E fu sera e fu mattina

di Maria Luisa Venuta

Questa notte ho sognato. Sono ad un incrocio qui vicino a casa a parlare insieme con Marta, un’amica di Lucca. È sera, racconta di un tipo che si è trasferito qui e abita in un appartamento talmente umido da averlo soprannominato “la laguna”. E dice “vado in laguna” invece che dire “vado a baita” come fanno i bresciani. E ridendo mi guardo in giro, siamo in tanti e parliamo e beviamo birra e bicchieri di pirlo e di vino e mi dico che è una sensazione strana, che forse c’è qualcosa di strano e una voce sussurra “ma è un assembramento e siamo tutti senza mascherine”.

Mi sveglio di colpo, pensando a dove diavolo si sia infilato il covid19 nel mio inconscio. Ecco, sogno di notte di uscire e che tutto sia finito e di tornare a dire cazzate in mezzo alla gente del quartiere del Carmine in centro a Brescia.

Noi stiamo bene. Due settimane fa avrei scritto che l’aria è pulita, si sentono gli uccellini al mattino ed è piacevole questa sospensione del tempo e che con Jacopo facciamo qualche compito e il resto è un po’ inventato, mentre Youssef continua a lavorare dalle 8 alle 16 in un’agenzia bancaria e esce con mascherina, guanti e rientra un po’ silenzioso, lava tutto in lavatrice e la tensione c’è, ma si stempera via.

Poi qualcosa è cambiato.

La settimana scorsa è stata un’ecatombe. Almeno una persona conosciuta che sparisce ogni giorno. Un andar via continuo. Spesso mi soffermo a pensare che se questa è la sensazione che ho io che non sono nata a Brescia, chissà chi è nato e cresciuto qui che cosa sta provando. Le chat collettive si stanno facendo più silenziose: nessuno ha più tanta voglia di scherzare, di far girare video sciocchi o battute impertinenti. Le video call per gli aperitivi virtuali mostrano visi provati, fatiche e qualche segno di pianto. Si scherza sulla tenuta psichica nella reclusione e su quando si tornerà a bere il caffè al bar di Iaio al mattino dopo aver mollato i bimbi a scuola. Un sogno che ci diciamo ogni volta e, di solito, io ci aggiungo sottovoce, le altre sono astemie, che sogno una bella bottiglia di bollicine Franciacorta da scolarmi per strada in compagnia. Youssef si occupa della spesa sotto casa, al rientro, e anche con il Gruppo di Acquisto Solidale siamo riusciti a trovare un modo per andare a prendere le consegne e sostenere i piccoli produttori che per noi sono prevalentemente in zone della bergamasca o del cremonese: le signore di Castelcovati che fanno a casa i casoncelli, una agroittica di valle, la ragazza che alleva polli e tacchini. Insomma pensiamo a noi e a non farli sparire. Il lavoro a casa con i bambini è un terno al lotto ogni giorno: una prova conflittuale, di scelta costante su quello a cui dare priorità. Anche perché il computer è uno e al limite si usa il cellulare. Chi ha due, tre figli gioca al lotto a chi far fare i compiti o le videolezioni.

Le chat dei genitori si sono trasformate in luoghi di scambi compiti, dove sistemare audio, testi e altro per coloro che hanno solo un cellulare. Mercoledì il nostro istituto ha deciso quali sono le priorità per distribuire in comodato d’uso tablet non usati dal 21 febbraio: una redistribuzione di risorse presenti, direi, se fossi ad una conferenza sul tema “La resilienza ai tempi del covid19”. La realtà è che ci si chiede se la decina di tablet ordinati arriveranno mai in tempo utile: qui a Brescia non viene consegnato quasi nulla. E poi il problema è un altro. Ci sono famiglie che non sanno gestire un device: come si usa, che cosa vuol dire ‘applicazioni’, come si scarica un file o, ancor meglio, che cosa significa “scarica il file” o “inserisci login e password” o sono “scadute le credenziali”. Il divario sociale prima nascosto o evitato oggi è fonte di sparizioni totali di studenti e famiglie dai cruscotti della didattica a distanza. E in qualche scuola primaria le percentuali sfiorano il 30 o il 50 percento. Sono numeri importanti che interrogano tutti: insegnanti, i comitati genitori, le strutture che lavorano nel territorio. Tutti.

Con Jacopo ci siamo inventati un po’ di cose, poi ci siamo anche stufati. Ci sono giorni di grande amore e intesa e altri in cui i suoi otto anni confliggono con questo star dentro in un appartamento senza amici con cui giocare, lottare.

E io perdo il senso del tempo. Ricordo una cosa fatta una settimana fa, ma forse ormai è stato tre settimane fa. E allora tiro fuori dal cilindro i trucchetti che mi hanno insegnato tanti anni fa i carcerati di San Vittore per non perdere il senso dell’orientamento spazio temporale. Loro erano dentro da anni, ormai esperti in tutto quello che si può fare in pochi metri quadrati senza orizzonti e io mi sento persa già dopo due, tre giorni a casa mia. Così segno e annoto su un quaderno quello che faccio, man mano che scorre la giornata. Così non perdo il filo rosso dei giorni che scorrono via e la mente si placa.

 

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Maria Luisa Venuta
Maria Luisa Venuta
Maria Luisa Venuta Sono dottore di ricerca in Politica Economica (cosiddetto SECS-P02) Dal 1997 svolgo in modo continuativo e sistematico attività di ricerca applicata, formazione e consulenza per enti pubblici e privati sui temi della sostenibilità sociale, ambientale e economica e come coordinatrice di progetti culturali. Collaboro con Fondazione Museo dell'Industria e del Lavoro di Brescia e Fondazione Archivio Luigi Micheletti. Sono autrice di paper, articoli e pubblicazioni sui temi della sostenibilità integrata in lingua italiana e inglese.
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