho ereditato gli occhi verdi, le gambe lunghe, il carattere impulsivo e passionale e la familiarità al tumore al seno. Se ne è andata anni fa, fortunatamente e inspiegabilmente senza soffrire per lo stadio a cui era arrivato il male. Si può dire che non se ne sia neanche accorta, almeno per lei la morte è stata dolce. Ma forse perché i suoi mali erano altri: una vita difficile, la depressione, la solitudine. In questo momento, mentre cerco di analizzare il mio stato d’animo, mi rendo conto che indirettamente è lei che mi ha salvato la vita, lei con la sua malattia mi ha costretta a stare all’erta, a fare i controlli per tempo, a non avere paura di farmi strizzare le tette da una macchina per farmi dire come stavo. Forse il cordone ombelicale che ci lega a nostra madre, va oltre il taglio della nascita, oltre gli strappi della vita, anche quelli credi definitivi, quando sbatti la porta senza voltarti indietro per conquistare una nuova libertà. Forse è un ideale passaggio di testimone da donna a donna, un senso di solidarietà istintiva che va oltre i legami di sangue, ma è insito nel nostro essere donne e basta.
Nel corridoio dell’ospedale, da sola come sempre nella mia vita per le cose che riguardano solo me stessa, in attesa del chirurgo che mi spiegherà l’intervento, mi rendo conto di essere serena, tranquilla esattamente come se mi avessero detto che non ho nulla. Sono stupita dalla mia reazione. Io sono quella che si batte senza risparmio per le cause che sposa con passione, che ha imparato ad alzare la voce per dar voce a chi non ce l’ha, che cerca sempre una risposta, una spiegazione e un percorso logico o istintivo da portare a compimento. E anche quella che nella forza apparente nasconde fragilità insospettate e buchi neri di angoscia vissuti come un animale nella sua tana, lontana dal mondo. E invece adesso niente, neanche un piccolo sussulto dello stomaco, un battito accelerato.
Il chirurgo mi spiega l’intervento, mi dice che con l’operazione e un po’ di radio terapia tutto dovrebbe risolversi, mi fissa la camera operatoria per il 1 luglio, mi lascia i numeri di telefono. Ci salutiamo, esco dall’ospedale, cerco un taxi, torno a casa. Continuo a sentirmi tranquilla, so che affronterò anche questa battaglia come tutte le altre della mia vita e la vincerò, non ho dubbi. Non mi sono mai tirata indietro davanti a niente, a niente di importante. Magari ho paura dei film horror o degli scarafaggi, ma le grandi sfide non mi hanno mai piegata. Sono lucida, ho davanti la mia vita, i miei figli, gli amici, i ricordi. Mentre scorrono le immagini nella mia mente, mentre ripenso a volti, voci, odori, sensazioni, suoni, ogni cosa la sento parte integrante di me, del mio essere e del mio percorso. Mi viene in mente la celebre battuta di Blade Runner, uno dei miei film preferiti:” Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi…”. Sì, ne ho viste di cose, ma non diventeranno “lacrime nella pioggia”, non ancora. Mi aspettano altri giorni e altre notti, pensieri, risate, incazzature, posti meravigliosi, tutto quello che c’è nella vita, nella mia vita. Mia madre mi ha passato il testimone che io desidero passare a tutte le donne, un testimone di forza, coraggio e determinazione. Puoi continuare a sentirti normale, a mangiare, dormire, sognare, ridere anche con il mostro dentro di te, quando sai che c’è e puoi combatterlo. Non voglio più sentire una donna dire, come purtroppo accade spesso:” Non mi controllo, sai, perchè non ho mai tempo e poi in fondo preferisco non sapere niente”. La paura che hai e nemmeno ammetti, è la peggiore delle figlie dell’ignoranza, la paura ti paralizza, si impadronisce di te e ti distrugge più del male. L’unica paura che bisogna avere è quella di accorgersi soltanto quando è ormai troppo tardi. E questo mi sembra un concetto applicabile a molte cose, non solo alla malattia. Vorrei che noi tutti, uomini e donne in generale, non preferissimo più di non sapere niente, non facessimo più finta sempre di niente per non vedere, sentire e parlare dei mostri grandi e piccoli fuori e dentro di noi. Ma imparassimo ad affrontarli come si affronta un cancro: occhi aperti, niente paura, e si va avanti. Piccolo mostro che abiti nel mio seno sinistro hai i giorni contati, non mi avrai!

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19 Commenti

  1. Bel testo. Trasmette voglia di vivere a tutti i costi e di lottare, speranza oltre misura, quella che chiunque si imbatta in questi mali dovrebbe avere. Purtroppo però non sempre i controlli sono sufficienti, e le terapie efficaci. A volte anche un cancro al seno, che ormai, se preso in tempo, è risolvibile, può rivelarsi mortale. Dipende da quando ti capita. E se accade che si sviluppi in gravidanza: è la fine. In quel caso non ci sono speranze, nè terapie che tengano. Si provano tutte, ma invece che essere vitali, ti uccidono più lentamente, perchè tanto in questi casi non c’è nulla da fare. E allora mi chiedo se lo si sa perchè alcuni medici usano i pazienti come cavie? E’ dignitoso vivere corrosi dal cancro, con piaghe e ulcere sul corpo, quando si sa che quel sacrificio non porterà ad alcun risultato? Purtroppo, lasciatemi dire che, anche in queste cose, ci vuole fortuna, ma sicuramente la tenacia aiuta, mantiene in vita ; quando c’è fortuna e la situazione non è disperata, una buona dose di positività è fondamentale. Però io non riesco ad essere ottimista sul cancro in ogni caso, poichè è un male ancora “oscuro”, e forse poichè davvero ” ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare” e che avrei voluto non vedere, non vivere, non esserci. Ma forse è stato meglio ho capito quanto sono fortunata per il solo fatto di respirare, di stare in salute e, senza scadere nell’ipocondria, ho cominciato a tenere d’occhio maggiormente il mio corpo. Quanta sofferenza per poter dire come Ungaretti : non ho amato mai tanto la vita! La mia esperienza però mi ha insegnato che di “benigno” non c’è nulla….ahimè…. e vorrei aver visto più malati guariti del tutto per poter essere ottimista…quindi scusate il pessimismo ma per quanto abbia apprezzato il racconto, non credo che se capitasse a me riuscirei ad essere così forte come la protagonista….

  2. per Viky capisco il tuo punto di vista, come hai letto il cancro si è portato via mia madre e tante altre persone che amavo. Penso spesso ai bambini colpiti da questo male e alle loro sofferenze e non mi sento affatto ottimista, ma proprio perchè purtroppo il tributo mortale è profondamente ingiusto e non guarda in faccia nessuno, penso che si debbano usare tutti gli strumenti che abbiamo almeno per cercare di combattere il male, qualunque esso sia, fisico, morale, sociale, politico. In ogni campo, in ogni settore della nostra vita possiamo e dobbiamo restare all’erta, nel nostro piccolo fare la nostra parte contro i mostri più diversi.

  3. Irene, opinione rispettabilissima…ma pretendo da te il medesimo rispetto per tutti quelli che NON hanno nessunissima intenzione di curarsi.
    tu difendi il diritto alla vita. io difendo il diritto alla morte.
    è profondamente ingiusto tacciare di ignoranza o quant’altro chi la pensa e decide diversamente.
    Anch’io “ho visto cose che voi umani non potete immaginare”… esperienza simile alla tua: tra i tanti familiari falcidiati, c’era appunto mia madre. anche lei guerriera come te, come tua madre. ha combattuto 9 anni per morire comunque. ma straziata, scuoiata.
    io difendo il diritto che ognuno ha di scegliere. quando toccherà a me ti posso assicurare che mi procurerò un porto d’armi.
    a te va tutto il mio rispetto. ma pretendo da te altrettanto.

