Articolo precedente
Articolo successivo

Un nuovo ruolo per il soggetto all’inizio del Novecento: anche intorno alla relatività #1

di Antonio Sparzani

“Poiché lo stile non è certo qualcosa di limitato all’architettura o all’arte plastica, lo stile è qualcosa che penetra

in ugual misura tutte le espressioni vitali di un’epoca. Sarebbe assurdo considerare l’artista un essere d’eccezione,

uno che conduce quasi una vita appartata, nell’ambito dello stile ch’egli crea, mentre gli altri ne restano esclusi”

[Hermann Broch, Huguenau o il realismo]

Non c’è dubbio che i venticinque anni che aprono il secolo XX° possono ben venir ripercorsi e descritti come un susseguirsi di radicali trasformazioni che hanno interessato i settori più diversi dell’attività intellettuale dell’Europa, dall’arte alla scienza, dalla musica alla linguistica, dalla letteratura alla filosofia e alla psicoanalisi.
Nel tentativo di parlare di un’epoca, alla ricerca di qualche denominatore comune nelle evoluzioni di diverse discipline, vi citerò un passo di un illustre storico delle idee, Carl E. Schorske, che, nell’introduzione alla sua lucida analisi dell’ambiente della Vienna fin–de–siècle, così si esprime:

“Ciò cui ora lo storico è chiamato ad abiurare, e più che mai al cospetto del problema della modernità, è la tendenza a enunciare aprioristicamente un comune denominatore astratto e categorico: ciò che Hegel chiamava lo Zeitgeist, e che Mill definiva “la peculiarità dell’era”. Scontato l’intuitivo discernimento di valori unitari, dobbiamo ora impegnarci nella ricerca empirica di pluralità, quale condizione preliminare per individuare schemi unitari nel contesto della cultura. Se peraltro ricostruiamo il corso dei mutamenti intervenuti nelle singole branche della produzione culturale, possiamo assicurarci una base più solida per definire i loro punti di affinità e di dissomiglianza. A sua volta un siffatto metodo ci porterà a discernere i comuni elementi d’interesse, i comuni criteri di raffronto di contrapposte esperienze che uniscono gli uomini, nella loro qualità di produttori di beni culturali, in un medesimo spazio culturale e sociale.”
(Carl E. Schorske, Fin-de-siècle Vienna, Alfred A. Knopf, New York, 1980; trad. it di Riccardo Mainardi, Vienna fin de siècle, Bompiani, Milano 2004², p. XVI).

Anche se l’idea di Zeitgeist ha conosciuto nel ventesimo secolo alcune versioni non banali – citerei per tutti Hermann Broch. vedi anche il brano posto qui in esergo – queste parole mi sembrano fornire un’indicazione metodologica largamente condivisibile.
Mi piacerebbe tentare di darvi un’idea di una delle più importanti rivoluzioni verificatesi nella fisica di quel periodo, la cosiddetta teoria della relatività, sotto un profilo che permetterà di inquadrarla, in un modo che mi pare plausibile, in un più generale atteggiamento che è comune per vari aspetti a quelli presenti negli analoghi rivolgimenti accaduti in altri settori della vita culturale dell’epoca.
Per rendersi conto di come i risultati ottenuti dai maggiori fisici del periodo, Lorentz, Poincaré, Einstein siano inscrivibili in un’analisi che converga sul ruolo del soggetto conoscente, occorre ripercorrere schematicamente la storia dell’idea di relatività, avendo riguardo al senso più elementare che questa parola assume nella teoria della conoscenza.
Comincerò dunque con l’affermazione quasi ovvia che, essendo ogni conoscenza descrivibile come un’interazione tra un soggetto cosciente e qualcosa di altro da sé, che chiameremo per comodità oggetto della conoscenza, il prodotto finale di tale conoscenza, cioè di tale interazione, ovunque esso si ritenga localizzato, sarà inevitabilmente costituito da contributi provenienti dall’oggetto e da contributi provenienti dal soggetto conoscente. Non occorre certo scomodare le moderne acquisizioni della fisica quantistica per corroborare una tesi del genere, quando basta ripercorrere gli aspetti gnoseologici già delle filosofie più antiche. Se fissiamo la nostra attenzione per il momento sulla conoscenza di oggetti materiali, appare evidente un primo modo in cui il prodotto della conoscenza – l’immagine retinica, o su lastra fotografica, dell’oggetto, o il corrispettivo mentale di una tale immagine – dipenda fortemente quantomeno dalla posizione e dall’orientamento dell’oggetto: lo stesso oggetto, visto di profilo o visto di fronte fornirà normalmente (salvo casi speciali, tipo quello di una sfera) immagini marcatamente differenti; o ancora, lo stesso oggetto, visto da vicino o da lontano, fornirà immagini differenti – più grandi. più piccole; il che permette di concludere subito che quel che appare rilevante a questo riguardo è la posizione relativa dell’oggetto rispetto al soggetto. Questa analisi del tutto elementare deve condurre a valutare come e in che misura diverse immagini possano riferirsi allo stesso oggetto, nel senso che, solo se le immagini differiscono l’una dall’altra secondo ben precise regole, si pensi nelle arti figurative alla dottrina della prospettiva, esse possono essere ricondotte a un qualche comune denominatore che viene indicato come “lo stesso oggetto”.
Questa locuzione identificatrice di un unico riferimento costituisce un’acquisizione – o forse una comoda convenzione linguistica – che Homo Sapiens compie nei suoi primi sei mesi di vita cosciente e che non è a quanto sembra propria di ogni organismo vivente (non, ad es., del moscerino della frutta, cfr. Marcus Dill, Reinhard Wolf and Martin Heisenberg, Visual pattern recognition in `drosophila’ involves retinotipic matching, Nature, vol. 365, (1993), p. 751).
Anche Ireneo Funes, l’uomo dalla memoria totale, protagonista del racconto Funes el memorioso di Jorge Luis Borges, non capisce perché si debba dare lo stesso nome al ‹‹cane delle tre e quattordici (visto di profilo) … e al cane delle tre e un quarto (visto di fronte)›› (Jorge Luis Borges, Funes, el memorioso, in Ficciones, Buenos Aires 1944; trad. it. Funes o della memoria, in Tutte le Opere, vol. 1, a cura di D. Porzio, Mondadori, Milano 1984, p. 712).
Questa basilare capacità di riconoscimento dell’identità indipendentemente dalla posizione relativa di soggetto e oggetto è la forma più fondamentale di relatività, quella detta Euclidea; la ragione del nome è da ricercare nel fatto che Euclidee vengono dette le trasformazioni che spostano un sistema di riferimento nello spazio e/o lo ruotano in un modo qualsiasi. Se guardo un parallelepipedo da una certa posizione e mi sposto attorno ad esso, so che l’immagine che percepisco nella mia retina cambierà seguendo il mio spostamento e so anche con buona approssimazione come cambierà; se cambiasse in modo diverso da come mi aspetto, comincerei a pensare che si tratta di un oggetto strano, che cambia inaspettatamente forma, o che comunque presenta qualche anomalia.

