Letteratura belga: “Cina” di Jean Jauniaux

[Le edizioni Mincione hanno lanciato una nuova collana di narrativa dedicata al Belgio. Pubblico in anteprima uno dei Racconti trappisti (2021) di Jean Jauniaux, trad. di Thea Rimini. ot]

 

di Jean Jauniaux
traduzione di Thea Rimini

 

Andare in Cina, è facile.
La cosa più difficile è lasciare
Vilvoorde.
Jacques Brel

Nel negozio in riva al fiume Dietro
il banco assiso sta Mister Ying a
vender thè Viola prugna è il suo
gilet Mister Jing vende il thè
Il ginseng ed il saké
Max Elskamp, Il caffè, da Le dilettazioni morose dei mercanti d’Asia

Senza rendersene conto tutti i grandi viaggiatori, e anche i piccoli,
continuano a scappare da qualcosa che li attende ovunque. Loro stessi? La morte?
Maurice Maeterlinck, L’altro mondo o il quadrante stellare

 

Albert non smette di parlare della sua prossima partenza per la Cina fissata per sabato 15 giugno 2019. Tornerà a Bruxelles lunedì 12 agosto. Il povero giramondo non sa ancora che la scelta di quelle date saboterà il pietoso stratagemma che dovrà mettere in atto il giorno della partenza.

Attacca bottone con tutti per ore parlando dell’itinerario, delle città, dei libri, dei film, di tutto quello che già sa della Cina che si appresta a scoprire. La sua esaltazione stanca molti, ma Albert ha parecchi amici pazienti che si alternano nell’ascolto della sua prossima avventura. Comunica che sin dal primo giorno posterà su un blog, creato apposta per questo, una selezione di fotografie scattate sul posto. Non paesaggi o vedute turistiche, no, ma volti, sorrisi, la vita delle città, delle campagne e dei quartieri che visiterà. Se ne avrà voglia, scriverà anche un commento per insaporire – sono le sue parole! – le immagini. Parla del viaggio, lo prepara, rilegge l’itinerario dieci volte, controlla cento volte che tutti i documenti siano nel borsello da mettere al collo sotto la camicia: passaporto, biglietti per il volo Bruxelles-Pechino e poi per quello di ritorno Hong Kong-Bruxelles, biglietti dei viaggi interni in treno o in aereo. Più volte ha tirato fuori tutto, ha controllato e risistemato tutto. Poi lo assale un dubbio: “Ho tutti i visti?”, “È il passaporto giusto? Non è quello scaduto che ho conservato dal mio ultimo viaggio?” Fino alla vigilia della partenza, fino alla notte prima della partenza, non smette di controllare e rimettere a posto ogni oggetto, ogni indumento, ogni medicina che porta con sé. Non bisogna soprattutto dimenticare il collirio. Con l’inquinamento ci mancherebbe solo che debba essere rimpatriato d’urgenza a causa dell’occhio che, operato qualche mese prima, gli aveva già fatto annullare un primo tentativo di andare in Cina! Ma tutto è bell’e pronto. Esausto per l’angoscia di dimenticare qualcosa, non ha chiuso occhio fino alle cinque del mattino. Alla fine si è addormentato. Profondamente. Alle sei, quando il telefono si è messo a vibrare sussultando sul materasso, Albert non si è svegliato. Le ore sono passate. All’aeroporto di Zaventem un altoparlante ha probabilmente chiamato: “Il signor Albert Morrel in partenza per la Cina è richiesto alla porta d’imbarco 16”. E ancora: “Ultima chiamata per il passeggero Morrel. Porta d’imbarco 16”. Poi, più niente. L’aereo si è lanciato sulla pista, ha raggiunto una velocità di 160 nodi, il pilota ha sollevato la parte anteriore che è sprofondata nei nuvoloni neri, li ha attraversati e infine si è lasciata accarezzare dal sole.

Albert si è svegliato. Si è reso conto della catastrofe. I biglietti scontati non si possono cambiare. E non ha abbastanza soldi sul conto per pagarsi un nuovo biglietto a tariffa piena e ricominciare daccapo l’organizzazione del viaggio. Lo assale una grande vergogna. Cosa dirà a tutti quelli che ha stremato con il suo viaggio? Li tormenterà adesso con la storia della sua delusione? Depresso, Albert si fa un caffè, poi un secondo, poi un terzo. Accende il computer, va sul blog e dice a sé stesso che annuncerà il fallimento in questo modo. Per i suoi amici sarà meno penoso, e poi sarà più veloce.

