Azulejos e altre poesie #4. Jorge de Sena
«Em Creta, com o minotauro»: una poesia di Jorge de Sena (1919-1978) tradotta da Serena Cacchioli.
Qui il poeta la recita in portoghese:
A Creta, con il minotauro
I
Nato in Portogallo, da genitori portoghesi,
e genitore di brasiliani in Brasile,
forse diventerò nordamericano quando sarò là.
Collezionerò nazionalità come camicie che si svestono,
si usano e si gettano, con tutto il rispetto
necessario per i vestiti che si mettono e che prestano servizio.
Io stesso sono la mia patria. La patria
da cui scrivo è la lingua in cui per un caso generazionale
sono nato. E quella da cui faccio e da cui vivo è la
rabbia che ho della poca umanità in questo mondo
quando non credo in un altro, e soltanto un altro vorrei che
questo stesso fosse. Ma, se un giorno mi dimenticassi di tutto,
spero di invecchiare
bevendo caffè a Creta
con il Minotauro,
sotto lo sguardo di dei senza vergogna.
II
Il Minotauro mi capirà.
Ha le corna, come i saggi e i nemici della vita.
È metà bue e metà uomo, come tutti gli uomini.
Violentava e divorava vergini, come tutte le bestie.
Figlio di Pasifae, fu fratello di un verso di Racine,
che Valéry, il cretino, trovava uno dei più belli della “langue”.
Fratello pure di Arianna, lo avvolsero in un gomitolo ma se ne fregò.
Teseo, l’eroe, e, come tutti i greci eroici, un figlio di puttana,
gli rise nel rispettabile muso.
Il Minotauro mi capirà, si berrà un caffè con me, mentre
il sole serenamente scende sul mare, e le ombre,
piene di ninfe ed efebi disoccupati,
si chiuderanno dolcissime nelle tazze,
come lo zucchero che mescoleremo con il dito sporco
del cercare le origini della vita.
III
È lì che voglio ritrovarmi dopo aver lasciato
la vita per il mondo in pezzetti ripartita, come diceva
quel povero diavolo che il Minotauro non ha letto, perché,
come tutti, non sa il portoghese.
Anche io non so il greco, secondo le fonti più certe.
Converseremo in volapuk, visto
che nessuno di noi lo sa. Il Minotauro
non parlava greco, non era greco, ha vissuto prima della Grecia,
di tutta questa dotta merda che ci copre da secoli,
cagata dai nostri schiavi, o da noi quando siamo
schiavi di altri. Al bar,
ci diremo l’un l’altro le nostre tristezze.
IV
Con patrie ci comprano e ci vendono, in mancanza
di patrie che si vendano abbastanza care da vergognarsi
di non appartenervi. Né io, né il Minotauro,
avremo nessuna patria. Soltanto il caffè,
aromatico e ben forte, non d’Arabia o Brasile,
della Fedecam, o d’Angola, né di nessun posto. Ma caffè
tuttavia e che io, con tenerezza filiale,
vedrò scorrergli dal mento di bue
fino alle ginocchia d’uomo che non sa
da chi ereditò, se dal padre, se dalla madre,
le corna ritorte che gli ornano la
nobile fronte precedente ad Atene, e, chissà,
alla Palestina, e altri luoghi turistici,
immensamente patriottici.
V
A Creta, con il Minotauro,
senza versi e senza vita,
senza patria e senza spirito,
senza niente, né nessuno,
che non sia il dito sporco,
mi berrò in pace il mio caffè.