Dunque in un primo stadio vi è una separazione tra parte oggettiva e parte soggettiva nel prodotto della conoscenza che sembra del tutto ovvia e invariabile, e infatti così si è pensato per molti millenni. Qualcosa è cominciato a cambiare all’inizio di quella che chiamiamo era moderna, nel contesto di quel complesso di rivolgimenti culturali che va sotto il nome di prima rivoluzione scientifica. Per comprendere questo cambiamento, occorre cominciare a rendersi conto che tra gli oggetti di osservazione privilegiati per chi vuole indagare la natura vi sono non solo gli oggetti materiali, ma i loro comportamenti, le regolarità cui tali comportamenti sembrano obbedire, le leggi di natura. L’elaborazione di tali leggi è stata naturalmente un’operazione che ha richiesto secoli di tentativi, di proposte, di prove, di verifiche, di false partenze, che riempiono i volumi della storia della scienza. Ora, nella elaborazione che iniziò con Copernico per concludersi, in buona sostanza, con Newton, cominciò a prendere consistenza un’idea nuova, connessa con la cosiddetta legge di Galileo, o legge d’inerzia – formulata per la prima volta correttamente da Christiaan Huygens nel 1656. Secondo questa nuova proposta, frutto in verità di una riflessione secolare, cominciata agli inizi del Medioevo, se un corpo non interagisce con altri corpi, allora può sì stare fermo ma può altresì muoversi di moto rettilineo uniforme. Si capisce facilmente che questa è una novità forte rispetto al pensare che un corpo che non interagisce con altri corpi (‘sul quale non agiscono forze’) sta fermo; è un allargamento notevole. Ma un allargamento di cosa esattamente? Un po’ di riflessione conduce a notare che, se cominciamo a dare una vera rilevanza ai comportamenti degli oggetti più che agli oggetti stessi, ovvero alla loro forma, osservare un oggetto fermo, oppure osservarlo in moto rettilineo uniforme è da tutti i punti di vista che giudichiamo interessanti, la stessa cosa: in entrambi i casi si tratta dello stesso oggetto che non interagisce con alcunché d’altro; e allora il fatto di osservarlo fermo oppure in moto rettilineo uniforme diventa puramente contingente, dipende da circostanze che non vogliamo ritenere importanti per la conoscenza dell’oggetto, quindi circostanze che non appartengono veramente all’oggetto, dipendono piuttosto dal punto di vista dal quale lo si osserva, dipendono dal soggetto conoscente. Se guardo da riva una barca che scivola lenta sull’acqua la vedo muoversi di moto rettilineo uniforme, ma se la guardo dalla barca stessa la vedo ferma e se la guardo da una barca che analogamente scivola nello stesso specchio d’acqua la vedo muoversi in modo ancora diverso, ma sempre si tratta dello stesso oggetto che interagisce nello stesso modo con tutto quanto lo circonda. E allora ciò che si è allargato è in verità la parte di conoscenza che dipende dal soggetto conoscente, quella separazione di cui si parlava all’inizio si è spostata.

