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Estraneità

di Antonio Sparzani

Non leggo i giornali sistematicamente, li guardo spesso on-line e ascolto vari telegiornali, locali e nazionali. Mi prende sempre più un senso di estraneità. Quale contatto esiste tra me e la vita pubblica del paese cui per nascita appartengo? E non solo per nascita, per vita vissuta, adolescenza, vita da adulto, da insegnante, da persona che si relaziona con i propri simili. Le notizie di questo periodo, mi sembra più ancora che in altri momenti della storia che ricordo, fanno sempre più emergere l’esistenza di un sistema: parola magica di questi tempi, la mafia, la camorra, ecc. si chiamano, ce l’ha insegnato Gomorra, sistema, forse perché più si apprezzi la loro struttura forte e articolata. E poi qualche volta si parla di “sistema paese” per indicare, a quanto capisco, l’insieme delle forze produttive nostre, quelle che tutte insieme fanno il sacro pil, che sono come l’ossatura, s’intende in una società schiettamente capitalista come la nostra, di tutto quanto il nostro stare assieme.

Ma il sistema che invece sta emergendo ‒ e che certo esiste da chissà quanto tempo, io ne prendo coscienza lentamente solo ora ‒ è un’altra cosa, per la quale non si sa più che metafora usare, una ragnatela, una piovra, una società nella società, una catena di santo potere, una sentina di vizi occulti, direbbe un qualche ingenuo e grasso predicatore medievale.
Si arriva all’assurdo, stentavo a credere alle mie orecchie, di mettere in prigione Tizio perché estorceva denaro, ricattandolo, non al qualunque signor Caio, ma al nostro presidente del consiglio, che dunque lo pagava perché non rivelasse qualche dettaglio sulle sue squallide faccende di sesso a pagamento. Per carità, l’estorsione è un reato e va punita secondo le leggi vigenti, ma il su-non-lodato presidente non sente il bisogno di fare, o dire, qualcosa? No, acqua fresca che passa, o forse non tanto fresca, ma torbida, che comunque passa, lascia solo un po’ di sedimenti putridi sul fondo. Che però si accumulano.

E accanto a questo, giorno dopo giorno ‒ bisogna dire che almeno abbiamo una magistratura instancabile ‒ un tassello qua e uno là, un’altra connessione, un legame nascosto, il ministro, il sottosegretario, il colonnello della guardia di finanza, il prefetto, il sindaco, l’ex presidente della provincia, una valigetta sospetta ‒ ma almeno fosse come quella di James Bond in Dalla Russia con amore, che, se aperta da un inesperto, gli scoppia in faccia ‒ no, no, tutto oliato perfettamente; e nuove parole emergono, per esempio faccendiere, chi è mai un faccendiere, non c’è tanto bisogno di spiegare, la parola suona già un po’ male, è uno che sa fare un po’ di tutto senza tanto badare a leggi da rispettare, quanto a leggi da aggirare.

Eccola davvero la nuova regola:. non devi imparare a rispettare, devi saper aggirare.

Farò un paragone improbabile che mi viene in testa ogni tanto, data la mia lontana anagrafe: Alcide De Gasperi (1881‒1954), nato in terra austro-ungarica, ministro degli esteri della Repubblica e presidente del consiglio degli anni a cavallo tra i Quaranta e i Cinquanta, che pure rappresentava ideali e perseguiva modelli di società che oggi non condivido minimamente, tuttavia basta un attimo per capire come un abisso senza fondo separi una persona come questa dagli uomini che oggi hanno il governo del paese. A mio parere la differenza abissale rimane questa, che De Gasperi sapeva come si fa a governare e questi non lo sanno, vanno a casaccio, ogni giorno viene loro un nuovo pensiero ‒ naturalmente dettato da qualche necessità personale ‒ e gli danno forma sulla testa di tutti noi. De Gasperi aveva ancora il kantiano cielo stellato sopra di sé. Questi qua il cielo stellato neppure lo vedono, Kant figuriamoci, guardano in basso per salvarsi appunto tutto ciò che in basso hanno.
Una differenza appunto abissale, quella che differenzia la cosa pubblica dalla cosa privata.

Lo so che il rischio del qualunquismo è sempre alle porte e che non bisogna fare di ogni erba un fascio, ecc., ecc. Allora faccio un altro esempio: mesi fa, quando qui a Milano si era in campagna elettorale per il sindaco Pisapia, sono andato a qualche mercatino a volantinare. Qualcuno mi diceva “rubano tutti uguali, cosa vuole che votiamo?” E questo è probabilmente qualunquismo, che però andrebbe ben spiegato. Ma altri mi dicevano “Senta, ma a noi poveri chi ci pensa?” E questo a me non suonava qualunquista, mi suonava orribilmente e amaramente vero. E mi stringeva qualcosa dentro, forse il cuore, non so.

