Radio Kapital- Slavoj Žižek

Dopo la tragedia, la farsa!
Ovvero come la storia si ripete
di
Slavoj Žižek
Introduzione. Lezioni del primo decennio.
traduzione dal francese di Roberto Bugliani

Il titolo di questo libro dovrebbe costituire un test del quoziente intellettuale elementare: se la prima associazione che provoca nel lettore è il volgare cliché anticomunista: “Ha ragione – oggi dopo la tragedia del totalitarismo del XX secolo, tutta questa faccenda di un ritorno al comunismo non può essere che una farsa!”, ebbene, gli consiglio vivamente di fermarsi qui. Non solo, ma il libro gli dovrebbe venire confiscato, perché vi si tratta di una tragedia e di una farsa assolutamente diverse, ossia dei due avvenimenti che aprono e chiudono il primo decennio del XXI secolo: gli attacchi dell’11 settembre 2001 e la débacle finanziaria del 2008.
[…]
L’analisi proposta in questo libro non ha nulla di neutro; al contrario, è impegnata e “parziale” al massimo – perché la verità è di parte; essa è accessibile-vi si può accedere soltanto se si prende partito, e non per questo è meno universale. Il partito preso qui è naturalmente quello del comunismo. Adorno fa iniziare i suoi Tre studi su Hegel con un rifiuto della domanda tradizionale su ciò che egli esemplifica col titolo del libro di Benedetto Croce: Che cosa è vivo e che cosa è morto nella filosofia di Hegel? Una simile domanda suppone da parte del suo autore l’assunzione di una posizione arrogante di giudice del passato, ma quando abbiamo a che fare con un filosofo veramente grande, la vera domanda da formulare non riguarda quello che questo filosofo può ancora dirci, quello che ancora può significare per noi, ma piuttosto il contrario: a che punto siamo ai suoi occhi? Che cosa penserebbe della nostra situazione contemporanea, della nostra epoca? Allo stesso modo si dovrebbe procedere per il comunismo; anziché porre la solita domanda: “L’idea di comunismo oggi è ancora pertinente, si può ancora utilizzare come strumento di analisi e modello di pratica politica?”, bisognerebbe rovesciare la prospettiva: “Come si presenta il nostro marasma attuale nella prospettiva dell’Idea comunista?”

Qui risiede la dialettica di Antico e Nuovo: sono proprio coloro che propongono di continuo la creazione di nuovi termini (“società postmoderna”; “società del rischio”; “società informatica”; “società postindustriale”, ecc.) per conoscere il corso attuale delle cose a fallire nel riconoscere i veri aspetti del Nuovo. L’unico modo di cogliere la reale novità del Nuovo è analizzare il mondo attraverso l’obiettivo di ciò che nell’Antico era “eterno”. Se il comunismo è veramente una Idea “eterna”, esso funziona dunque come una “universalità concreta” hegeliana: è eterno non nel senso in cui si tratta di una serie di caratteristiche universali astratte applicabili ovunque, ma nel senso in cui deve essere reinventato in ogni nuova situazione storica.

Ai vecchi tempi del Socialismo Realmente Esistente, una facezia apprezzata dai dissidenti serviva a illustrare la futilità delle loro proteste. Nel XV secolo, quando la Russia era occupata dai Mongoli, un mugico e sua moglie camminavano su una polverosa strada di campagna. Un cavaliere mongolo si fermò al loro fianco e disse al contadino che avrebbe violentato sua moglie. Quindi aggiunse: “Ma siccome il suolo è sporco, tu devi tenermi i testicoli mentre violerò tua moglie, perché non si impolverino!”. Quando il Mongolo ebbe concluso le sue faccende e si fu allontanato, il mugico si mise a ridere e a saltare di gioia. Stupefatta, la moglie esclamò: “Come, io sono stata brutalmente violentata in tua presenza e tu salti di gioia?”. Al che il mugico le rispose: “Però io l’ho fregato! Le sue palle si sono riempite di polvere!”. Questa triste facezia rivelava l’inopportuna situazione dei dissidenti: mentre pensavano di sferrare dei duri colpi alla nomenklatura del Partito, in realtà non facevano che sporcare leggermente i suoi testicoli, e l’élite dirigente continuava a violentare il popolo…
La sinistra critica contemporanea non è forse in una situazione del genere? (Del resto, alla lista di coloro che inzaccherano un pochino le forze in campo, si possono aggiungere le denominazioni “decostruzione” e “difesa delle libertà individuali”.) Durante un famoso scontro all’università di Salamanca, nel 1936, Miguel de Unamuno gridò contro i franchisti: Vincerete, ma non convincerete! – è questo tutto quello che la sinistra attuale sa dire al capitalismo globale trionfante? Per molto tempo ancora la sinistra dovrà recitare il ruolo di coloro che, al contrario, convincono continuando a perdere (e si mostrano particolarmente convincenti quando si tratta di spiegare retrospettivamente la ragione del loro fallimento)? Il compito che si impone è scoprire come andare un po’ più lontano. La nostra “undicesima tesi” dovrà essere la seguente: nelle nostre società, finora le sinistre critiche hanno solo sporcato i potenti; l’importante è castrarli…

