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L’oblio è sempre un male?

 

di Matteo Bianchi

La memoria tra forma di riscatto e condanna perpetua: Virginia e la verità nel cassetto di Stefano Biolchini

Il passato che ossessiona il presente, o meglio, un passato irrisolto che continua a tornare, a bruciare la realtà dei posteri come una brace sepolta ingiustamente. È soltanto una delle chiavi con cui accedere a Virginia nel cassetto (Caffèorchidea, 2024), l’esordio narrativo di Stefano Biolchini. Il romanzo segue la vicenda di Andrea Corsini, un giovane sardo benestante, che deve confrontarsi con il suicidio improvviso del padre. La prospettiva tragica dell’evento, benché il rapporto tra i due fosse connotato da un spesso silenzio emotivo, da subito spinge il protagonista a smuovere le radici della sua famiglia, intraprendendo un viaggio tra Parigi, Roma, Cagliari e Milano nel tentativo di dissiparne le ombre e, soprattutto, di ricostruire la vicenda di Virginia, una sua lontana parente la cui memoria è stata volutamente cancellata. Virginia Corsini era una donna emancipata che, nella Sardegna del Ventennio fascista, sfidò le convenzioni sociali sino a rendersi scomoda, ma di più, scandalosa per chi portava il suo medesimo cognome. La sua esistenza fu segnata dalla relazione tormentata con Dante Valdemontis, un rampollo dell’alta società che l’aveva sedotta per poi abbandonarla dopo aver appreso che era incinta. Nonostante la promessa amorosa che si erano scambiati, il ragazzo la infranse rifiutando ogni responsabilità sul nascituro.

Le ricerche di Andrea alimentano una storia dentro la storia, una struttura a “mise en abyme” che a ricordi alterna segreti. E il ritmo del racconto si fa più martellante con lui che tenta di dare voce a Virginia attraverso un romanzo, in modo da riscattarla: un dispositivo narrativo tipico della produzione di Gide, che in Les Faux-Monnayeurs argomentava su livelli sovrapposti. D’altronde, memoria e oblio sono gli impulsi opposti che si intrecciano e si sfidano costantemente, sia nella narrazione sia nel quotidiano dei personaggi di Biolchini. Ma la scrittura si rivela una condanna e Andrea perde persino il sonno, tanto da sentirsi trascinato a fondo: la memoria, da strumento nobilitante di verità, assume un peso psicologico che rende simbiotico il suo rapporto con Virginia. L’approccio introspettivo e il tentativo di fermare sul foglio il volto di lei che scolora, sono strumenti proustiani, così «il suo profumo confuso nell’aria di un cassetto che nessuno apriva più» e gli odori tenui che si percepiscono unicamente in determinati stati d’animo.

«Dante Valdemontis giaceva ai suoi piedi, il corpo contorto, la bocca socchiusa come in un ultimo, inutile tentativo di parola. Virginia respirava a fatica, il coltello ancora stretto nella mano. Il sangue le macchiava le dita, si insinuava tra le linee del palmo, caldo e appiccicoso. L’aveva fatto. Non c’era più ritorno». Disperata e umiliata dall’abbandono dell’amato del quale si fidava, Virginia decise di vendicarsi e ucciderlo, decretando con un gesto estremo il punto di non ritorno: l’omicidio è il fulcro della sua tragedia esistenziale, che da vittima di un sistema oppressivo la tramuta in colpevole agli occhi del suo contesto di appartenenza. Un gesto che, al contempo, realizza un atto di ribellione contro le regole patriarcali subite e traccia il suo destino da esiliata. Dopo il delitto fu costretta alla fuga, trovando rifugio in Francia, a Parigi, dove iniziò una nuova vita sotto una nuova identità. Eppure le conseguenze non tardarono a manifestarsi: il delitto non solo distrusse il suo futuro sull’isola natale, ma divenne il movente per cui i suoi cari la rinnegarono in toto. Suo fratello, per proteggere l’onore dei Corsini dall’onta, impose su di lei il silenzio assoluto, tanto da ridurre Virginia alla stregua di «un’eco spenta», di un fantasma che aleggiava nel buio.

Durante il suo viaggio fisico e interiore, Andrea scopre il legame profondo tra lei e suo padre: «Nelle sue lettere ho trovato le parole che non mi ha mai detto. Parole per Virginia, parole per se stesso. Parole che non erano mai per me». I due si erano incontrati e si scrivevano reciprocamente, mantenendo un filo di comunicazione celato che nessuno conosceva. Tuttavia, suo padre non aveva osato reintegrarla nella discendenza, soggiacendo all’imposizione della damnatio memoriae. Non a caso, la dimenticanza forzata che riguarda Virginia si rivolge alla tradizione francese dell’esclusione: Flaubert con Madame Bovary e Zola con Thérèse Raquin si sono focalizzati su chi veniva relegato ai margini a causa delle convenzioni e del moralismo borghese. Inoltre l’utilizzo di una lingua ibrida, che mescola francese, italiano e sardo, richiama lo stile barocco e stratificato di Céline, che in Voyage au bout de la nuit impugnava il linguaggio per esprimere straniamento e alienazione.

