Minima ruralia – Dove sono le varietà tradizionali?

di Massimo Angelini

“Le varietà tradizionali stanno scomparendo”: così si dice e, per dare un esempio e un’immagine, si aggiunge che dove a fine Ottocento si contavano trenta tipi di mele oggi se ne trovano sì e no quattro. Certe affermazioni le sento di frequente, ripetute quasi per inerzia, non tanto perché si conosca con certezza di cosa si parla, ma perché va bene pensare che sia così. Ma non è così dappertutto. Sui monti e nelle terre che l’economia considera marginali non è così.

Sul finire degli anni 1990, durante un corso per agricoltori che si teneva nell’entroterra di Chiavari, avevo chiesto ai partecipanti (tredici persone di età diverse) i nomi delle qualità di frutta, ortaggi e cereali che una volta coltivavano e magari conservavano ancora.

La prima risposta, corale, aveva questi toni: Nu ghe ne ciü! (Non ce n’è più!), Figüemuse se ghe n’è! (Figuriamoci se ce n’è!), Na votta, ghe n’ea, ma oua … (Una volta ce n’era, ma ora …); insomma, delle vecchie varietà non restava neppure l’ombra.

È sempre così: sulle prime i contadini dicono di non avere conservato nulla. Qualche volta non capiscono la domanda; qualche volta la capiscono e se ne stupiscono; spesso diffidano e fanno bene.

Poi, dopo un quarto d’ora di silenzio e di teste che negavano, una donna abbozzò, quasi soprappensiero, che, sì, nella sua frazione era rimasta una Limunin-a, una mela Limonina. Le chiesi il luogo preciso e in corrispondenza di quel luogo attaccai una bandierina a spillo su una grande carta della zona appesa sul muro alle mie spalle. Appena parlò della Limonina, subito qualcuno aggiunse che, vabbè, quella l’aveva anche lui. Ma, a quel punto, anche gli altri avevano qualcosa da dire!

Poco a poco il rivolo dei ricordi diventava un torrente, e tutti facevano a gara per disseppellire dalla memoria le vecchie varietà dei loro posti. Dopo meno di due ore avevo attaccato 128 bandierine: 10 qualità di castagne, 8 di ciliegie, 6 di fichi, 1 di frumento, 13 di legumi, 12 di mele, 1 di noce, 9 di olive, 9 di patate, 8 di pere, 11 di pesche, 7 di prugne, 21 di uva bianca, 12 di uva nera.

Il giorno dopo ho ordinato le informazioni raccolte quella sera e le ho confrontate con due elenchi di varietà di quella stessa zona ricavati dal manoscritto di un proprietario terriero steso nel 1802 e da un’indagine etnografica curata a metà degli anni 1970 da Hugo Plomteux, quindi ho preparato una tabella comparativa da restituire ai tredici agricoltori nel successivo incontro.

Solo di frutta, nel manoscritto figuravano 64 nomi di varietà, nell’indagine 62, e quella sera ne erano stati citati ben 105: il 50% delle varietà conosciute nel 1802 era ancora coltivato quasi due secoli più tardi con lo stesso nome o con un nome molto simile.

Sui monti e nelle terre che non hanno conosciuto l’agricoltura industriale, le varietà tradizionali esistono ancora; solo sono uscite dall’orizzonte percettivo e dalla memoria delle persone ed è come se non esistessero più, ed è questo il primo passo perché sia proprio così, perché ciò che non si vede più, più facilmente può scomparire nel silenzio, anche se ancora esiste, come ancora esistono – anch’essi ormai pressoché invisibili – gli ambiti collettivi, gli usi civici, i patrimoni e le titolarità comunitarie.

Allo stesso modo rischiano di scomparire i saperi condivisi quando sono sacrificati alla dittatura degli esperti, quando la sola validazione del sapere che conti è quella dei professionisti, degli scienziati, dei professori, di coloro che sono iscritti a un ordine professionale, di chi alla sua firma può sovrapporre un timbro.

(anche questo testo, come il precedente, è tratto da “Minima ruralia”, sottotitolo: “Semi, agricoltura e ritorno alla terra”, del filosofo e ruralista Massimo Angelini, pubblicato da “Pentagora”, Savona, 2013)

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11 Commenti

  1. (Grazie di cuore al sig. Sartori per aver pubblicato questo testo e il testo precedente. E grazie all’autore)

    • Chi lo sa, Lucio …
      In antico regime, la comunanza del cognome, pur non implicando contiguità di sangue, comunque faceva parentela.
      Massimo

    • Buongiorno Silvia,
      la proposta di legge europea sta suscitando preoccupazioni che, dopo un’attenta lettura, non sono poi così giustificate.
      Insieme con gli amici della Rete Semi Rurali (www.semirurali.net), che coordino su scala nazionale, stiamo preparando una scheda tecnica e un commento dettagliato. Dovrebbe essere pronto entro un quindicina di giorni.
      La troverai presto sul sito della Rete.
      Massimo

    • Ascolta Virginia: cosa vorresti sapere in particolare? Notizie sulle varietà locali laziali?
      Fammi sapere e se saprò ti darò contatti utili.
      Massimo

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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