Certo che il senso di estraneità che dicevo all’inizio aumenta, è come se il senso di appartenenza a questa nazione si trasformasse lentamente ma inesorabilmente; non mi sento appartenente a quel sistema che vedo emergere ogni giorno, lo so che mi lambisce con i suoi tentacoli, ma mi sforzo di sottrarmi, voglio appartenere solo a quell’altra parte di nazione che sono certo esiste; e ne sono certo perché vedo, e spesso conosco e frequento, persone che ne fanno parte e che lavorano in quest’altro senso. Ma essi avranno ancora voce?

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19 Commenti

  1. La tua estraneità è anche la mia, caro sparz, cui aggiungo una forma di disperazione per la rovina che vedo avanzare lancia in resta. Ogni battaglia sembra persa in partenza, anche se il 6 settembre sarò in piazza a manifestare e a gridare. La cricca affaristico-delinquenziale che ha preso il potere in Italia (definizione di Asor Rosa) ha ormai messo in conto l’eventualità degli arresti. Sono come i mafiosi, sono consapevoli che in qualunque momento possono finire in galera. Fa parte del loro status: rastrelliamo denaro, rubiamo a più non posso, distruggiamo, corrompiamo, ricattiamo, poi magari andiamo al gabbio, ma ci stiamo poco, con gli avvocati e i soldi…

  2. mi permetto di evidenziare che:
    di questo sistema siamo tutti (TUTTI) complici più o meno consapevoli più o meno consensienti.
    Chi dice “sono tutti ladri e disonesti” lo dice per assolvere se stesso dall’essere piu’ o meno disonesto (evadere le tasse, commettere abusi, non rispettare le regole, accettare le relazioni di scambio di “favori” basate sull’interesse familiare, non avere alcuna cura per il bene comune etc etc etc).
    Questa “cricca affaristico-delinquenziale” non ha preso il potere, ha ottenuto il potere garzie a milioni e milioni di consensi.
    I comportamenti di illegalità diffusa, lo scarso senso civico e del bene comune, l’interesse individuale e familiare anteposto all’interesse collettivo, la mancanza di rispetto e dicura per l’ambiente, il paesaggio, le bellezze naturali, l’attitudine a frodare lo stato bla bla non sono appannaggio della destra nè solo appannaggio delle classi dominanti (ovviamente le responsabilità son ben diverse), ma sono diffusi per arroganza connaturata a una classe dominante incolta, arretrata, parassita, per mancanza di cultura, per necessità (si dice che noi siamo maestri nell’arte di arrangairci e di adattarci ahme!!!).
    Bisogna partire da qui, dalla nostra storia per capire cosa ci spinge a tollerare questo “sistema patriarcale, corporativo,” per avere la forza e il coraggio di distruggerlo arinunciando ai piccoli o grandi privilegi, alle piccoli o grandi rendite di posizione, ai comportamenti illegali e mafiosi.

  3. “Certo che il senso di estraneità che dicevo all’inizio aumenta, è come se il senso di appartenenza a questa nazione si trasformasse lentamente ma inesorabilmente; non mi sento appartenente a quel sistema che vedo emergere ogni giorno, lo so che mi lambisce con i suoi tentacoli, ma mi sforzo di sottrarmi, voglio appartenere solo a quell’altra parte di nazione che sono certo esiste; e ne sono certo perché vedo, e spesso conosco e frequento, persone che ne fanno parte e che lavorano in quest’altro senso. Ma essi avranno ancora voce?”

    L’avranno Sparz, l’avremo, l’avrai, finché continueremo a volerci spiegare le cose. Non bisogna smettere di indignarsi. A volte penso che non ci si indigni più non tanto per indifferenza, ma per paura di essere diversi dalla massa. Come se si avesse terrore di stare fuori dal coro, anche quando questo intona canti tremendi. Allora bisogna pensare ad altri cori, dissonanti, numerosi e diversi. Allargare quella parte di nazione di cui scrivi.

    grazie

    g.

