Un nuovo modo di intendere il fantastico?

di Simone Brioni e Daniele Comberiati

Una costellazione di recenti pubblicazioni sembra segnalare l’emergere di un nuovo modo di intendere il “fantastico”, segnando una rottura con la visione di tale produzione come stupore e intrattenimento. Il “fantastico”  – sembrano suggerire questi saggi – non è un mezzo per sfuggire il doloroso morso della quotidianità, ma può aiutare ad esplorare aspetti relegati ai margini della cultura dominante e non per questo meno interessanti per comprendere la nostra contemporaneità. Parliamo in particolare, ma non solo, del gotico e della fantascienza, due filoni che nel contesto italiano hanno goduto di un costante fermento creativo, ma di scarsa attenzione critica. Altri esempi potrebbero essere fatti prendendo in considerazione il fantasy, il new weird, le nuove rappresentazioni horror.

Italia Lunare di Fabio Camilletti (2018) sembra segnare un punto di non ritorno in questo itinerario e un diverso tipo di prospettiva rispetto al fantastico italiano. Camilletti analizza il gotico italiano con gli strumenti della teoria psicanalitica, utilizzando cioè un metodo scientifico per mettere in luce il modo in cui la letteratura di genere ha saputo raccontare il denso materiale umano, politico e sociale da cui è emersa. La capacità di Camilletti di analizzare e costituire un corpus solido e che attinge da linguaggi diversi – la letteratura, ma anche le arti visuali come il cinema e la televisione – mostra la ricchezza delle produzioni italiane del genere. In particolare, Camilletti riesce a ricostruire un’intera atmosfera culturale negli anni Sessanta in cui l’interesse per il fantastico e l’occulto è evidente e riscontrabile dal successo di opere che hanno come argomento i vampiri, i fantasmi e l’esoterismo. Autori e autrici a lungo misconosciuti come Emilio De Rossignoli, Leo Talamonti, Ornella Volta, Bernardino Zapponi, e opere ‘minori’ di autori canonici come Federico Fellini, Mario Soldati e Dino Buzzati sembrano raccontare il lato oscuro del boom economico, quello nascosto nella provincia, che si manifesterà nella stagione del terrore che si aprirà alla fine di quel decennio. Per parafrasare il titolo dell’ultimo libro curato da Camilletti con Alessandra Aloisi, Archeology of the Unconscious: Italian Perspectives (2019), Italia Lunare traccia un’archeologia dell’inconscio italiano, nel senso che riscopre autori e temi ‘occulti’ nel doppio significato di nascosti e che si occupano di eventi soprannaturali.

Anche nei nostri Italian Science Fiction: The Other in Literature and Film (Palgrave Macmillan 2019) e Rappresentazione e ideologia. Percorsi attraverso la fantascienza italiana (Mimesis 2020) ci siamo mossi in questa direzione o, per meglio dire, abbiamo cercato di recepire il crescente interesse per la fantascienza che si è registrato negli ultimi anni in ambito accademico, testimoniato dalla pubblicazione di un’edizione monografica della rivista Science Fiction Studies a cura di Arielle Saiber, Salvatore Proietti e Umberto Rossi (2015), dalla voce “Italia” nell’Encyclopedia of Science Fiction (Pagetti-Iannuzzi 2016), da uno studio sulla nascita e il successo della fantascienza in Italia (Antonello 2008) e dalla creazione della collana “Fantascienza e Società”, a cura di Domenico Gallo, nel 2012. Questa serie include due importanti monografie sulla fantascienza italiana di Giulia Iannuzzi: Fantascienza italiana. Riviste, autori, dibattiti dagli anni Cinquanta agli anni Settanta (2014) e Distopie, viaggi spaziali, allucinazioni. Fantascienza italiana contemporanea (2016). Mentre nel primo testo si traccia la storia del genere in Italia attraverso le riviste, nel secondo si analizzano le opere di Gilda Musa, Lino Aldani, Vittorio Catani e Vittorio Curtoni. Il dibattito accademico ha contribuito a mettere in discussione il pregiudizio secondo cui la fantascienza sarebbe solo intrattenimento e, in quanto tale, un genere non degno di essere esplorato con gli strumenti della teoria culturale.

Italian Science Fiction: The Other in Literature and Film analizza il modo in cui un genere spesso trascurato dalla critica abbia messo in luce tematiche a lungo sottaciute o dimenticate nell’autonarrazione nazionale come il razzismo e l’eredità del colonialismo. Le infauste sorti in Italia di un genere che guarda al fantastico da una prospettiva scientifica sembrano suggerire che la letteratura speculativa è vista tradizionalmente come una produzione che concerne un mondo non razionale, non politico, impossibile da esplorare attraverso la teoria culturale. La nozione di alterità del titolo si riferisce sia all’analisi di alcune figure dell’alterità presenti nel corpus preso in esame, sia alla condizione stessa della fantascienza, spesso vista come un genere “minore” o “straniero”.