Ma come possiamo fare? Per prima cosa, bisogna trarre insegnamento dai fallimenti delle politiche della sinistra del XX secolo. Non si tratta di procedere alla castrazione nel pieno dello scontro, ma piuttosto di fare un lavoro paziente di scalzamento critico-ideologico, in modo tale che un giorno si possa percepire che i poteri sempre in campo sono improvvisamente afflitti da voci stridenti. Nel 1960 Lacan intitolò Scilicet la rivista della sua scuola che uscì per breve tempo e in modo sporadico. Il messaggio non si doveva intendere nel senso predominante che ha oggi questa parola (“ovvero”, “cioè”), quanto piuttosto, in senso letterale: “E’ permesso sapere”. (Sapere cosa? – Quello che la scuola freudiana di Parigi pensa dell’inconscio…). Oggi, il nostro messaggio dev’essere lo stesso: è permesso sapere e impegnarsi a fondo nel comunismo, di agire di nuovo in modo fedele all’Idea comunista. La permissività liberale dipende dal videlicet: è permesso vedere, ma il fascino stesso dell’oscenità che ci è permesso osservare impedisce di sapere in che cosa consiste ciò che vediamo.
Morale della storia: il ricatto moralizzatore liberal-democratico ha fatto il suo tempo. Da parte nostra, non dobbiamo più presentare le nostre scuse, mentre da parte loro devono farlo senza indugiare.

Slavoj Žižek, Après la tragédie, la farce! Ou comment l’histoire se répète, Flammarion, Paris 2010

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42 Commenti

  1. Ma no, mio caro Zizek, nessuno, almeno qui, trarrà insegnamento dai fallimenti delle politiche della sinistra del XX secolo. Continueranno – è matematico, credimi – a vivacchiare sempre più minoritari in questo presente, credendo di avere salva la coscienza andando a mettere una X sulla scheda elettorale a favore di partiti liberal-democratici. Ecco, vedi, amico mio, è che qui da noi abbiamo una sinistra finta, così democratica (e cristiana, mi verrebbe da dire) e così smarrita, così compatibile e inesorabilmente destrorsa, che neppure si porrà il problema di castrare i potenti: potrebbe scoprire che i testicoli sono anche i suoi. Ah, già, dimenticavo: la parola “comunismo” l’hanno già seppellita da un pezzo, qui da noi, o fatta capitombolare nell’elenco – ah! non hai idea della stupidità che regna, qui da noi! – nell’elenco, dicevo, degli orrori primitivi. Non siamo neppure alla farsa, credimi. E così procediamo a tentoni, nel terrore emanato dalle cose reali, inesorabilmente privati non solo della “sinistra”, ma anche della “critica”. Muti e immobili, mio caro Zizek. Pronti ad alzarci ogni cinque anni, ad ogni chiamata elettorale. Nel salutarti, volevo chiederti una cosa: ho trovato poco appropriata la tua firma posta nell’appello “per la libertà di espressione” in Iran. Non credi che possa andare ad alimentare l’humus guerrafondaio? E sì, amico mio, qui tutti si stanno preparando all’attacco; perché rafforzare il clima di odio? Mi chiedo se tu, amico mio, ogni tanto rileggi le cose che scrivi. Aspetto la prossima tua …

    sp

  2. sai Roberta, ho imparato con il tempo che più le cose sono importanti più si commentano da sole :-) effeffe

  3. fantastico zizek,
    il ricatto moralizzatore liberal-democratico ha fatto il suo tempo. Da parte nostra, non dobbiamo più presentare le nostre scuse, mentre da parte loro devono farlo senza indugiare.
    ogni tanto un caffè non decaffeinato, per svegliarci dal torpore.

    ma quando sarà pubblicato in italia?

