La mente, l’odio, l’imitazione, l’inversione

di Pasquale Vitagliano

Caino e Abele. Ovvero Castore e Polluce, i due dioscuri del romanzo novecentesco: Valerio Magrelli ci propone un duello letteraria tra Proust e Céline. La mente e l’odio è il titolo del suo saggio per la collana Einaudi, Stile Libero VS. La mente è Marcel Proust, l’autore di quell’opera monumentale che sono i sette volumi de Alla Ricerca del tempo perduto. L’odio è quello che ha ossessionato Céline, l’autore del Viaggio al termine della notte. L’immensa fatica letteraria di Proust, rivela Magrelli, non è descrittiva, bensì conoscitiva e corrisponde a un preciso progetto gnoseologico, unitario e totale. Il suo scopo è rappresentare il corpo, la vita e il linguaggio della mondanità parigina per decifrarne i significati storici e psichici. Al ragionamento, invece, Céline oppone il palpito. A lui non interessa la mondanità, ma il suo polo opposto, i bassifondi dove cova l’odio. Eppure, grazie a questo risentimento, l’autore del Voyage ha reso la lingua più sensibile ed emotiva.
A far incrociare i loro destini sono anche le sfortune editoriali. La Recherche viene rifiutata dall’editore Gallimard per volere di André Gide, che considerava Proust poco più di un viziato moccioso. Eppure, constatato il successo, dovette scusarsi e finalmente l’opera poté uscire con un editore all’altezza del suo valore. Anche Céline attese invano Gallimard. Questa volta la svista fu di un editor che pretendeva di tagliare in più punti il manoscritto. L’approdo alla grande casa editrice arrivò solo poi, grazie all’intervento di André Malraux, ministro della cultura di De Gaulle, intellettuale e scrittore egli stesso.
Come Magrelli precisa, lo scontro tra i due è asimmetrico. Hanno vissuto in epoche diverse. Proust non ha conosciuto Céline, dunque, non può rispondere al suo astio. Più correttamente, si tratterebbe di un’ “aggressione postuma”. In realtà, e siamo al centro nevralgico del saggio, i punti di contatto sono molti: la centralità dello stile, la malattia, la visione nichilista, la città di Parigi. Anzi, piano piano scopriamo che l’odio di Céline, in realtà, finisce per essere una magnifica ossessione. Si può sostenere che egli si sia dedicato, per tutta la sua vita, a comporre un’ininterrotta, maniacale riscrittura di Proust. Si può azzardare che l’irrisione verso il suo predecessore abbia in realtà nascosto un segreto, spettacolare omaggio.
A questo proposito, rivelatore è la pagina in cui Proust evoca la morte della nonna. Esplicitamente, Céline la considera la migliore di tutta la sua opera. Ma non si limita a quest’ apprezzamento. Infatti, la scena viene ripresa punto per punto nel suo secondo romanzo, Morte a credito. Sono altri i punti di contatto, per imitazione, oppure, al negativo, per inversione. Ad esempio, il leggendario incipit della Recherche (citato anche nel cinema da Sergio Leone) viene ripreso nel Voyage. Oppure, “dalla parte di Swann” diventa in Céline “dalla parte dei ricchi”.
D’altra parte, anche in Proust, l’odio scorre. Allontanandoci da Combray, entriamo nei salotti Parigini. Anche questa è una discesa all’inferno, un viaggio notturno nei bassofondi delle esistenze umane. Nell’universo di Céline non c’è sacro. Proust, invece, ci mette di fronte ad un processo di perversione e corruzione del sacro, fino ad avvelenare ogni fonte di vita.
Il saggio di Magrelli, alla fine, ci riserva un colpo di scena. Tutto Céline si appoggia su Proust. Cos’altro ha cercato di fare l’autore del Viaggio, lungo tutta la sua carriera, se non appunto espellere Marcel, la cui ombra planava così ostinatamente sulla propria opera? Dunque, ha ragione Roland Barthes quando scrive che oggi si potrebbe benissimo concepire un’epoca nella quale non si scriverebbero più opere nel senso tradizionale del termine, ma si riscriverebbero senza posa le opere del passato.
Insomma, Proust e Céline sono indissociabili come due facce di una stessa medaglia, come il diritto e il rovescio della stessa pagina. Come se al termine del nostro viaggio notturno ci ritrovassimo nell’alba di Combray, simbolo per tutti noi dell’innocenza perduta.

 

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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