  4. per shotgun ci tengo a non essere fraintesa: io non penso nel modo più assoluto che decidere di curarsi e di usare tutti i modi possibili per cercare di vincere il male sia una mancanza di rispetto verso chi decide di non farlo: il libero arbitrio e la libertà personale di scelta non devono essere minimamente lese da niente e da nessuno. peraltro ti rendo noto che sono assolutamente favorevole all’eutanasia e se si trattasse di decidere tra accanimento terapeutico e eutanasia non avrei alcun dubbio, per me e per le persone che dipendessero da me nelle decisioni. Ciascun essere umano ha diritto alla massima dignità nel corso della sua vita e nel gestire la sua morte. L’intervento e le cure che mi accingo a seguire non sono così dolorose e devastanti, e poichè ho nella mia vita un certo numero di cose alle quali voglio e devo ancora interessarmi ho deciso di seguire questa strada e ho pensato che la mia esperienza potesse essere di aiuto a quanti desiderino fare la stessa cosa. Tutto qui. La critica, se di critica si può parlare, è rivolta a quanti non vogliono sapere crogiolandosi nell’ignoranza, salvo poi strapparsi i capelli quando la cosa è andata troppo oltre. Io sono per la verità a tutti i costi, per la conoscenza: poi ognuno decide secondo la propria coscienza e le proprie sacrosante convinzioni.

  5. per Irene: capisco benissimo, e sono d’accordo con il tuo ottimismo. Tuttavia benchè io riuscirei ad esserlo e lo sono con altri “mali”del nostro tempo non so se avrei lo stesso comportamento con l'”alieno”; tuttavia, come tu stessa facevi notare nel testo, le nostre reazioni sono sempre imprevedibili, a volte cose che in altri tempi pensavamo ci avrebbero sconvolto ci scivolano addosso o non ci spaventano affatto, chissà. Spero di non scoprirlo mai come reagirei in questa situazione, sinceramente. Per quanto riguarda “l’ignoranza” a cui si faceva riferimento, sono pienamente d’accordo, e non credo sia non rispetto per chi decide di non lottare, cosa che farei anche io se sapessi che non c’è rimedio, ma piuttosto penso che tu ti riferisca a tanta gente, e vi posso assicurare che in certe realtà ancora c’è, che non si sottopone a controlli, e prende sottogamba queste cose…nulla di più sbagliato! Inutile poi lamentarsi sul latte versato…mia zia medico mi racconta di pazienti che ancora oggi 2008 hanno remore nel fare visite al seno…ma spesso non è ignoranza nè poca intelligenza forse solo ingenuità. Pensiamo che certe cose possano accadere solo agli altri e finchè non le vediamo da vicino ci sembrano sempre distanti, impossibili. Non capiamo che nessuno è immune da nulla, e che i controlli sono necessari alla nostra salute, chiaramente est modus in rebus! Perché c’è anche tanta gente paranoica in giro…

  6. Questo testo mi ha toccato di manera personale.
    Grazie per l’aver scritto.
    E’ un brano che mi ha fatto venire le lacrime negli occhi.
    resterà nella memoria, Irene.

  7. sappiamo che la – scrittrice – ha gambe lunghe e occhi verdi.
    mix eccitante e duro. personalmente eccitante e duro più di tutta questa … cronaca? riflessione? pagina di diario? non so. a me è parso un involtino con poco materiale di riempimento
    un po’ pre riscaldato un po’ accucito insieme alla bene meglio un po’ insomma: enfaticamente scialbo o scialbamente enfatico, sul tema cancro di tanti che abbondano e inflazionano in rete.
    letto tutto, ad ogni modo.
    un saluto
    paola

  8. “da sola come sempre nella mia vita per le cose che riguardano solo me stessa”
    Scelta coraggiosa. O non ti meritano coloro che ti circondano.
    Crepi il mostro.

  9. La serietà e crudezza del tema non vorrei influenzasse il giudizio sul valore letterario di questo testo, che è sì una testimonianza forte, ma nulla di più.
    conoscevo un uomo senza gambe, malato di diabete e disfunzione renale e poi di parkinson. ciò non significava che quello che scriveva, di conseguenza, fosse letteratura.

