Cristi e ravioli

di Ilaria Padovan

Sono io il Signore tuo Dio,
che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto;
apri la tua bocca, la voglio riempire.
(Salmo 80, 11)

Quando le fotocellule non mi vedranno più, allora sarò morto.
Niente di che, solo: le porte automatiche non si apriranno più.
Niente di che: solo / morto.

Un altro /
nientaltro.

E allora ritornerò. Quando mi accorgerò che sarò morto farò esattamente come tutti gli altri prima di me e allora tornerò. Tornerò da te, tornerò da voi, tornerò indietro da tutti quanti e domanderò: che cosa volete / di cosa avete bisogno / che cosa vi rende felici.

Ve lo chiederò
chiederò
chiederò
chiederò

e voi mi risponderete sempressolo le stesse cose di sempre, mi pregherete di farvi quello che è già stato fatto da infinite altre religioni

/ consolazioni.

Quando le fotocellule non mi vedranno più, quando le porte automatiche non si apriranno più, allora saprò che sarò morto: tornerò.
Ed esaudirò qualsiasi vostro desiderio ma voi mi chiederete sempre e solo le stesse cose

/ che sono già successe.

Io vi risponderò che ne avete visti abbastanza di predicatori per non accorgervi della differenza.
Che tu, proprio tu – che è per te che sono tornato – tu scuoterai la testa invece di rispondermi. E quando, scuotendo la testa te ne andrai da me, scoprirò che sarò morto, per davvero questa volta. Allora somiglierò a una pianta che assomiglia a una città: una città immeravigliabile perché ci è già successo tutto dentro.
Allora, non assomiglierò più a niente di ciò che avrete visto

/ giàvvisto

Dunque, somiglierò a una pianta. Forse.
Di tutto quello che conoscete già, quello a cui assomiglierò di più sarà una pianta.
E avrò delle parole precise, ma deciderò di non usarle. E mi siederò in mezzo a voi perché da quando tu te ne sei andata scuotendo la testa non ho nessundove dove stare. Mi siederò con tutte le parole giuste nella bocca: inghiottirò senza masticare: starò male: deciderò di non usarle.

Vi illuderò:
improvviserò:
v’imparadiserò.

In quel momento, saprò di funghi e collasso ma voi, lo stesso, per colpa di quella luce umami che emanerò, vi siederete accanto a me.
Staremo seduti per tanto

tanto

tempo.

Staremo seduti finché non saremo diventati tutti abbastanza tristi e la luce ce la saremo dimenticata e l’odore diventerà di lattice e disinfettante. Allora, allora sapremo che saremo senza più alcuna speranza e, proprio lì, proprio quello sarà il momento. In quel momento, io aprirò la bocca e ne usciranno farfalle che saranno state per troppo tempo prigioniere per avere ancora dei colori, usciranno: fatte di polvere, svaniranno al contatto con l’aria, si sbricioleranno in parole masticate male e senza suono che vi chiederanno: che cosa volete, di cosa avete bisogno, che cosa vi rende felici.
Sarete pronti.

Allora, sarete pronti.

Sarete così tristi da aver dimenticato il significato delle cose buone e sarete pronti a rispondermi con le risposte giuste. Sarete cosìttanto tristi che mi pentirò di avervi fatto tutto quello che vi ho fatto, ma ci si abitua a tutto. Eppure, vi sarete abituati a tutto: mi chiederete ancora e sempre le stesse cose, scuoterete la testa

/ ancora,

io rimarrò seduto

/ di pianta.

A quel punto, ve ne andrete.
Non ci farete neanche caso a me, a tutta quella tristezza, a tutto quel tempo seduti a pensare che fossi un santo invece ero solo morto

/ invece, volevo solo mi chiedeste di rendervi felici.

Rimarrò seduto: senza più farfalle, senza più un odore, senza più sembrare, poi, una pianta.

Tornerete, io lo so che tornerete.
Vi riunirete e tornerete a guardarmi rimanere sedutimmobile ma, questa volta, voi starete in piedi: e vi sentirete meglio. Vi sentirete meglio a guardare me che sono morto e seduto e immobile e senza più parole e senza mai magie. Tornerete: resterete per un po’, all’inizio riderete, mi direte cose orribili, mi confesserete desideri indicibili solo per vedere se sarò capace di realizzarli

e io, sì, lo sarò,
ma non vorrò farlo.
Io volevo tornare
(sono tornato)
per fare qualcosa che non era
quello che mi chiederete voi.