Ideologia e rappresentazione vuole invece mettere in luce come la produzione di genere abbia affrontato importanti temi nella cultura italiana contemporanea quali, fra gli altri, il colonialismo e la sua eredità, la robotica, il sessismo, l’ecocritica, le leggi sui manicomi, il terrorismo, il “ventennio” berlusconiano, il complesso rapporto fra l’Italia e l’Europa e la fine dell’antropocene. Siamo d’accordo con Rosi Braidotti quando scrive nel suo libro Il postumano che generi minori o marginali come la fantascienza possono offrire un’illustrazione culturale onesta e consapevole della società (trad. it. 2003, p. 214). Si può affermare infatti che la fantascienza sia stata meno influenzata dalla cultura dominante in ambito nazionale rispetto ad alcune narrazioni realiste, talvolta considerate come un semplice riflesso della realtà piuttosto che il risultato di una sapiente manipolazione di precise convenzioni stilistiche. Ideologia e rappresentazione esamina come le convenzioni di questo genere possano essere usate per esprimere istanze presenti nella cultura popolare o per influenzare l’immaginario del loro pubblico. In altre parole, l’intrattenimento che deriva dalla fruizione di queste opere è inteso come il piacere di immaginare nuovi modi di intendere la realtà, ma soprattutto come l’ispirazione per la creazione di un sistema di norme e regole alternativo a quello esistente.

 

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Non crediamo sia un caso che ad analizzare il fantastico siano spesso italianisti della diaspora. Occuparsi di letteratura fantastica equivale a privarsi di opportunità che chi studia la letteratura che segue convenzioni realiste può avere nell’accademia italiana. Inoltre un confronto comparatistico con altre tradizioni letterarie nazionali quando si tratta di letteratura di genere è imprescindibile, visto che la genealogia di alcune di queste opere può essere vista in una dimensione traduttiva piuttosto che filologica o storicistica. Chi ha prodotto questi generi “minori”, in altre parole, ha spesso ignorato i precedenti scrittori della propria tradizione nazionale e linguistica e ha portato in Italia, con le opportune modifiche, idee e concetti generatisi in un altro contesto. Non è pertanto un caso che Camilletti abbia curato l’edizione italiana di Fantasmagoriana (2015), un volume sul primo Frankenstein – Mary Shelley e Percy Bysshe Shelley, Villa Diodati Files. Il primo Frankenstein (1816-17) (2018) –, e stia curando la riedizione del Dracula di John Polidori per Nova Delphi.

Sarebbe tuttavia inesatto guardare solo all’accademia per riconoscere un nuovo modo di guardare alla letteratura speculativa. La produzione più recente del collettivo Wu Ming – come i romanzi Proletkult (2018), ispirato a La Stella Rossa di Aleksandr Bogdanovic (1908), e La macchina del vento (2019, scritto da uno solo dei componenti del collettivo, Wu Ming 1, il cui titolo si riferisce a La macchina del tempo (1895), celebre romanzo di Herbert George Wells) – utilizzano fra le altre le convenzioni della fantascienza per rappresentare il fermento intellettuale che ha caratterizzato l’esperienza della Rivoluzione russa del 1917 e il confino degli antifascisti nel 1939 sull’isola di Ventotene. Il successo di Wu Ming si è formato anche grazie alla sua capacità di partire da fonti storiche (elencate alla fine del romanzo) per ripensare un periodo storico, ma il collettivo ha deciso di abbandonare questo genere dopo aver scritto L’invisibile ovunque nel 2015. Se l’indicazione delle fonti nei loro romanzi storici aveva la funzione di dare credibilità alla narrazione, tali indicazioni in La macchina del vento e Proletkult (in Proletkult in realtà i titoli di coda non si trovano nel romanzo, ma nella pagina web ad esso dedicato dall’editore Einaudi) servono per mostrare che nessuna finzione può equivalere agli eventi “incredibili” realmente accaduti.

Siamo insomma di fronte ad una costellazione di testi e di esperienze che utilizza la finzione speculativa come mezzo per comprendere una realtà piuttosto che come fine, vale a dire feticizzando o essenzializzando il genere. Il fantastico è qui letto, rivisto e riscritto rispettivamente attraverso la critica psicanalitica (che ci racconta però un inconscio italiano collettivo), la teoria postcoloniale e una solida consapevolezza teorica del rapporto tra romanzo storico e scrittura della storia. Il fantastico non ci parla più della “condizione umana”, ma di precisi processi storici e sociali. Ci parla della nostra storia, o meglio di una storia che non credevamo essere nostra, che credevamo inimmaginabile, che non sembrava rilevante nel momento in cui era stata scritta o aveva avuto luogo e invece torna qui, ad infestare quella distopia che alcuni chiamano presente.

Resta ancora molto lavoro da fare. Occorre esplorare le possibilità della letteratura e del cinema di genere per raccontare una realtà planetaria interconnessa in cui nuovi soggetti si subalterni esprimono. Occorre anche riscoprire opere a lungo marginalizzate e leggerle alla luce delle teorie culturali che negli ultimi anni hanno animato il dibattito critico. In queste produzioni di genere è forse possibile ritrovare in filigrana riflessioni acute e talvolta anticipatorie sull’Italia recente, vista da una pluralità di prospettive e punti di vista.

 

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da Simone Brioni e Daniele Comberiati, Ideologia e rappresentazione. Percorsi attraverso la fantascienza italiana, Mimesis 2020

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Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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