  4. E’ UN GOVERNO DI MALAFFARE, CONDOTTO DA BANDITI!!!Basta ascoltare le intercettazioni (perciò il premier le teme tanto) per vedere nel giovane rampante tarantini, che a 20 anni andava in barca con D’Alema e a 30 stava ad Arcore, il tipico rappresentante dell’Italietta di oggi, da cui non si salva nessuno, ha ragione Carmelo perché dopo lo scandalo subentra l’abitudine e quanti conoscete di personaggi borghese tutti perfettini che vanno chiedendo prestiti per coprire debiti di gioco o che si sposano per interesse? No, davvero, l’analisi che viene da fare (e spero che i Vanzina ci facciano un film) è che l’Italia dei soldi facili (20 mila euro al mese per una famiglia in difficoltà?…ma cosa devono dire i disoccupati fra cui io stessa…ma come mai non li mandiamo di corsa a casa???Invece governano, ci governano…è pazzesco! In pratica uno come Tarantini ci governa!!!Il premier fa una finanziaria solo per lui, lavitola, scajola e compagnia brutta…

  5. Caro Carmelo, non credo di capire il tuo discorso, e di certo non so dove tu voglia arrivare.
    Infatti.
    Se intendi dire che siamo complici del sistema perché viviamo in Italia, andiamo a votare partiti che contengono (chi più, direi anzi chi molto di più, chi molto di meno) delinquenti, paghiamo le tasse che servono allo stato per mettere in atto manovre inique da banditi, se non palesemente illegali, spendiamo soldi comprando prodotti di aziende acquistate illegalmente (che so, Mondadori) e i cui proprietari fanno affari illegali, allora sì siamo tutti più o meno complici. Come del resto siamo complici dello sfruttamento e delle guerre del Sud e dell’Est del mondo, che avvengono a opera delle multinazionali, delle industrie delle armi, delle banche (sia direttamente e materialmente, sia indirettamente tramite politica e finanza).
    Ma questo è un discorso disfattista che serve solo a disimpegnarsi e a far andare le cose di male in peggio. E al quale io qui su NI mi sono sempre opposto, perché se è vero che non esiste e non può esistere la purezza al 100%, è altrettanto vero che questo non è un buon motivo per decidere di insozzarsi senza alcun ritegno.
    Se intendi dire che siamo tutti complici del sistema perché siamo tutti più o meno disonesti, abbiamo tutti più o meno privilegi, grazie ma parla per te.
    Quindi, ripeto, credo (e spero) di non capire.

  6. si aggiunge allo schifo per il fango, l’incredulità per tutta la sfacciataggine con la quale esso viene propinato e propagato, per il rovesciamento totale e definitivo di ogni più piccolo valore civile e umano. e ancora incredulità per l’ignoranza di governo, per i sassi lanciati nascondendo o ritirando la mano, per i proclami populistici che danno il vomito. siamo esausti, altrimenti non è spiegabile questa quiete malata e il disinteresse. se ci sentiamo estranei significa che hanno vinto loro. io non mi aspetto più niente

  7. caro lorenzo credevo di essere stato chiaro ma evidentemente mi sbagliavo
    sono tutt’altro che disfattista anzi.

    Siamo tutti complici perchè ci siamo adattati a questo sistema dove regna l’illegalità, l’irresponsabilità, l’impunità, la violazione delle regole, la totale mancanza di senso del bene comune.
    Siamo complici quando non paghiamo le tasse, quando non chiediamo lo scontrino, quando cerchiamo di ottenere una pensione di invalidità anche se non ne abbiamo diritto, quando facciamo il nostro piccolo abuso edilizio….quando diventiamo avvocati solo perchè nostro padre è avvocato, quando facciamo assumere un ragazzo perchè fa parte della nostra famiglia o del nostro partito………….devo continuare ?
    Sarebbe lunga a provo a riassumere in poche parole:
    il sistema di potere democristiano era fondato su una sistematica rapina della stato e della cosa pubblica ai danni di inetressi parassitari, delle rendite, della mafia. Questo sistema consetiva di elargire briciole anche alle classi subalterne attarverso la formazione di clientele, che consentivano l’accesso alle risorse del settore pubblico tramite le pensioni fasulle i lavori fasulli (braccianti) e improduttivi etc etc.
    In questa orgia di spreco di denaro pubblico ai danni delle forze economiche piu’ retrive e improduttive e delle mafie si reggeva sul debito pubblico ovvero veniva ipotecato il futuro.
    Di fronte alla crisi di questo sistema il modello berlusconiano (un blocco di potere ampio e diffuso vorrei notare) ha proposto la politica del bassoventre: ovvero il perseguimento di inetressi meramente individuali e di parte. In tal modo chiunque, individuo o corporazione è stato leggittimato ad adottare comportamenti illegali criminali che finito per portare all’estremo la crisi.
    A questo punto non basta l’indignazione serve una rifondazione etica dei nostri comportamenti individualie collettivi delle relazioni economiche e sociali di questo apese.
    Il problema riguarda tutti, non esistono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra.