«Parigi non era solo la città dove mio padre tornava per ritrovare stesso, era anche il rifugio di Virginia. Camminavo tra le strade del Marais sapendo che lei le aveva percorse prima di me. Rue Saint-Antoine, l’ombra della chiesa di Saint-Paul, la luce riflessa nei vetri opachi dei bistrot». Stefano Biolchini non sbrodola e non sbava, bensì lavora su un lessico nutrito con un’attenzione a tratti maniacale per i dettagli e la nomenclatura degli oggetti (fotografie, lettere, vecchi appartamenti), che ricorda la precisione scultorea di Patrick Modiano nel descrivere scene e atmosfere, quasi la parola possa arrestare il corso del tempo. Andrea non si limita a essere un testimone della storia familiare, bensì intende riscriverla per darle un senso, grazie alla funzione inverante della letteratura. Un aspetto che ricalca ulteriormente le opere di Modiano, potendo dunque definire Virginia nel cassetto una saga familiare atipica, poiché combina elementi classici del genere (eredità e vincoli generazionali), a uno svolgimento più lirico e frammentato. E si avvicina alle saghe contemporanee che spezzano la linearità della narrazione, basti pensare a La famiglia Karnowski di Singer, nella quale il passato non è solo esposto passivamente, ma rivissuto attraverso una dimensione onirica e riflessiva dovuta alla crisi personale del protagonista. Il linguaggio giunge così a costruire (e a distruggere) le identità, come una riflessione meta-testuale o un calembour alla maniera del Perec de La Vie mode d’emploi. Parigi, o cara, titolo memorabile di un capitolo, sublima la Cité a spazio riservato all’intimità, per quanto labirintico e spesso oscuro, popolato da reminiscenze, cimeli e misteri mai del tutto risolti: Andrea si rifugia nell’appartamento del padre suicida per ritrovarsi ripercorrendo i passi di chi è venuta prima. Non è da tralasciare che lo stesso Biolchini abbia confermato nella flânerie Isola del silenzio nel brulicante caos parigino, un’affinità personale con questi luoghi, possedendo da anni un pied-à-terre nel Marais.

«Scrivere di Virginia era come cercare di trattenere l’acqua tra le dita. Ogni parola che mettevo su carta sembrava restituirle un pezzo della sua vita, ma nello stesso tempo la rendeva ancora più sfuggente. Forse la mia famiglia aveva ragione: forse ci sono storie che dovrebbero restare sepolte. Eppure, come si può davvero cancellare qualcuno che è esistito?» Se nella Ville Lumierè Andrea combatte per riportare alla luce il lascito immateriale di Virginia, disseppellire un vissuto porta con sé traumi indigesti e pagine di dolore; un passato doloroso che la famiglia Corsini aveva ripudiato, negandolo pubblicamente, che il protagonista affronta senza riserve per riuscire ad accettarlo. E al lettore non resta che un interrogativo inquietante: l’oblio è sempre un male?

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Giorgiomaria Cornelio
Giorgiomaria Cornelio
Giorgiomaria Cornelio è nato a Macerata nel 1997. È poeta, scrittore, regista, performer e redattore di «Nazione indiana». Ha co-diretto la “Trilogia dei viandanti” (2016-2020), presentata in numerosi festival cinematografici e spazi espositivi. Suoi interventi sono apparsi su «L’indiscreto», «Doppiozero», «Antinomie», «Il Tascabile Treccani» e altri. Ha pubblicato La consegna delle braci (Luca Sossella editore, Premio Fondazione Primoli), La specie storta (Tlon edizioni, Premio Montano, Premio Gozzano) e il saggio Fossili di rivolta. Immaginazione e rinascita (Tlon Edizioni). Ha preso parte al progetto Civitonia (NERO Editions). Ha curato, per Argolibri, l'inchiesta letteraria La radice dell'inchiostro. La traduzione di Moira Egan di alcune sue poesie scelte ha vinto la RaizissDe Palchi Fellowship della Academy of American Poets. È il vincitore di FONDO 2024 (Santarcangelo Festival), uno dei direttori artistici della festa “I fumi della fornace” e dei curatori del progetto “Edizioni volatili”. È laureato al Trinity College di Dublino.
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