  4. Quando si legge un articolo che dà riflessione al nostro mondo, mi sento un po’stupida di svolgere il tempo a fuggire nel sogno o narrazioni.
    E’ un sintomo di malattia forse della nostra società, tornare le spalle alla politica, provare noia nella cosa politica.
    Un aneddotto, stavo per pagare il giornale prime di prendere il treno sabato scorso, quando ho notato un libro di colore marrone di Karl Marx in bella presentazione. Ho una sola paura: che finalmente nessuno società sia perfetta e che ognuna sia profundamente ingiusta.
    Siamo stuffati della nostra società e sogniamo altra, ma quell’altra sarebbe anche lo specchio della nostra noia.
    Con il tempo, ho imparato a stimarmi lieta con un libro, un amico, un cielo particolare, non chiedo niente di più della politica.

    Ammiro quelli che hanno ancora l’energia e la speranza per risvegliare
    il mondo addormentato.

  5. Effeffe è sempre sulla barricata. E’ bello vedere uno que sa dire del nostro mondo e presentare libri che danno matiera da riflettere.

  6. Secondo me, bisogna guardare alle cose con gli occhi della storia e dunque, del “materialismo storico”, se la cosa non suscita fraintendimenti, scandalo o altro. Ogni rivoluzione strutturale ha i suoi salti in avanti e i suoi arretramenti. la Rivoluzione Borghese del 1789, a una fase di accelerazione (1789-1797) ha subito un arretramento (fase napoleonica) e una restaurazione monarchica. Ma i valori di fondo, inesorabili, hanno proseguito e hanno finito per liquidare definitivamente l’Ancien Régime feudale e nei duecento e passa anni successivi (attraverso varie “forme” della politica) ha imposto il suo modo di produrre e i suoi valori di riferimento relativi,attualmente vigenti e trionfanti nella forma della finanziarizzazione cosmopolita del capitale globalizzato e con la lunghissima “coda di paglia” del senso di colpa variamente espresso a livello di sovrastruttura (ah, i danni degli epigoni del linguaggio marxiano!) per la consapevolezza che nemmeno di un acca si è spostato l’asse delle violenze e delle ingiustizie nel mondo, anzi il baratro tra ricchi e poveri, nord e sud del mondo si è approfondito.
    E allora, che cosa voglio dire con questo?
    Che la Rivoluzione Socialista ha vissuto il suo momento di fuga in avanti, ha fatto i suoi errori (ed orrori) strutturali in tutte le sue varianti – così come aveva fatto la rivoluzione borghese- e così come han fatto tutti gli umani nella Storia, nessuno escluso, peggio di tutti le grandi Religioni monoteiste che hanno sul groppone montagne di morti e , sconfitta dalla dialettica delle forze in campo, che vedono prevalere ancora una volta modo di produrre e valori borghesi, arretra e pare disperdersi.
    A me , a l punto in cui siamo, non importa nulla di piangermi addosso o di rimpiangere il passato (dio ne scampi!).
    A me interessa che si studi , si approfondisca e si impari dagli errori del passato, su poche ed essenziali direttrici :
    a) come si ricostruisce un movimento ( o movimenti) con uno o anche più partiti che rilancino i valori della rivoluzione socialista, qui e ora, che sia credibile e consapevole che si riparte dalle macerie.
    b) come si coniuga “il bisogno radicale” (per usare una locuzione marxiana) di democrazia e di” libertà da” in un’ottica di valori comunisti senza forzature e senza “dittature proletarie” (concetto che nasceva all’epoca della seconda e terza rivoluzione industriale) e che oggi sarebbe inservibile nel mondo postindustriale
    c) come si coniugano le contraddizioni nord-sud del mondo (con quel che ne consegue) in un’ottica rivoluzionaria nuova, posto che la forma del partito-movimento d’avanguardia tipica dello schema leninista -terzomondista è inservibile (ce lo dimostra la realtà fattuale di tutte le sconfitte, e più che mai l’ipocrisia dello stato cinese)
    d) come coniugare l’idea “liberal-democratica” di democrazia , che è la parte più alta e conseguenziale del pensiero marxiano (leggere Manoscritti economico-filosofici), con una nuova utopia di società comunista, scaturigine del post capitalismo e del postcomunismo variamente fallito?
    e) come si coniuga il pensiero femminile della “differenza” che moltissimo e di nuovo ha detto sul concetto di Potere come simulacro del maschilismo, con le idee di cui sopra?
    f) pensando a tutto questo, intanto, se si mettessero insieme i vari pezzi esplosi della nebulosa di sinistra e si lottasse intanto per la difesa degli spazi di democrazia e contro l’arretramento delle conquiste operaie e popolari (la gramsciana “guerra di posizione”) sarebbe già una bella cosa, soprattutto se lo si facesse con sano e laicissimo spirito pragmatico.
    Tutto questo vi pare poco?
    A me no. Nel frattempo, viva l’utopia! viva il Socialismo! viva il comunismo dandy alla effeffe!

    P.S. Tutto questo sarà una faccenda per le generazioni future o una vaga illusione del passato? mah, come diceva quello? ah, si…”La vita è sogno”!

  7. P.PS
    A ben vedere, effeffe ha detto tutto, raffigurandolo nel suo frottage di presentazione dell’articolo di Zizek.
    “L’eterno ritorno dell’identico”, se vi spruzzassimo dentro un po’ del pensiero nicciano, in questo “racconto” della rivoluzione socialista – nonostante Nietzsche – non sarebbe male…

  8. morganthal ,
    se vuoi metterlo subito in pratica non bere più cocacola light !

    poi, non si mettono in pratica le idee di zizek. il suo lavoro è concettuale, demistifica i luoghi comuni del pensiero politico e filosofico attraverso lacan. e’ un lavoro tutto interiore che il lettore fa su se stesso per capire quanto certe di idee di democrazia siano false e quanto possano essere autentiche e giuste certe dittature del passato rispetto a quelle attuali.

    torsione, è la parola che più identifica il lavoro di zizek, torsione dei pensieri.

    cmq, bello e attuale il video sulla protezione civile. finalmente ho capito cosa sia in realtà: ricorda per l’autonomia e l’autorità di cui dispone le squadre fasciste al tempo di mussolini. una guardia nazionale a difesa del premier.

  9. A proposito del cosa dire e del cosa fare, ecco cosa scrive Zizek nel suo (provocatorio) libro: “La sollecitazione del ‘Bisogna fare qualche cosa’ si apparenta qui con la compulsione superstiziosa che porta a gesticolare quando osserviamo un processo sul quale non possiamo esercitare alcuna reale influenza. I nostri atti spesso non sono forse gesticolazioni simili? Il vecchio adagio: ‘Non accontentatevi di parlare, ma fate qualcosa!’ è una delle peggiori stupidità che si possano profferire, anche secondo i criteri inferiori del senso comune. Forse, in questi ultimi tempi, il problema è stato piuttosto che abbiamo fatto troppo, ad esempio intervenendo sulla natura, distruggendo l’ambiente, ecc. Forse è venuto il tempo di indietreggiare, di riflettere e di dire ciò che bisogna dire. E’ vero che spesso parliamo di una cosa invece di farla, ma ci succede anche di fare delle cose al fine di evitare di parlarne e di pensarci. Come di gettare 700 miliardi di dollari nella risoluzione di un problema anziché interrogarci sulla sua origine” (l’ultima frase è in riferimento al salvataggio statunitense delle grandi banche nel corso della recente crisi finanziaria)

  10. @ made in caina

    Solo acqua grazie…

    zizek è intelligente e simpatico, ho visto tempo fa una sua intervista alla BBC da morire dalle risate per quant’è pazzo. Non entrerò nel merito del suo pensiero e di Lacan, ognuno è libero di torcersi a piacimento, personalmente teoria e prassi vanno di pari passo, come karma e yoga, pensiero e azione, pane e nutella ecc ecc le idee sono miserabili, nella solitudine della prassi assolutamente inutili.

  11. @ robugliani

    non si dovrebbe mai far nulla perché non c’è nulla da fare, Beckett ed il Tao si toccano (nancy) o torcono se aggrada di più. Non c’è mai stato nulla da fare, non c’è più nulla da fare, se te ne stai in una stanza come diceva Kafka il mondo verrà a torcersi ai tuoi piedi, non può farne a meno. Dicevo proprio contro le idee e contro l’idea del fare. E’ l’etica che è venuta meno…

  12. @morganthal

    infatti, certo che vanno insieme, sono le azioni senza le idee che ci siamo abituati a fare. abbiamo idee che accettiamo senza discuterle più. ecco il pericolo.

    @ bugliani, ma c’è l’edizione italiana?

  13. ma vacca ‘ are

    morgan tale

    la proxima volta te la faccio vedere io un’azione

    poi togliendo dal tuo recente post tutta la muffa, il fatto che fai complimenti a zizek, ecc..eccc… non aggiungi altro che ripetere la stessa cosa… vecchi che si ripete da millenni…ma che…modo di argomentare che hai !!

    ps…se non vuoi entrare in merito al pensiero di zizek
    allora non entrare neanche tra i post.

    salutami i tuoi amici…

  14. @ made in caina,
    no, l’edizione italiana ancora non c’è. L’edizione francese è uscita nel gennaio 2010, mentre quella originale inglese “First As Tragedy, Then As Farce” è del 2009. In Italia siamo fermi a “In difesa delle cause perse”, uscito nell’aprile 2009 presso Ponte alle Grazie

  15. ‘NDO COJO? COJO!:)

    si narra, naturalmente altrove che la signora mungo, in luogo di esclamare ,magari sbattendo le ciglia mentre si ripulisce alla meglio e per l’ennesima dal trauma subito dal popolo “come, io sono stata brutalmente violentata in tua presenza e tu salti di gioia?”, si sia letteralmente rotta i coglioni, abbia seguito un corso di autodifesa tra le pink gang dell’uttar pradesh (si noti il legame col terrorismo internazionale) e si sia messa a menare ninja fendenti mega definitivi tra le cosce appiccicaticce dei suoi oppressori: tra le cosce appiccicaticce del marito mungo, sinistro critico, che a quel punto ha inspiegabilmente smesso di ridere, tra le cosce appicicaticce del mongolo stupratore, che a partire da quel momento ci ha pensato due volte e poi ha sempre cambiato strada ma sempre fischiettando, e pure tra le cosce appiccitaticce di zizek, sissà mai che la piantasse di girare la faccia dall’altra parte, e perpetuare l’oppressione con ste storielle di pensiero immobile, del cazzo:)

  16. salvatore d’angelo
    si che serve una mano, serve sempre, ogni volta che si assiste a una ingiustizia (le pink gang dell’uttar pradesh son fatte di vecchie sdentato/ raggrinzite, bimbe rachitiche, adolesceme vergognose, che un po’ goffamente ma ma molto rigorosamente, a suon di bastonate (giocano col il significante fallico senza averne, con tutta probabilità, mai sentitto parlare:), intervengono ogni qualvolta vien fatto un torto a un debole, qualsiasi cosa il debole si ritrovi in mezzo alle gambe, e bastonano rincorrono braccano chiunque abbia abusato del proprio potere comprese le forze, dell’ordine:)

  17. Ecco, poi finisco, ma l’orribile (bellissima che ci fa belle, neh) scarpa cogliona di rifondazione, ai piedi della (coglionissima) “donna di classe” è parecchio interessante.

    Monique wittig (che qualcuno di voi forse conosce per meriti letterari, ma la tipa non finisce li), ragionava annissimi fa come segue centrando alla grande il punto imho Come vedete, il concetto di “DONNE DI CLASSE” è ben diverso (e temuto, e osteggiato, fino ad ora con successo). L’estratto è dal saggio donne si diventa (evidente il nesso con debeauvoir)