  8. Io non sono complice.

    Non ho aderito. Non ho obbedito. Non ho combattuto. Non ho evaso. Non ho violato. Non mi sono adagiato.

    Se la complicità è il linguaggio della mia epoca, io sono muto. Se trionfa il malaffare, io sono a dieta. Se il pensiero è pietrificato, io cerco di varcare le acque.

    C’è, in me, un vuoto enorme: sono privo di complicità.

    Dire che tutti sono complici equivale a dire che la ristretta cerchia dei vincenti ci ha conquistato il pensiero: ci ha normalizzato.

    Un consiglio a Carmelo: giunge il momento in cui uno deve smettere di dire agli altri che cosa sono. Ti senti complice? Scomplicizzati. Non farti canonizzare dal signorssì. Diserta.

    Fammi però un favore: lascia gli altri a se stessi. Non tutti, al mattino, guardandoci allo specchio, vediamo riflessa la nostra complicità. Il fatto di essere vivi non vuol dire affatto che si è complici.

    Puoi sospettare che nei visi di ognuno ci sia la maschera del tiranno. Ma non sei autorizzato a parlare in nome di ognuno. Se conosci, fai i nomi. Altrimenti disimpegnati.

    ***

    Una domandina-ina-ina: perché non tiriamo in ballo anche il Sistema-Sesto? I banditi si nascondono dietro molte bandiere. L’anello più pulito è pur sempre un anello della catena.

    Il Re è nudo? Non spogliatevi anche voi. Le piccole epoche hanno bisogno di orsi. Ridete fino alle lacrime.

    Stan. L.

  9. sottoscrivo completamente le parole di @stan: @Carmelo parli per sé, io non sono diventato prof perché mio padre lo era, chiedo gli scontrini nei bar e non faccio alcun piccolo abuso edilizio. Non siamo tutti uguali, la responsabilità è individuale, ci mancherebbe solo questo.
    Quanto alla domandina finale di @stan faccio notare che, pur nel mio vaghissimo elenco, un accenno al sistema Sesto già ci stava (“l’ex presidente della provincia”)…

  10. Ma se nessuno è complice (io certo non li ho votati né li voterò mai e non vado in barca con D’Alema e il giorno dopo a Arcore e se sono in difficoltà non chiedo soldi al premier) come mai, dico come mai non li mandiamo subito a casa, adesso????

  11. Grazie a Dio non siamo tutti uguali. Ci assomigliamo, similitudini. L’égalité del famoso motto repubblicano tornerebbe utile or ora.

    E non per far la morale a taluno o talaltro.

    Io non condivido. Non concordo con colui che trova l’Italia un paese = prodotto da water.

    Gi.

  12. Cara MariaTeresa,
    non li mandiamo a casa perché sono troppi. E bene armati. La nostra unica speranza è che non sono tutti.

    Tu cosa fai per mandarli a casa? Quando inizi, ti prego: non mandarli a casa mia.

    Stan. L.

  13. Posso dire, non per amore di polemica fine a sè stessa, che il tono dei commenti e del post stesso hanno qualcosa di patetico?
    Apparentemente, l’indignazione costituisce il massimo di reazioni che vedo qui prodotte, mentre, ben aldilà dell’indignazione, che certo è comunque necessaria, bisognerebbe aprire gli occhi senza che le lacrime possano oscurare lo sguardo.
    De Gasperi certamente non era esente da influenze illeggittime, quali quella dell’Ambasciata USA e quella del Vaticano, ma era un uomo diverso, era semplicemente un uomo del suo tempo, come del resto lo erano tutti, lo era mio padre che pure non aveva la cultura e l’intelligenza di De Gasperi. C’era il senso della dignità, forse perfino dell’onore, e cioè qualcosa che coinvolgeva il ruolo sociale.
    Insomma, è intervenuto un cambiamento antropologico, e così il caso Penati ci mostra come è tutta la classe dirigente che si è trasformata.
    Se guardiamo bene, questa crisi non è esclusivamente italiana, è tutto il mondo occidentale che è diventato preda di combriccole di ogni tipo che, tramite i complotti a cui misteriosamente il prof. Eco non crede, controllano ormai la finanza, l’economia complessivamente, eserciti, esercitano in altre parole un potere assoluto che vanifica completamente le democrazie che pure formalmente non sono state abrogate.
    Sono i principi liberali che oggi, soprattutto sfruttando i progressi tecnologici, dispiegano appieno i loro effetti. In particolare, se esiste solo la morale individuale, e le comunità si regolano solo attraverso le leggi, se si nega, anzi si rifugge da un’etica collettiva, allora il degrado morale è inevitabile, ed è quello a cui stiamo assistendo.
    Se questo è il problema, allora non sarà l’indignazione individuale che potrà modificare il quadro, occorre che si affermi una nuova etica collettiva, soprattutto attenta alla salvaguardia ambientale, e ciò può avvenire attraverso una vera e propria rivoluzione culturale.
    Gli sforzi degli uomini di buona volontà dovrebbero convergere nel costituire un’avanguardia in grado di farsi portetrice di questo nuovo ethos.
    Così, provocatoriamente, io dico che non è il tempo di fermarsi all’indignazione, bisogna fare, studiare, rinunciare ai protagonismi e condividere una nuova esperienza collettiva.

