Sventurata la terra che ha bisogno di tecnici ( al governo)

di Giorgio Mascitelli

 

Non si può che essere d’accordo su quanto scrive Marco Revelli su Il Manifesto del 5 febbraio a proposito della fine del governo Conte e della sua sostituzione con Draghi ossia che essa rappresenta un momento tragico per la democrazia italiana sia perché a un governo a guida di un politico, perché tale è ormai Conte, subentra un tecnico, in particolare un banchiere, e dunque si passa a uno stato d’eccezione in cui il denaro si rivela apertamente come la vera e unica forza che domina la nostra società sia perché questo fatto determinerà l’esplosione dei partiti politici.

Che le cose stiano così è dimostrato dalle circostanze in cui si è svolta la crisi: benché il trasformismo sia consustanziale alla vita politica italiana fin dall’unità e spesso abbia provocato cambiamenti di maggioranza, mai si era visto un gruppo minoritario e raccogliticcio, non votato da nessuno, come i renziani imporre, sia pure con l’appoggio sotto banco della grande stampa e quindi della grande borghesia italiana, una formula di governo che la maggior parte dei partiti non intendeva appoggiare, perdipiù senza nessuna particolare pressione estera perché il governo Conte era tutto sommato ritenuto accettabile sia a Bruxelles, sia a Berlino, sia a Washington.  D’altronde che i mercati, leggi i potentati economici,  tendano a primeggiare sulla politica tramite l’imposizione di uno stato di eccezione permanente per motivi economici è una tendenza che non emerge certo oggi e può darsi che ora, già come trent’anni fa, l’Italia sia un laboratorio politico di un nuovo modello di articolazione del potere per far fronte alla sempre più difficile gestione delle tensioni sociali.

Personalmente non sono in grado di affermarlo e credo che comunque sia troppo presto per vedere se l’esperimento sia riuscito. In questi primi tempi la stampa è impegnata a decantare i mirabilia draconum (e attendo con ansia la notizia che una semplice imposizione della mano del presidente del consiglio ha restituito la parola o la vista a una bimba muta o cieca) per fare dimenticare la fosca vicenda che gli ha aperto le porte di palazzo Chigi. In prima battuta, però,  mi pare evidente che un esito del genere segnali la debolezza delle èlite italiane e non alludo soltanto a quelle politiche, anzi in primo luogo penso a quelle imprenditoriali e finanziarie. Se guardiamo agli ultimi dieci anni, assistiamo a una cessione agli stranieri di numerosi gruppi industriali, comportante la liquidazione di attività niente affatto in perdita per uscire dal settore produttivo verso forme di rendita. L’esempio più recente e più importante è la nascita del gruppo Stellantis tramite la fusione di Fiat con Peugeot, che, sebbene veda gli Agnelli azionisti di maggioranza relativa con il 14%, ha il suo vero azionista forte nello stato francese. Una borghesia dunque che si ritira verso la rendita e la internazionalizza fatalmente perde d’interesse verso una gestione politica di ampio respiro del paese, i suoi interessi strategici sono all’estero e dall’Italia si chiede qualche affare a breve respiro e soprattutto di non diventare fonte di disturbo per questi interessi. L’atteggiamento nei confronti dell’Europa, un europeismo passivo che quasi si aspetta la guida dell’Italia da parte della UE, ricorda quello delle borghesie sudamericane nei confronti dei rispettivi paesi, mentre delegano la gestione del governo del sistema agli Stati Uniti.

Così si spiega la totale indifferenza verso i rischi di polverizzazione del sistema politico che, come ricordava Revelli, si potrebbe avere alle elezioni del 2023 a causa di un governo tecnico o di unità nazionale: c’è la convinzione che chiunque vada al governo in Italia sarà bloccato da vincoli esterni imposti dall’Unione Europea e non potrà disturbare le rendite delle nostre èlite. Sulla lungimiranza di questa visione mi sembra superfluo esprimersi.

Soprattutto essa si riflette abbastanza bene nella marcata debolezza politica di Draghi ampiamente dimostrata dal lungo colloquio nella giornata di mercoledì 3 febbraio con Conte, quasi a evidenziare la sua continuità con l’uomo che Draghi dovrebbe sostituire in questa fase di emergenza per la sua manifesta incapacità di gestirla. Il diffuso coro di lodi all’ex governatore, al di là degli aspetti servilistici che sono sempre di involontaria comicità, cela anche il fatto che il governo che sta nascendo sarà debole e avrà serie difficoltà, per fare un esempio, ad approvare il ricorso al MES, che in un certo tipo di discorso padronale, per non usare troppi giri di parole, è una conditio sine qua non per la salvezza del paese.

Insomma se da un lato l’abbattimento del governo Conte, è un trionfo delle forze che puntano allo svuotamento della democrazia tramite la sua sostituzione con uno stato d’eccezione permanente di tipo economico, dall’altro il ricorso a un tecnico, soprattutto al termine di una crisi prettamente politica come questa, è un segno inequivocabile di una perdita di capacità di egemonia della grande borghesia imprenditoriale e delle èlite economiche; lo stesso credito accordato dalla grande stampa a un avventuriero di provincia come Renzi, che invece di tenersi in disparte dopo la sua azione di abbattimento del governo precedente, come hanno sempre fatto personaggi che hanno giocato quel tipo di ruolo, concede  a destra e manca interviste autocelebrative e spesso autolesioniste, è un altro segno eloquente della perdita di capacità d’attrazione delle élite del paese.

Questa crisi di egemonia è tanto più grave perché nasce dalle modificazioni strutturali che ricordavo sopra ed è perciò ancora più pericoloso il gioco del tecnico al governo in un momento in cui Lega e Fratelli d’Italia sono i più seri candidati a sfruttare il dopo Draghi nelle elezioni del 2023, ammesso e non concesso che Berlusconi consenta la sopravvivenza del nuovo governo fino a quella data. In questo contesto la frammentazione del PD e dei 5stelle, che è con ogni evidenza l’obiettivo di Renzi e di chi lo ha appoggiato, diventa una iattura anche per chi, come me per esempio, è diviso da alcune posizioni di fondo da queste due forze, perché sono le uniche strutture organizzate in grado di reggere l’urto della grande ondata sovranista. Pertanto i gruppi dirigenti di quei due partiti, ivi comprese le loro componenti più estreme, Gori da un lato e Di Battista dall’altro per intenderci, devono comprendere che o insieme sopravvivranno o insieme cadranno. Purtroppo tutto sembra suggerire che l’abbattimento del governo Conte stia per scatenare la tempesta perfetta: gli unici due fattori oggettivi di speranza sono che proprio l’esperienza del precedente governo ha dimostrato che almeno in questa fase è possibile un tipo di europeismo che non si traduca in un attacco sistematico alle condizioni di vita delle fasce popolari, che dovrà trovare una propria voce chiara nella società e nel governo, e che la crisi di egemonia delle èlite potrebbe rendere anche il tecnico Draghi più incline ai compromessi della politica che ai diktat del pensiero unico dell’ideologia liberista che si autorappresenta come tecnica neutrale.

 

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Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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