  10. per lametta da barba non ho inviato questo post nè con l’intento di “fare letteratura” nè tantomeno per sottoporlo ad un giudizio in tal senso. non mi pare che nell’ambito di Nazione Indiana siano in corso gare di alcun tipo in questo senso. la scelta di inviarlo a questo blog è stata dettata dalla grande sensibilità verso temi importanti che spesso trovo nei post e nei commenti e per la stima umana prima e professionale poi che nutro per alcuni dei redattori. gli intellettuali d’Italia e del mondo possono dormire sonni tranquilli, lungi da me voler tentare miseramente di emularli: la letteratura io la leggo.

    per Graziano il tuo post Residenza Vanessa è bellissimo, grazie per avermelo segnalato. nel 2005 il mio rapporto con il web era ancora di là da venire, per fortuna ho recuperato. grazie per il tifo: il mio intento era che questo post potesse essere di sostegno e di sprone per quanti si trovino ad affrontare e vogliano sconfiggere un mostro di qualsiasi natura si annidi nella propria vita. non avevo considerato che avrei trovato nuove voci, nuove parole e sensibilità con cui condividere tutto questo. è per me una cosa molto bella di cui vi ringrazio sinceramente.

  11. Una testimonianza forte e viva. A Irene e a tutti i lettori di Nazione Indiana suggerisco di dare un’occhiata a un libro-fumetto uscito qualche mese fa: “Cancer Vixen – Una storia vera d’amore e di vittoria” (editore Salani). L’autrice, l’americana Marisa Acocella Marchetto, racconta sotto forma di graphic novel la sua battaglia contro il cancro al seno. Con un tono talmente ironico e positivo che talvolta – malgrado il tema seriosissimo – si ride di gusto!
    Un saluto e… Irene, in bocca al lupo per tutto.

    Eleonora
    http://repubblicadeglistagisti.blogspot.com/

  12. Non esiste battaglia più importante di quella per la salute e per la vita. Questo in generale, giacché l’istinto di conservazione ci spinge a questo ma ancor di più l’amore per gli altri e per le cose importanti che abbiamo da fare, per i progetti da realizzare e per i tanti giorni che ci vedranno ancora combattere per le nostre idee o semplicemente per una cena da organizzare con gli amici più cari. Detto questo, Irene, credo, da figlia di madre morta di cancro, e morta per non aver voluto indagare quando era il momento di farlo, che chi ha visto un congiunto e, in questo caso il Congiunto per eccellenza, ovvero un genitore, morire male di un male atroce, si porta addosso, sotto la pelle, la certezza che quella battaglia tornerà, in qualche modo, da qualche parte, per essere combattuta ad armi pari e vinta. Il mostro quando è ancora piccolo fa meno paura. E quando la guerra la combatti tu, in prima persona, senza la lacerazione dell’impotenza che ti squassa dentro quando l’assalto lo subisce l’ultima persona al mondo che vorresti lo subisse, inerme, allora subentra la calma del guerriero. Stava già lì, naturalmente, lo sentivi che era pronto, e quando arriva il momento nulla lo può scuotere perché è sereno, è lucido, è determinato. Non so se tutte le battaglie, ma certamente la guerra la vincerai tu, Irene. Perchè hai saputo guardare il nemico negli occhi. In bocca al lupo.

  13. La consapevolezza è la più potente delle medicine. Condivido ogni parola del tuo scritto.
    Sei Grande Irene, ma io già lo sapevo.

  14. Pienamente daccordo con te Irene e per l’importante messaggio di “prevenzione” che lanci ma, senza voler banalizzare il tuo post, voglio raccontare una mia piccola esperienza personale. Avendo ormai superato i 35 anni, all’inizio del 2008 decido di sottopormi ad un check-up completo per monitorare la mia condizione. Analisi di ogni tipo…tac…ecograrfie eccetera… tutto, per fortuna, nei parametri di una sana forma fisica…poi una notte vado in discoteca e, per una banale incomprensione di natura prettamente politica, i buttafuori del locale mi fratturano l’orbita oculare destra ed il malleolo peroneale sinistro. Come prevenire questi antipatici scherzi di un destino cinico e baro ? …io ho deciso di adoperare due semplici “psico-strategie”…essere terribilmente fatalista e credere nella reincarnazione… l’opossum sarebbe il mio ideale di animale in cui reincarnarmi in una vita futura…secondo me gli opossum se la spassano “alla grande” !!!

  15. Hai fatto bene a scrivere della tua battaglia: le tue riflessioni a ruota libera serviranno sicuramente a chi e’ sensibile ai temi preventivi.
    Gli altri, purtroppo, le tue parole non li sfioreranno neanche.
    In bocca al lupo.

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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