Comincia a scrivere:

Non sapevo nulla della Cina. Ho deciso di andare a dare un’occhiata più da vicino, di recarmi laggiù, nel Regno di Mezzo, e di accostarmi a quel paese-continente o a quello che mi avrebbe voluto rivelare. Ecco la prima foto del viaggio: il mio bagaglio nell’ingresso di casa. Sono le sei di mattina e ho selezionato questa foto mentre si appresta a decollare il Boeing dove occupo il 24C sul lato corridoio, posto che ho scelto per distendere le gambe e preservare il mio ginocchio.

Descrivendo la foto della partenza presunta, Albert rinuncia alla confessione e decide di simulare il viaggio. Sì! si dice, piuttosto che perdere la faccia (è molto cinese non voler perdere la faccia), inventerò il mio viaggio, lo racconterò giorno per giorno, troverò molte foto per illustrare la mia spedizione. Dovrò solo resistere otto settimane e poi potrò riapparire a bordo di un taxi che prenderò alla stazione il giorno previsto per il mio ritorno. Albert gongola, anche se gli si attorciglia lo stomaco al pensiero di quell’impostura interminabile che diventeranno i prossimi due mesi della sua vita.

Bisogna organizzarsi: sistemarsi in soffitta o in cantina. Edmée, la donna delle pulizie, non deve trovarlo né quel lunedì né i lunedì seguenti quando verrà a innaffiare le ortensie. I vicini non devono vedere della luce. Bisogna occultare il lucernario della soffitta. Albert sceglie di nascondersi in soffitta: in cantina Edmée andrà sicuramente a fare il bucato o a stirare gli arretrati; nel sottotetto, invece, non ha motivo di venire, a meno che, spinta da uno zelo inaspettato, non decida di pulire la casa “a fondo” come ha già promesso di fare mille volte!

Albert sale allora in soffitta, mette una tenda nera sui due lucernari, porta delle riserve d’acqua e del cibo in scatola, installa un fornello a gas, sta quasi per dimenticare di nascondere la valigia e lo zaino ma se lo ricorda all’ultimo momento. Appoggia il computer su una porta messa su due cavalletti abbandonati in giro e controlla che il wi-fi arrivi nel sottotetto.

Inizia così il viaggio immobile di Albert alla scoperta della Cina. Sul sito di National Geographic, Le Routard, Continents insolites e altri, si mette a cercare fotografie che possano raccontare il suo viaggio… a partire dall’arrivo a Pechino. Sul blog e su Facebook i commenti non tardano ad arrivare (al suo ritorno dovrà spiegare come sia riuscito a sfuggire alla censura che da settimane impedisce a tutti di accedere al social network più popolare al mondo). Ben presto i suoi amici reclamano delle fotografie che immortalino lui, Albert, sul posto.

Quando scopre la richiesta ripetuta da decine di amici virtuali, crede di dover rinunciare all’inganno e rivelare la verità del suo fake trip. Sta già ticchettando sulla tastiera la lettera di scuse da postare quando un’idea gli attraversa la mente in preda al panico. Andiamo, Albert! Ci deve essere un modo per prolungare questo viaggio falso! La Cina non è solo in Cina! Del resto, non è andato lui stesso a rubare delle immagini cinesi dalla Chinatown di Los Angeles? Perché non andare nella Chinatown di Londra e farsi una serie di selfie che lo immortalino circondato da cinesi londinesi davanti a ristoranti, negozi di souvenir e altri luoghi che trarrebbero in inganno, e che potrebbe assemblare con immagini di celebri siti turistici?

Sale sul primo Eurostar e si rifugia per due giorni a Chinatown. Lì si fotografa in compagnia di cinesi di tutte le età davanti a vetrine grondanti di grasso di anatre appese al gancio, a negozi di alimentari e a un tempio buddista. Ha affittato una stanza a buon prezzo in un hotel di Gerrard Street. La receptionist lo guarda in modo strano quando rientra in hotel per cambiarsi, cosa che fa molte volte durante il suo breve soggiorno. Deve rendere credibili quelle foto che si suppone siano state scattate in un periodo di due mesi. Non commetterà l’errore di apparire vestito sempre allo stesso modo. Ha portato con sé una valigia piena di magliette e pantaloni di tela che indossa per quegli autoritratti sino-britannici.

Quando rientra a Bruxelles, per poco non si imbatte in Edmée: cosa ci fa di lunedì al binario dell’Eurostar con una valigetta in mano e la guida Routard, Un weekend a Londra, sotto gli occhi? Per fortuna non lo vede tuffarsi nella scala mobile che lo conduce nell’atrio della stazione e poi da lì in un taxi.

Ogni giorno Albert continua a inventare il suo viaggio a partire da immagini scaricate da internet, ritagliate con Photoshop e messe online. Completa il racconto del viaggio che aveva iniziato con “Non sapevo nulla della Cina…”, usando la stessa formula, questa volta al presente, e la modestia delle sue parole convince tutti i suoi amici che quell’avventura ha trasformato il chiacchierone impenitente in un uomo saggio, riservato, umile e lucido in materia di Cina: “Non so nulla della Cina che richiederebbe, invece di questo breve viaggio, anni di studio e di osservazione solo per conoscerne una minima parte”. Confucio non l’avrebbe detto meglio!