La parte dell’oggetto si è un po’ ritratta.

Fatemi concludere questo primo accenno al nostro tema con un passo tratto dalla Cena delle Ceneri di Giordano Bruno, scritto in quella sua prosa un po’ ostica e sgraziata, ma così penetrante e sottile che vale la pena di gustare lentamente. Si parla di una nave e di due mani, accostate, che lasciano ognuna cadere una pietra. Eccolo:

“. . . se dunque saranno dui, de’ quali l’uno si trova dentro la nave che corre, e l’altro fuori di quella, de’ quali tanto l’uno quanto l’altro abbia la mano circa il medesmo punto de l’aria, e da quel medesmo loco nel medesmo tempo ancora l’uno lascie scorrere una pietra e l’altro un’altra, senza che gli donino spinta alcuna, quella del primo, senza perdere punto né deviar da la sua linea, verrà al prefisso loco, e quella del secondo si trovarrà tralasciata a dietro. Il che non procede da altro, eccetto che la pietra, che esce dalla mano de l’uno che è sustentato da la nave, e per consequenza si muove secondo il moto di quella, ha tal virtù impressa, quale non ha l’altra, che procede da la mano di quello che n’è di fuora; benché le pietre abbino medesma gravità, medesmo aria tramezzante, si partano (e possibil fia) dal medesmo punto, e patiscano la medesma spinta. Della qual diversità non possiamo apportar altra raggione, eccetto che le cose, che hanno fissione [l’esser fissate] o simili appartinenze nella nave, si muoveno con quella; e la una pietra porta seco la virtù del motore il quale si muove con la nave, l’altra di quello che non ha detta participazione. Da questo manifestamente si vede, che non dal termine del moto onde si parte, né dal termine dove va, né dal mezzo per cui si move, prende la virtù d’andar rettamente; ma da l’efficacia de la virtù primieramente impressa dalla quale dipende la differenza tutta.”
(Giordano Bruno, La cena delle ceneri, a c. di A. Guzzo, Mondadori, Verona 1995.)

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

La follia dei numeri #2

di Antonio Sparzani
Dove siamo arrivati con la follia dei numeri: siamo arrivati a costruire una classe di numeri che sembra li contenga tutti, visto che possiamo scrivere un numero qualsiasi di cifre prima della virgola e una successione qualsiasi di cifre dopo la virgola, anche una qualsiasi successione infinita, cosa vogliamo di più folle ancora?

La follia dei numeri #1

di Antonio Sparzani
In tutta la mia vita adulta i numeri e la scienza che li tratta, la matematica, mi sono stati piuttosto familiari, e spesso necessari, data la mia...

M’è venuto un sospetto. . . .

di Antonio Sparzani
Spero abbiate tutte e tutti notato come e in quali efferati e rivoltanti modi la polizia italiana (comprendo in questo termine carabinieri, polizia, urbana e non, e qualsiasi altro cosiddetto tutore dell’ordine) stia, come dire, alzando la cresta, ovvero il livello della brutale repressione dei “diversi” in qualsiasi modo essi si presentino: i fatti di Verona e poco prima i fatti di Milano, quattro agenti che pestano di brutto una transessuale ecc. ecc.

Le parole della scienza 3: da Tito Livio alla terribile “formula”

di Antonio Sparzani
La prima puntata qui e la seconda qui. Che cosa hanno in comune una Ferrari e il censimento della popolazione nell’antica Roma? Non molto, sembrerebbe, salvo che c’è una stessa parola che è implicata in entrambe. Nell’antica Roma, due millenni prima dell’epoca delle Ferrari, Tito Livio, storico di età augustea, scrisse un’opera immensa, cui si conviene di dare il titolo Ab urbe condita – dalla fondazione della città–per–eccellenza

Le parole della scienza 1: la Donzella crea l’insieme

di Antonio Sparzani
Una delle prime parole che compaiono nei manuali di matematica è la parola insieme. E il primo capitolo è spesso dedicato alla “teoria degli insiemi”. Io mi sono chiesto sia da dove salta fuori questa parola insieme sia poi come abbia fatto a diventare un vero sostantivo, da avverbio che era all’inizio. Per soddisfare la mia curiosità sono andato a guardare alcuni sacri testi e naturalmente ho capito che, come spesso accade, occorre scavare nel latino.

Fascismo di oggi

di Antonio Sparzani
Il 26 dicembre 1946, nello studio del padre di Arturo Michelini, presenti anche Pino Romualdi, Giorgio Almirante, Biagio Pace, avvenne la costituzione ufficiale del Movimento Sociale Italiano (MSI) e la nomina della giunta esecutiva...
antonio sparzani
antonio sparzani
Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: