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mi cercarono l’anima a forza di botte

di Saverio Fattori

Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte, mi cercarono l’anima a forza di botte. In molte città italiane vennero affissi cartelli con queste parole. Le parole di De André accompagnano la fine di Stefano Cucchi, arrestato al Parco degli acquedotti di Roma il 15 ottobre del 2009 per venti grammi di hashish e mai più reso alla famiglia. E mai titolo poté essere così folgorante. Stefano Cucchi assassinato dallo Stato. Il cartello chiudeva con questa frase.

Le immagini del corpo dopo il supplizio per qualche giorno sono state visibili su alcuni giornali e telegiornali. Forse hanno turbato la debilitata coscienza dell’italiano lobotomizzato da anni devastati e vili. Forse lo hanno solo infastidito, avrà indugiato qualche secondo come quando si arriva sulla scena di un incidente automobilistico fresco, prima di virare con il telecomando su un telequiz con le domande facili e i concorrenti ritardati mentali. Le tumefazioni tondeggianti attorno agli occhi, la pupilla schizzata fuori dalle palpebre, le fratture alla spina dorsale, quella magrezza estrema, trentasette chili, davvero rimaneva solo l’anima da far saltar fuori e da sputare come il nocciolo di una ciliegia. Le ossa sovraesposte, il viola pesante, tutto ci parla della bestialità della natura umana, di cadaveri scheletrici ammonticchiati, di filo spinato, di fatti lontani che bussano di nuovo alla porta, di intolleranza isterica e folle. Le facce dei torturatori, come sottolinea Cristiano Armati nel breve ma illuminate saggio che chiude questa grafic novel, non le vedremo mai.

Luca Moretti (fondatore della rivista TerraNullius e autore di Cani da rapina, uscito per Purple Press) si è occupato dei testi e delle pagine introduttive, Toni Bruno (illustratore, ha lavorato per la Newton Compton e per L’Unità, pubblicato fumetti per Coniglio Editore) dei disegni, il risultato è crudo, importante per la qualità e per l’importanza del tema. Queste pagine sono necessarie, mettono rabbia e lasciano una pena infinita per la famiglia, persone che credevano nelle istituzioni, fiduciosi verso gli uomini dello Stato. La madre Rita, il padre Giovanni e la sorella Ilaria non avevano ragione di dubitare che il figlio fosse in mani se non misericordiose, almeno non così pesanti. Stefano aveva qualche problema di tossicodipendenza, ma lavorava nello studio di geometra e da qualche tempo frequentava anche una palestra, la vita non ha sempre un happy end facile, qualche inciampo ci può stare prima della luce piena, la condanna sarebbe stata certa, reato colto in flagranza, ma lieve, avrebbe dovuto essere un ultimo ammonimento, nulla di definitivo e tragico, la famiglia Cucchi avrebbe aspettato Stefano e nulla era perduto. Solo la morte è per sempre. Stefano ha subito pestaggi in carcere, da chi l’anima gliela ha davvero cercato solo per gioco e per noia.

All’ospedale Sandro Pertini (un nome che stride in questi tempi maledetti di restaurazione e di tentazioni autoritarie) non gli lasciavano vedere il figlio ricoverato, occorreva una firma del giudice in quanto detenuto. Sono ore di stallo, la posizione dei medici non è chiara, c’è quantomeno imbarazzo. Prendono tempo. Comunque tornate, deve arrivare l’autorizzazione. E non vi preoccupate, il ragazzo è tranquillo. Ma Stefano giace e tira gli ultimi stenti come un novello Sergio Citti giovinetto di Mamma Roma. O addirittura in ospedale arriva morto.

Quante balle in questa storia, le balle di sempre, le assurdità reiterate perché come mantra impazziti possano intontire un popolo senza coscienza. Quel corpo devastato da una caduta dalle scale (tesi ribadita dal Ministro Alfano)? Dalla tossicodipendenza? Dall’Aids? Dalla anoressia (by Ministro Carlo Giovanardi)? I soliti nonsense classici che ricorrono in questi casi, menzogne che solo un popolo connivente può digerire. Nemmeno la retorica delle “Mele marce” è insufficiente giustificazione, nemmeno viene evocata. Il corpo e il viso martoriati di Stefano Cucchi urlano giustizia. Non sarà facile. Le parole di Carlo Giovanardi in un’intervista rilasciata a Maria Giovanna Maglie su Libero sono rivoltanti. Indegne di un paese civile maturo e laico. Non le riporterò con nessun “copia incolla”, non ce la faccio, il tasto destro del mouse si rifiuta, il senso etico del mio mouse è superiore a quello di un ministro qualunque del nostro governo. Sono parole ripugnanti e in antitesi con quel cattolicesimo di posa con cui questa gente si riempie la bocca. Prendono tranci di religiosità come fossero a un bancone di un bar all’ora dell’aperitivo, prendono quello che gli conviene al momento e lasciano la parte migliore. Si ingolfano, sono voraci.
Poi ci vomitano addosso.

L. Moretti e T. Bruno, Non mi uccise la morte, Castelvecchi (2010), pp.110, 12 euro.

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10 Commenti

  1. “Le immagini del corpo dopo il supplizio per qualche giorno sono state visibili su alcuni giornali e telegiornali. Forse hanno turbato la debilitata coscienza dell’italiano lobotomizzato da anni devastati e vili. ”

    Gli italiani/e non sono turbati da niente, da un bel pezzo.
    Non li turba nemmeno una chiesa che nasconde i pedofili.

  2. Bisogna tornare a parlare della legalizzazione delle droghe leggere.

    Ad Amsterdam ostacolano i coffe shop e rinnovano i musei per cambiare il tipo di turismo (l’arte e’ l’oppio dei popoli).

  3. E’ stata una vicenda terribile, non ci sarebbe nemmeno da indagare molto visto le immagini di stefano da morto, eppure si è tergiversato, giovanardi ha fatto delle dichiarazioni oscene, all’inizio si è dato a bere che ci fosse stata la solita caduta accidentale, pare ci siano degli indagati, ma pagheranno per quello che hanno fatto?

    Qualcuno sarà punito, sarà processato per omissione di soccorso, per pestaggio? Non credo.

    Stefano Cucchi è stato massacrato proprio da persone che dovrebbero tutelarci e proprio nel momento in cui siamo privi di forza come può succedere in una caserma , in un carcere, in un ospedale, e invece , troppo spesso,è proprio in quei luoghi ,che la tutela non solo viene meno ma può ribaltarsi fino alla morte.

    Grazie agli autori del libro che fermeranno nel tempo il ricordo di questo ragazzo. Sono fatti diversi ma il mio pensiero è tornato a Franco Serantini , l’anarchico ventenne che morì di botte nel 1972 nel carcere di Pisa dopo essere stato arrestato e la cui vicenda fu ricostruita in modo esemplare da Corrado Staiano con un piccolo grande libro: Il sovversivo.

  4. quando un paese va così, si scende in piazza: anche tutti i giorni, se serve.
    e, invece, alle balle noi, tutti, che pure conserviamo ancora un po’ di capacità di discernimento, un po’ di pietas, assommiamo parole scritte che girano solo tra una sparuta minoranza. sono parole contrapposte a parole.
    perché gli italiani “lobotomizzati” dovrebbero credere a queste piuttosto che a quelle? una legge economica impone che nella difficoltà ci si adatta alla soluzione meno faticosa, meno esigente: è così che uno stato in-credibile può essere convincente e la sua classe politica rieletta e rieletta e rieletta.
    non ci sarebbe stato un 25 aprile con folle e cartelli ineggianti alla libertà se quelle stesse folle non avesero aderito alle adunate oceaniche nei due decenni precedenti, ma fossero andate nelle piazze a impedire lo scempio della libertà.
    non ci sarebbe una chiesa cattolica così devastata se non fossero bigotti e collusi con il peggiore perbenismo i frequentatori delle stesse chiese.
    non avremmo forze di polizia deviate, carognesche se quegli stessi che ci devono difendere non fossero, come alcuni sono, asserviti al controstato.
    questo paese è ridotto pelle e ossa. è picchiato a sangue: come stefano.
    come farà a non sputare l’anima?

  5. chi ha avuto la sfortuna di frequentarle,sa bene che le scale che conducono alle celle di sicurezza o alle stanze degli interrogatori sono veramente molto scivolose;come contraddire in questo il ministro alfano?oltretutto,spesso queste persone indossano scarpe di infima qualità,di poco prezzo.eh,la sa lunga il ministro alfano,è un uomo di mondo lui.chi vedrei volentieri all’altro mondo è quell’infame essere rispondente al nome di giovanardi,il quale ad ogni dichiarazione rilascia una specie di schifosa bava quasi fosse un’immonda lumaca.saranno contenti quelli che lo votano,di esser così ben rappresentati.in conclusione,sono spiacente per la sorella e i genitori;vorrebbero giustizia ma non l’avranno.le divise non pagano,MAI.

  6. …e io penso a tutta la rete di complicità più o meno piccole che ci devono essere necessariamente e capillarmente all’interno di una vicenda come questa e che rendono possibile una morte così assurda e riaccadibile (e chissà quanti fatti che non finiscono con la morte avvengono) e continuo a pensare che sia questo uno dei principali problemi italiani: il piccolo (ma siamo sicuri sia piccolo?) compromesso e silenzio e il limite dell’accettabile e nascondibile che sempre si sposta.

  7. @lucia:per rispondere alla tua domanda ti racconto un fatto successomi negli anni ’80 in un carcere in liguria.io ero lavorante,al mattino portavo il pane e il latte agli altri detenuti.fatto il giro della sezione sono arrivato alle celle dell’infermeria e attraverso lo spioncino(le celle erano ancora chiuse)ho chiesto all’occupante di una di queste,che era steso a letto,se voleva latte o caffè,ricevendo in risposta dei borbottii incomprensibili.al che, ho chiesto alla guardia di aprire la cella e sono entrato.il ragazzo(avrà avuto al massimo una trentina d’anni)intanto cercava di alzarsi,e così l’ho visto bene:ti giuro che io di gente picchiata così ne ho visto poca;non riusciva a parlare comprensibilmente e la faccia(non ho visto il corpo ovviamente,perchè indossava i vestiti,ma posso immaginare…)era gonfia da far paura.così gli ho messo là il latte,anche se onestamente non ho capito se lo voleva veramente,mentre la guardia continuava a dirmi”lascialo perdere a questo”.finito il corridoio c’era l’infermeria,con il suo bel dottoregiovane e stipendiato dallo statoche parlava del più e del meno con l’infermiere,e io gli ho detto”dottore,nella cella tot c’è uno che sta male,non sta in piedi”,e questo si è messo a ridere e a scherzare con la guardia(le parole non le ricordo)e mi ha detto di farmi i fatti miei,sempre con un bel sorriso sulle labbra,e se n’è rimasto lì seduto.al che ho capito che le botte a quello non le avevano date altri detenuti,ma era per così dire tutta minestra del convento.quelle scene,a distanza di tanti anni le ho ancora davanti agli occhi,e non è un ricordo piacevole.

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