L’anello d’oro

di Elisabetta Scantamburlo

anello d'oro

L’anello è d’oro. Ha la circonferenza piccola e termina con una testa quadrata e piatta non incisa. Si infila al mio dito indice sinistro. Me lo hanno dato per il mio settimo compleanno. Mi hanno detto che è antico, che da tempi lontani è stato portato dalle donne della nostra famiglia. Al mio dito è tutto d’oro, prezioso e i graffi del tempo lo rendono ancora più importante. Ogni graffio, ogni segno, è come la firma di una di quelle donne. Ora ne sono io la custode. Ora è proprietà della mia manina di sette anni.

Lo tolgo la notte, per dormire, lo appoggio al comodino di fianco al letto, vicino a me e lo guardo prima di spegnere la luce, mi assicuro che sia lì. Lo tolgo in bagno, quando mi lavo le mani, per non farlo scivolar via dalle mie dita tutte insaponate.
Sono in bagno. L’anello si sfila dal mio dito e mi attende sul bianco lucido del lavandino. Mentre io lavo le mani lui, in silenzio, lento, davanti ai miei occhi e alle mie mani che si bloccano, scivola giù, fa un giro di danza nell’acqua insaponata e giù rapidissimo viene inghiottito dal buco nero. Un attimo. In un attimo è scomparso. Per un attimo il cuore cessa di battere. Poi mi tuffo. Mi getto occhi e mani in quel gorgo scuro. E mentre mi lancio, mi infilo nell’abisso, il suo nero esce, e quasi come non potesse contenere lui e me allo stesso tempo straripa fuori denso e si spande, si fa liquido, copre il lavandino bianco, lo specchio, cola giù fino alle piastrelle splendenti del pavimento e poi sale sulle pareti immacolate e tutto, tutto, fa nero. E io ora sono entrata del tutto, ma non cado, sono nel cuore di quel buio opaco e sordo, senza misura e senza suono. Le mie mani si aprono, tastano, cercano appigli invano. Lo spazio attorno si muove però, inspiegabile ma netta, la sensazione di spostamento. Dopo tanto annaspare in questo vuoto -quanto tempo sarà passato? E se la mamma venisse e mi chiamasse?- lontano appare un luccichio. Deve essere lui. Il mio dito si avvicina lentamente, sempre più, lo tocca finalmente. Ma non solo quello. C’è un altro dito, un dito di donna. Nel buio la sua sagoma prende lentamente forma davanti ai miei occhi. Assomiglia alla mamma ed è vestita come me…. No, assomiglia a me. Non parliamo ma capisco che anche lei cerca qualcosa che ha perduto. Mi chiedo da quanto tempo sia alla ricerca. Apre la sua mano e mi offre il suo anello. Ma, mi dice, devo sapere una cosa importante. Quello che mi sta offrendo al posto del mio anello di sette anni è l’anello che perderò a ventuno. A me non interessa. Questo anello, che porta in sé il segno delle piccole dita di tante donne della mia famiglia è la cosa più importante ora, non posso venire meno all’impegno che mi è stato dato. Qualsiasi cosa pur di riparare al mio danno, alla mia mancanza. Accetto e prendo l’anello che mi porge, lo stringo tra le mie mani piccole con una forza adulta. Torno a nuotare nel vuoto buio con nuovo vigore, avanti avanti, verso un buco di luce lontano che si allarga sempre più. Rientro nella luce e mi lascio alle spalle il buio.

Il lavandino e bianco e lucido. L’acqua scorre, prendo il sapone e mi lavo le mani. L’anello è appoggiato sul bordo. È l’anello del mio fidanzamento. In silenzio, lento, davanti ai miei occhi e alle mie mani che si bloccano, scivola giù, fa un giro di danza nell’acqua insaponata e giù rapidissimo viene inghiottito dal buco nero. Alzo lo sguardo allo specchio, vedo il mio volto di giovane donna a bocca aperta. Un’espressione smarrita e nuova, eppure mi ricorda qualcuno, vagamente. Una persona familiare, incontrata molto tempo fa in un luogo lontano.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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