    ….La questione del soggetto e dell’individuo è storicamente una questione difficile per tutte le persone. Il marxismo, l’ultimo prodotto del materialismo, la scienza che ci ha formate/i politicamente non vuole sapere nulla di ciò che tocca al “soggetto”. Il marxismo ha respinto il soggetto trascendentale, la coscienza “pura”, il soggetto come “in sé” costitutivo di conoscenza. Tutto ciò che è pensato “in sé” prima di ogni esperienza è finito nella spazzatura della storia, tutto ciò che pretende di esistere al di fuori della materia, prima della materia, tutto ciò che aveva bisogno di Dio, di un’anima o di uno spirito per esistere. Questo è ciò che è stato chiamato l’idealismo. Gli individui finché non sono che un prodotto di relazioni sociali, non possono che essere alienati dalle loro coscienze (Marx ne L’Ideologia tedesca precisa che gli individui della classe dominante possono essere alienati, sebbene sono i produttori diretti delle idee che alienano le classi che opprimono. Ma finché ricavano vantaggi evidenti dalla loro propria alienazione, possono generarla senza soffrire troppo). Esiste anche una coscienza di classe, ma in quanto coscienza che non si può riferire ad un soggetto particolare, salvo come partecipante a condizioni generali di sfruttamento, tanto quanto altri soggetti di questa classe, che condivideno la stessa coscienza. I problemi pratici di classe – al di fuori dei problemi tradizionalmente definiti come di classe – che si potevano affrontare anche con una coscienza di classe, per esempio i problemi sessuali, erano considerati come problemi “borghesi” che sarebbero scomparsi con la vittoria finale della lotta di classe. “Individualista”, “piccolo borghese”, “soggettivista”, erano le etichette attribuite a tutte le persone che avevano mostrato problemi che non si potevano ridurre ad essere riassunti in quelli della “lotta di classe” propriamente detta.

    Quindi il marxismo ha negato a chi era parte delle classi oppresse la qualità di soggetto. Nel fare ciò, il marxismo, a causa del potere politico e ideologico che questa “scienza rivoluzionaria” ha immediatamente esercitato sul movimento dei lavoratori e sugli altri gruppi politici, ha impedito a tutte le categorie di oppresse/i di costituirsi come soggetti (per esempio, soggetti della loro lotta). Questo significa che le “masse” non hanno lottato per loro stesse ma per il partito e la sua organizzazione. E quando è avvenuta una trasformazione economica (fine della proprietà privata, costituzione dello stato socialista), non sono avvenuti cambiamenti rivoluzionari nella nuova società [perché le persone stesse non erano cambiate**].

    Per le donne, il marxismo ha avuto due conseguenze: ha impedito loro di pensare e, di conseguenza, di costituirsi come classe per lungo tempo, sottraendo la relazione donne/uomini dall’ordine sociale, facendone una relazione “naturale”, senza dubbio l’unica insieme a quella tra madri e figli, e nascondendo il conflitto di classe tra uomini e donne dietro la divisione naturale del lavoro (vedi L’ideologia tedesca). Questo è quanto concerne il livello teorico (ideologico). Per quanto riguarda il livello pratico, Lenin, il partito, tutti i partiti comunisti fino ad oggi e tutte le organizzazioni comuniste della sinistra [compresi anche i gruppi politici più radicali**] hanno sempre reagito a tutti i tentativi da parte delle donne di riflettere o di formare gruppi a partire dai propri problemi di classe, con l’accusa di divisionismo. Nell’unirci, noi donne, dividiamo la forza del popolo. Questo significa che per i marxisti le donne “appartengono” sia alla borghesia, sia al proletariato, cioè agli uomini di queste classi. Inoltre, la teoria marxista non permette alle donne né ad altre categorie di oppressi di costituirsi come soggetti storici, perché il marxismo non tiene conto del fatto che una classe è anche costituita di individui, uno a uno. La coscienza di classe non è sufficiente. Noi dobbiamo comprendere filosoficamente (politicamente) i concetti di “soggetto” e “coscienza di classe” e come questi funzionano in relazione con la nostra storia. Quando scopriamo che le donne sono oggetto dell’oppressione e dell’appropriazione, nel momento esatto in cui diventiamo capaci di concepire ciò, noi diventiamo soggetti, nel senso di soggetti cognitivi, attraverso un’operazione di astrazione. La coscienza dell’oppressione non è solo una reazione (una lotta) contro l’oppressione. E’ anche la totale rivalutazione concettuale del mondo sociale, la sua totale riorganizzazione concettuale a partire da nuovi concetti sviluppati dal punto di vista dell’oppressione. E’ ciò che chiamerei la scienza dell’oppressione, la scienza creata dalle/dagli oppresse/i. Questa operazione di comprensione della realtà deve essere intrapresa da ognuna di noi: si può chiamare una pratica soggettiva, cognitiva. Questa pratica si compie attraverso il linguaggio, come il movimento avanti e indietro tra due livelli della realtà sociale (la realtà concettuale e la realtà materiale dell’oppressione).

