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Si vis bellum, para bellum

di Giorgio Mascitelli

Il 4 marzo scorso il Corriere della sera ha pubblicato il discorso tenuto dall’illustre nuovo filosofo Bernard-Henry Lévy in piazza Maidan a Kiev. L’iniziativa del quotidiano di via Solferino non è rimasta isolata: a me è capitato di vedere la versione tedesca sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung e suppongo che versioni in altre lingue europee siano apparse in sedi altrettanto prestigiose.

In questo discorso Lévy afferma che il popolo della Maidan è costituito da veri europei, da veri figli di Voltaire che  hanno versato il sangue per combattere la tirannide; che le accuse di nazismo o antisemitismo non solo sono false, ma da rivolgere ai russi che occupando la Crimea si sono comportati come Hitler con la Cecoslovacchia ( che invase l’intero paese nel 1938 con il pretesto di portare soccorso alla minoranza tedesca che viveva nel sud-ovest); che Klitschko, il capo del partito di centrodestra Udar, è il nuovo Danton; che bisogna intervenire in soccorso dei fratelli dell’est dell’Ucraina. Il testo non è privo di qualche passaggio involontariamente comico come quando il celebre filosofo invita l’Europa a comportarsi con Putin come si è comportata con Yanukovich: ecco che in un solo colpo vengono confermati due capisaldi della propaganda del Cremlino, negati con forza dalle cancellerie occidentali,  ossia il fatto che Yanukovich sia stato rovesciato dall’azione di forze esterne al paese e che ciò è stato fatto per minacciare la Russia.

Da circa vent’anni ormai capita di leggere/sentire in occasione di crisi internazionali discorsi analoghi a cura dello stesso Lévy o di qualche suo collega. Si tratta con evidenza di discorsi propagandistici caratterizzati da un impianto retorico non troppo dissimile da quello dei discorsi che andavano in voga intorno al 1914. L’aspetto più particolare è che tali testi vengono pubblicati in sedi che di solito si contraddistinguono per ospitare analisi e ragionamenti pacati e argomentati, dunque conferendo implicitamente a essi un valore di rappresentatività dell’ethos occidentale.

Lo schema è  grosso modo sempre  il medesimo: evocazione di principi universali in modo abbastanza astratto, loro opinabile applicazione alla situazione concreta rifiutando qualsiasi analisi della sua formazione storica e degli interessi politici ed economici presenti, richiamo alla necessità di agire rapidamente e unilateralmente per non diventare conniventi di un crimine contro l’umanità, assimilazione del nemico di turno a Hitler, implicita o esplicita classificazione di tutti gli scettici o avversari come potenziali collaborazionisti o utili idioti del nemico.  Naturalmente qualche variante c’è sempre: per esempio lo stesso Lévy in occasione della guerra in Libia sosteneva il diritto per le nazioni straniere a intervenire nel territorio di un altro paese.

Il cattivo gusto letterario di questi discorsi è l’indice della loro grossolanità e miopia politiche. In fondo la base di autolegittimazione politica che Putin ha usato per quell’occupazione della Crimea, che fa incazzare così tanto Lévy, gli è stata fornita da lui stesso in anni di teorizzazioni del diritto all’ingerenza umanitaria. Poi naturalmente non si può assolutamente paragonare questo intervento con quelli occidentali: in Crimea finora non è stato sparato un colpo, né è stata distrutta una casa o un’infrastruttura.

Questo discorso ha fatto progressivamente breccia in tutti settori delle società occidentali, grazie anche alla loro crescente depoliticizzazione,  e influenza il modo di osservare le cose anche in chi avrebbe strumenti culturali per osservare in maniera più articolata la situazione. Prova ne sia che l’uso dei diritti civili, per esempio delle donne, degli omosessuali o delle minoranze etniche, come grimaldello politico per attaccare certi paesi per tutt’altri motivi, benché sia dannosissimo per quelle cause, non solleva ormai obiezioni di sorta; o ancora il totale disinteresse per la sorte dei paesi che hanno beneficiato di un intervento bellico umanitario, una volta che questo si sia concluso con le elezioni: il fatto che in questi paesi non esista più uno straccio di vita civile e  che per molti dei loro cittadini la democrazia sia sinonimo semplicemente della pallottola vagante che ti può ammazzare mentre stai andando al mercato non ha suscitato nessun serio dibattito.

Non basta però la forza mediatica della propaganda per spiegare questa accettazione quasi unanime di un discorso così impregnato di una logica di guerra. Esso nasce da una sincera convinzione, da un’idea dominante nella società  che si sviluppa a partire dagli anni novanta: è l’idea che la vittoria sul comunismo fa dell’occidente non solo la guida del mondo, ma in qualche modo la sua verità e la sua razionalità in termini assoluti. Ciò che è buono per l’occidente è buono per il mondo.

Questa idea è presente implicitamente in varie formulazioni famose da quelle trionfalistiche di Fukuyama sulla fine della storia a quelle sulla missione statunitense di pacificare il mondo.  Si inscrive a pieno titolo in questo modo di pensare anche Obama quando ha detto, due o tre giorni fa,  che la Russia si trova dalla parte sbagliata della storia. Se però ci chiediamo quale senso abbia questa affermazione non possiamo certo pensare che si riferisca al fatto che la Russia abbia invaso un’altra nazione, visto che questa è un’attività che hanno fatto più spesso gli USA negli ultimi anni;   né che Mosca sostenga un sistema economico ormai superato, visto che l’impopolarità di Yanukovich è cominciata proprio con il suo tentativo di fare quelle riforme di mercato che la Timoshenko o chi per essa sarà chiamata a fare; né che la Russia non rispetti i governi democraticamente eletti, viste le giravolte di Obama in Egitto. L’unico significato plausibile di questa affermazione è che Mosca va contro la storia perché va contro ciò che gli Stati Uniti ritengono essere giusto. E’ inutile sottolineare che questa logica è perfettamente speculare a quella putiniana del rinascente nazionalismo russo.