Il 12 agosto 2019 Albert comunica finalmente il suo ritorno agli amici. Pubblica “dall’aeroporto internazionale di Hong Kong” un messaggio che annuncia l’imminente partenza del volo. Rimane sorpreso dalle reazioni di molti preoccupati che lui, così attento a certe problematiche, non sia stato per nulla coinvolto nelle ultime manifestazioni anti-cinesi organizzate dai difensori dei diritti umani. Albert aveva firmato varie petizioni, in particolare del PEN e di Amnesty International, quando erano misteriosamente scomparsi cinque librai che distribuivano libri critici nei confronti della Cina. Per documentarsi, Albert si era naturalmente informato sull’evento che aveva sconvolto il panorama politico cinese, scorrendo attentamente le notizie del 1° luglio 1997. Le prime pagine erano dedicate agli accordi della Legge Fondamentale della Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong e alle cerimonie storiche che avevano segnato il ritorno di quel territorio alla Cina comunista. Albert aveva postato varie fotografie che illustravano l’evento, tra cui una che mostrava il leader cinese Jiang Zemin mentre stringeva la mano al principe Carlo tra gli applausi dei primi ministri Li Peng e Tony Blair. Albert attirava l’attenzione dei suoi internauti sulla presenza di Margaret Thatcher nella tribuna ufficiale…

Invece, troppo occupato a inventare e illustrare le ultime tappe continentali del suo viaggio cinese, non ha prestato attenzione alle ultime manifestazioni contro il progetto di legge che permetterebbe l’estradizione in Cina dei cittadini di Hong Kong. Questa legge, se approvata, sarebbe un attacco intollerabile alla libertà di espressione e al principio “Un Paese, due sistemi”. E l’ultima manifestazione si è svolta proprio all’aeroporto internazionale di Hong Kong dove tutti i voli sono stati annullati il giorno del preteso ritorno di Albert. Così la sua bugia è venuta a galla alla fine dei due mesi di viaggio immaginario.

Sulla strada per il Trappiste, dove ha dato appuntamento ad alcuni amici per raccontargli di persona il viaggio mancato, si ricorda della frase di Jacques Brel che inconsapevolmente ha messo in pratica: Andare in Cina, è semplice. La cosa più difficile è lasciare Vilvoorde.

Cerca di farsi perdonare l’inganno richiamando i grandi viaggi immaginari di Hergé che aveva portato Tintin in Cina senza averci mai messo piede. Parla anche delle pagine del suo blog dove ha raccontato la costruzione della linea ferroviaria Pechino-Hankou e menziona il suo antenato Jules Morrel immortalato accanto all’ingegnere Jean Jadot. Probabilmente Jules è stato protagonista di quell’incredibile impresa che, alla confluenza dei fiumi Han e Yangtze, ha collegato la capitale imperiale alla città di Hankou e che i belgi hanno portato a buon fine nonostante le guerre e le intemperie.

Gli amici di Albert, ipnotizzati dalle chiacchiere dell’instancabile affabulatore, si dimenticano di essere stati ingannati. Si convincono presto della veridicità dell’antenato Jules Morrel, di cui sentono parlare per la prima volta, vedendo una foto descritta in modo molto dettagliato da Albert che s’inventa una nuova stirpe e un avo avventuriero.

Si convincono ancora di più della sua buona fede quando Albert esibisce il biglietto ferroviario che avrebbe dovuto portarlo a Hankou sul TGV che ha sostituito le locomotive a vapore sulla linea inaugurata in pompa magna nel 1905. Se non fosse stato per rendere omaggio a questo avo, che motivo avrebbe avuto Albert di andare a Hankou?

Albert promette agli amici di raccontare come il suo antenato Jules Morrel abbia permesso al maggiore Collon, un altro illustre sconosciuto che Albert tira fuori dal cappello, di lasciare il territorio russo nel 1918 e di imbarcarsi sulla nave che lo avrebbe riportato insieme ai suoi uomini da Vladivostok a Bruxelles passando per gli Stati Uniti. E questo era avvenuto dopo che la famosa spedizione degli autocannoni aveva tentato due anni prima di accerchiare le truppe tedesche in Ucraina. Ubriacati dal finto viaggio in Cina, i suoi amici si apprestano adesso ad ascoltare senza interruzioni un’altra favola che mescola verità e finzione.

Albert ordina un tè verde fumante.

– Dell’Oolong… in memoria del mio antenato Jules…

 

 

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ornella tajani
Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
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