    Christine Delphy mostra che siamo noi che dobbiamo storicamente intraprendere il compito di definire ciò che è un soggetto individuale in termini materialisti. A colpo sicuro questo sembra essere impossibile poiché soggettività e materialismo sono sempre stati reciprocamente escludenti. Tuttavia bisogna comprendere l’abbandonarsi da parte di molte tra noi al mito della donna: ciò si spiega con la necessità reale di tutte noi di raggiungere la soggettività (il mito della donna non è che lo specchietto per le allodole che ci svia dal nostro cammino), cioè con la necessità di ogni essere umano di esistere allo stesso tempo come individuo e come parte di una classe. Questa può essere la prima condizione per il compimento della rivoluzione che vogliamo, senza la quale non si può avere nessuna reale lotta o trasformazione. Ma parallelamente senza la classe non vi sono soggetti reali, solo degli individui alienati. Ciò vuol dire che per quanto riguarda le donne, rispondere alla questione del soggetto individuale in termini materialisti significa prima di tutto mostrare, come le lesbiche e le femministe hanno fatto, che i problemi cosiddetti soggettivi, “individuali”, “privati”, sono in realtà problemi sociali, problemi di classe, che la “sessualità” non è per le donne un’espressione individuale, soggettiva, ma un’istituzione sociale della violenza. Ma una volta che abbiamo mostrato che tutti i problemi cosiddetti personali sono in realtà problemi di classe, ci resta ancora il problema del soggetto di ogni donna, presa singolarmente, non il mito, ma ognuna di noi. A questo punto diciamo che una nuova definizione della persona e del soggetto per tutta l’umanità può essere trovata solo al di fuori delle categorie di sesso (donna e uomo) e che l’avvento dei soggetti individuali esige per prima cosa la distruzione delle categorie di sesso, la fine del loro uso e il rifiuto di tutte le scienze che le utilizzano come loro fondamenti (praticamente tutte le scienze umane [sociali**]).

  18. @ gina (anarcolesbotransfemgenderguerriglierawittghiana)

    conosci la Wittig e non hai letto la Dolto ? :)

    L’opoponax è un gran libro

  19. in quanto materialista radicale, a tener conto dell’effettivo contesto culturale (in questo caso psicanalitico) e a non sottovalutarlo dunque e a non semplificarlo dunque, ma anche: a non fermarmi li.

  20. @gina
    quello che hai scitto è musica. Non fa una grinza, in toto.Era dagli anni settanta che non ri-leggevo ‘ste cose. Il che – ahimè – mi dice di quanto si è arretrato, in termini generali, in termini di classe e in termini di soggetti. E anche in termini di “maschilismo generale”, visto che anche bugliani, di sicuro un compagno, cita l’ infelice e inopportuna storiella del mugico e di sua moglie.
    Se una cosa posso aggiungere alla tua analisi è che non è il marxismo in sé, in quanto apparato teorico di idee, a perpetrare l’oppressione di “genere” (anche sé in proposito poco o nulla dice), ma è la sua vulgata leninista, date le particolari condizioni storiche in cui avveniva la rivoluzione d’ottobre, a negarla o a non darle peso; e questo, col senno di poi, si può anche capire (ma non giustificare nè accettare), ma tutti quelli che sono venuti poi? tutti quelli che nei settanta hanno continuato pervicacemente a non capire? e che continuano a non capire? Dunque, onore ad Alexandra Kollontaj che già nel bel romanzo Vassilissa (1922) poneva in termini correttamente di “genere” e di “classe” i temi dell’amore, della coppia, della sessualità e della politica. E che fu inascoltata e sbeffeggiata dal “cazzuto” Lenin. Romanzo che fu riesumato anche in Italia da Savelli (1978), e che continuò a fare rumore e a rimanere inascoltato dai leaderini politici della frammentatissima nebulosa dell’ultrasinistra di allora (ah, gli eterni vizi!). Insomma, sì, cara gina, il sogno è veder ancora dieci cento mille migliaia di donne che , semplicemente, si rifiutino di continuare a fare ancora i giochi di ruolo, di modo che la maggioranza dei loro amici/nemici maschi imparino a sbrigarsela col cucinare, fare i letti, la spesa, stirare e accudire i figli. Perchè è ancora da qui che bisogna ripartire. Magari con metodi e maniere diverse, ma è ancora questo il problema, perchè…..”‘a semmenta ‘re fesse (furbi)nu more maje” e bisogna sempre ricominciare da capo. Come dire, pure un oppresso deve avere un piccolo sfogo, pure lui deve avere qualcuno da opprimere e su cui “sfogare”. Insomma, la canzone è sempre quella, c’è sempre un sud più a sud del sud (vedi rosarno) e un nero più nero del nero.(vedi sudafrica).
    Sì sì, alzate i tacchi a spillo e sparate fendenti!