In questa storia la ragione non sta da nessuna parte: la ragione è uscita un attimo a prendere le sigarette e poi non è più tornata.

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6 Commenti

  1. Il bello è che molte persone effettivamente ci cascano, da una parte e dall’altra. Ed allora ti trovi gli amanti della democrazia contrari all’intervento di Putin e i figli della libertà avversi ad Europa ed Usa. Un tifo estremo e che non tiene conto di un dato fondamentale: sono due diversi poteri che si contendono terre e beni. La gente di quelle zone, impaurita, sceglie da che parte stare più guardando al proprio benessere immediato che in base ad analisi di ampio respiro (ovviamente). La Crimea o diventerà una provincia dell’impero russo o dovrà subire i diktat europei insieme a tutta la nazione; quest’ultima, a bene vedere, starebbe meglio sganciata (non isolata) e governata in modo normale, senza condizionamenti.

  2. a Giorgio, che scrive:

    “un’idea dominante nella società che si sviluppa a partire dagli anni novanta: è l’idea che la vittoria sul comunismo fa dell’occidente non solo la guida del mondo, ma in qualche modo la sua verità e la sua razionalità in termini assoluti. Ciò che è buono per l’occidente è buono per il mondo”.

    Questa idea è dominante, e il suo successo probabilmente è tanto più grande quanto la corrispondenza di tale idea con la realtà è meno certa. Intendo dire che è sempre meno certo che l’Occidente guidi il mondo. L’europa arriva a malapena a guidare se stessa, e gli USA cercano di esercitare il loro imperialismo dove e quando possono, e con decrescente successo. Questo ovviamente non rende gli Stati Uniti meno colpevoli, ma comincia a mostrare come gli altri, nazioni emergenti e minoranze etniche e culturali, non siano granché innocenti. E questo rovina certi schemi che hanno dominato la lettura delle vicende politiche anche a sinistra. Ciò mi è sembrato definitivamente chiaro con il caso della Siria. Vi è stato ovviamente da parte di tutto l’arco politico europeo uno sforzo per interpretare secondo schemi consueti quel conflitto. Ma credo che, in tutti i casi, abbia avuto poco successo. A sinistra si è cercato di spiegare che era tutta colpa degli Occidentali. Forse in questo c’è qualcosa di rassicurante. In fondo chi crede che oggi ancora tutto si muova nel mondo, e faccia casino, perché la CIA lo ha voluto, condivide quell’idea di cui parla Giorgio, assegnadole semplicemente un valore rovesciato.

    Naturalmente la mia immensa ignoranza su ciò che accade anche nella cittadina al confine della mia non mi permette di fare nessun vaticinio di tipo geopolitico. Eppure diversi fattori mi sembrano confermare che, volente o nolente, il mondo vada verso un multilateralismo che si presenta però non attraverso i tratti di un inedito equilibrio tra molteplici soggetti nazionali, ma attraverso quelli di una turbolenza difficilmente controllabile.

    Come dice Giorgio, in questo caso, come in quello ben più tragico della Siria, la ragione non sta da nessuna parte. O probabilemente sta in coloro che in piazza Maidan o anche altrove non hanno avuto la possibilità o la forza per imporre forme diverse di contestazione del regime politico. Ma di costoro noi, da qui, sapremo purtroppo molto poco. E non sarà Lévy a darci informazioni su di essi.

  3. Immagino che ci siano dei vecchi filosovietici che vedono in Putin l’erede dell’URSS ( e in un certo senso hanno ragione perchè già l’URSS svolgeva una politica imperialista) e che pensino che piazza Maidan sia un’invenzione della CIA, però non credo che abbiano un ruolo significativo nelle società occidentali; viceversa il discorso di Lévy e dei suoi amici è quello delle èlite occidentali tanto di sinistra quanto d destra, è il modo in cui l’occidente vede le cose. Comunque il drammatico di piazza Maidan è che è proprio un movimento spontaneo di tipo nazionalista ( ed è per questo che Putin, la cui popolarità è altrettanto spontanea, ha avuto buon gioco nel destare vecchi timori tra i russi). Ovviamente nessuno ha la sfera di cristallo, però prevedere che la linea di Maidan avrebbe dato luogo a tensioni etniche, aggravate dallo scontro tra superpotenze, era abbastanza facile a patto di non essere convinti che esista un qualche fantomatico scontro tra la democrazia occidentale e il dispotismo russo ( e ne approfitto per ringraziare diamonds per la segnalazione della storia della partita di calcio che non conoscevo).

  4. Io ormai penso brutalmente che meno nazioni cadranno in questa sorta di truffa bancaria che è diventata l’UE, meno instabile sarà il mondo. E non ho voglia di argomentare oltre la mia posizione. Non è grillismo, ma semplice realismo. L’Unione Europea è diventata semplicemente il teatro senza uscita di due opposti poteri finanziari, che hanno sede in due nazioni egemoni, una delle quali non è nemmeno nell’Eurozona; questi opposti poteri finanziari, che poi sono solo un segmento locale della finanza transnazionale, fanno strame degli altri Stati dell’Unione. Che questa miserabile unione bancaria mal riuscita e fondata sull’azzardo morale e sull’individualismo egoistico innalzato a istituto metodologico pretenda ancora di farsi vessillifera della civiltà, è cosa che suona sempre più ridicola ogni anno che passa.

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Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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