  14. Più d’uno ama fare la morale agli altri.

    In molti vogliono il mio bene. Spero non me lo portino via.

    Messer Vincenzo, mi dica: che cosa fa per uscire dalla sola indignazione? Lei, dico, nel suo medesimo, che cosa sta facendo per affermare una “nuova etica collettiva”?

    Taluni si ritirano nell’ombra, cercando di resistere. Lei anche? Ci dica come, così impariamo.

    Il suggeritore deve sapere la parte. Altrimenti balbetta.

    Il resto è chiacchiera.

    Stan. L.

  15. @Stan
    Ti dirò, ho superato la sessantina, avendo così avuto tempo di accumulare un numero sufficiente di sconfitte. Ho fatto esattamente come te, non credo che esista qualcuno che mi possa attribuire nessuna forma di complicità col sistema criminale in auge, non senza ovviamente averne dovuto pagare prezzi ingenti.
    Penso che ci sia il tempo per ogni cosa, e così penso che dovrei mettere a disposizione di chi mi sta intorno la mia esperienza e le mie capacità di analisi teorica, che considero immodestamente di un certo valore, mentre credo di non avere le risorse ed anche l’attitudine a svolgere un ruolo di prima fila: potrei insomma svolgere un ruolo dietro le quinte.
    Ho scritto un libro, in cui riassumo le mie considerazioni in un vasto ambito, che va dalla filosofia alla politica, passando per l’antropologia ed altro.
    Non sono un esperto in queste materie, mi mancano sicuramente molte letture, lacune che sto tentando di colmare in questi ultimi anni, facendomi accorgere di come almeno alcune delle cose che dico nel mio libro erano già state dette prima di me, ma io non lo sapevo: non mi pare si tratti però di qualcosa di così negativo.
    Adesso, ho un blog che aggiorno abbastanza frequentemente, e riscontro generalmente più un atteggiamento di silenzio che tentativi di confutazione delle mie tesi.
    Il mio desiderio sarebbe quello di vedere una capacità di aggregazione di giovani attorno a un progetto, che sia però un progetto rivolto a tutti, e non con la logica del gruppo separato, di cui invece abbiamo numerosi esempi.
    Se ciò che scrivo può essere di aiuto alla formulazione di un tale progetto, sarebbe cosa che vorrei si esplorasse, ma ciò che vedo è una forma di pigrizia mentale, di inerzia, una specie di corruzione anche nelle persone più oneste, che comunque li spinge nella migliore delle ipotesi al pessimismo, al non fare nulla di nulla, crogiolandosi nella prigione dorata offerta dalla società in cui viviamo.
    Non so se questo risponde minimamente alle tue sollecitazioni, lo spero.

  16. Capisco il sentimento di Sparz nel sentimento di solitudine in un ambiente ogni giorno più soffocante.

    Dal mio punto di vista straniero, credo ancora
    nell’energia, nel talento degli Italiani:sono creativi, coraggiosi: non si arrangiano con tanta facilità con la menzogna, la corruzione, l’illegalità, la mafia.

    Sparz dice come la scelta di insegnare è il desiderio non di riprodurre un modello, anch’io vengo da una famiglia di professori (inglese, storia, geografia), ma di offrire libertà al ragazzo di leggere, conoscere il passato, di capire nostro mondo, di inventare con lui il suo avvenire, di creare.

    Tutti non sono nell’illegalità.

    Roberto Saviano sovente ha evocato questa possibilità di cambiare le cose. Mi sono procurato finalmente il suo ultimo libro a Marseille, bello nella sua manera di dialogare con i cittadini.

    La mia paura è solo che gli artisti, gli intellettuali troppo isolati siano costretti al silenzio, alla tristezza
    che la giovinezza sia costretta alla rivolta,
    la mia paura è che queste stelle siano inghiottite da un sitema crudele, potente.
    Speriamo che il progetto Tq sia seguito con belle iniziative: vera solidarietà.
    Speriamo che si inventi un’ europea rispettosa del talento e dell’educazione.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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