  21. Errata corrige.
    roberto bugliani mi pedonerà per avergli attribuito la citazione della storiella del mugico e di sua moglie, che, invece, è citata da Slavoj Zizek nell’introduzione al suo libro. Non me ne voglia. La velocità del mezzo e la “labilità” fanno brutti scherzi.

  22. salvatore d’angelo
    non conosco kollontaj, ma ho dato un’occhiata, ad esempio agli atti della conferenza all’universita di sverdlov (notevole documento storico), e mi sembra che , pur donna straordinaria, kollontaj rientri nel quadro dipinto da wittig (soggettività). Poi (sommariamentre), cominciare dai piatti vel similia non è poi così difficile, le donne della mia generazione e di quelle successive che hanno smesso di lamentarsi e iniziato a pretendere parità e collaborazione senza mollare, l’hanno pur sempre ottenuta e/o la ottengono. Non gratis, neh, spesso pagandone il prezzo, magari in termini di solitudine e carichi ulteriori di responsabilità. Ma non è poi così terribile e ci si può unire e ci si può organizzare. questo quanto ai fatti. Manca, è mancata, invece, a far da traino, la riorganizzazione collettiva a livello concettuale. Non che manchi, che sia mancata la teorizzazione da parte delle/dei dirett/i interessate/i: la “scienza delle/degli oppresse/i” ha prodotto e produce cose notevoli ma si scontra, si è scontrata e continuerà a scontrarsi con i formidabili cordoni di sicurezza dei servizi d’ordine del discorso (comunque sessuati) del vabbene, vabbene tutto ma nun t’allargà! Ad esempio psicanalitico: aiutiamoci a pulire la casa e smerdare culi, ma non priviamoci dell’Edipo e del pre-edipo e di tutti i nostri rassicuranti traumi infantili che sono pur sempre i mattoni di questa nostra stessa casa degli spiriti, della nostra città, del nostro Paese, della nostra Università che poi dove cazzo andiamo. Magari a sinistra? anche qui wittig ha visto giusto, tanto che pure zizek eccetera. Per fortuna, e qui bestemmio, che ci sono in giro miloni e milioni di copie di lisbeth salander e soci/e a menar fendenti:)
    Ora sgommo (ma prima mi tolgo le scarpe, che la corsa su tacco 12 porta dritta dritta, in ortopedia:)

  23. mi sembra degna di nota (tra l’altro), questa affermazione:
    “la verità è di parte; essa è accessibile – vi si può accedere soltanto se si prende partito, e non per questo è meno universale”.

  24. Ciao Salvatore, bello trovarti qui.

    Da uomo a uomo.
    “il sogno è veder ancora dieci cento mille migliaia di donne che…”
    Sì, se succede -ed è successo- non può che venirne -e ne è venuto- un vantaggio per tutt*. Le donne hanno molto parlato, e molto fatto (e fatto in primo luogo “parlando”, perché, come scrive Robin Morgan definendo il femminismo, “non si tratta di una minoranza oppressa che si organizza su questioni valide ma pur sempre minori. Si tratta della metà del genere umano che afferma che ogni problema la riguarda, e chiede di prendere parola su tutto. Il femminismo è questo”). Nel farlo, erodono il nostro potere su di loro e sul mondo. Perché questa non sia per noi solo una perdita, ma una nuova conquista di libertà e la conquista di una libertà nuova -dal nostro ruolo socialmente costruito e dagli obblighi identitari, comportamentali, prestazionali, ecc. ad esso associati- sta a noi a nostra volta “situarci” nel mondo come uomini, guardare il mondo dalla nostra parzialità e tentare la ridefinizione di noi stessi.
    Come uomini, cerchiamo di “sognare” per quanto ci compete.

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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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