Ma non ve lo dirò.
Io non ve lo dirò.

E quando avrete visto che non saprò fare niente, tornerete ancora, tenendovi per mano alla cattiveria. Mi scuoterete, ferirete, taglierete per vedere se riuscirò almeno a difendermi se non a rispondere alle vostre preghiere. Mi farete di tutto per vedere se sono ancora vivo. Ma io sono solo un ritornato.

Morto: un altro

/ nientaltro.

Avreste dovuto mettermi di fronte a una fotocellula, sarebbe bastato quello: vedere che le porte automatiche del supermercato non si apriranno più. Ma non smetterete, perché non vi verrà in mente la storia delle fotocellule. Non vi verrà in mente perché penserete che sia una cosa che somiglia a una pianta ma io non sono mai stato una pianta.

Tornerai anche tu.
Non scuoterai più la testa: ti sarai dimenticata.
Ti sarai dimenticata di me, di chi ero, di noi, di come siamo stati, perché sarai andata avanti, perché io sarò morto e non importerà un cazzo se sarò ritornato. Tornerai e ti stancherai prima degli altri di quel gioco: ti sei sempre annoiata in fretta, cosìnfretta.
Allora: farai finta. Allora ti inventerai che quando stavamo seduti e pensavate fossi un santo tu ti fossi affezionata. Vorrai illuderti che sei l’unica, che sei la persona giusta per prendersi cura di una cosa tutta rotta, come le foglie di carne e martìri dei cactus che tanto ti piacevano quando andavamo nel deserto. Ti convincerai che riuscirai a farmi fiorire e ignorerai le forchette che mi passano dappartapparte, le cicatrici che non si rimargineranno, i buchi in cui i bambini infilano le dita per giocare. Ti convincerai: ritornerai tuttiggiorni, ma io non fiorirò: sono morto.
E quando vedrai che tutti gli sforzi saranno stati vani, che ti eri sbagliata

ancora. E ancora

allora, piangerai. E mi costringerai a parlarti, ma non avrò più la gola

/ la gola è una piaga

e le parole saranno ghiaia e sangue, ma io dovrò parlarti perché starai piangendo, perché avrò ancora qualcosa da dimostrare e la fedeltà si dimostra sempre e soltanto in un modo: umiliandosi. Allora mi riconoscerai, per un momento, ma mi riconoscerai: un pescepiatto, ti ricordi? Mi chiamavi Pescepiatto. Avevo gli occhi piccoli e vicini, sembravo un pesce / piatto: ora, più una pianta.
Piangerai ancora per il tuo pescepiatto.
Mi prenderai e trascinerai in casa tua, dove ora tu vivi con un altro, perché sono il pescepiatto che ora ti ricordi e mi comprerai vagonate di ravioli che non posso più mangiare perché sono morto, ma tu fingerai di non saperlo e me li ficcherai in quel buco che era, una volta, una gola anche se sono poco più di una pianta, adesso.
Riderai: sarò ancora il tuo pescepiatto

/ mi potrai ancora dare dei ravioli.

Quando mi vedrai stare male – perché mi piacevano tanto ma adesso non posso più mangiarli – me li infilerai come gettoni in una macchinetta guasta alla stazione, ancora surgelati perché ricorderai che amavo i gelati soprogniccosa, e quelli che non entreranno me li spalmerai addosso finché non rimarrà niente / niente, se non una poltiglia di quello che una volta era un pesce piatto che avrebbe mangiato sempre ravioli, poi, gelati.
Ma io non ti dirò niente: fedele.

Fedele
/ per sempre, fedele:
un pescepiatto:
/ tuo.

Un giorno, mi dirai domani e che cosa vorrai farmi, dove vorrai portarmi, cosa vorrai dirmi in quel domani e io rimarrò tutto il tempo ad aspettarlo sapendo che tu ti dimenticherai

/ ti annoierai

e non arriverà mai domani e allora io penserò a dopodomani.
Ti dimenticherai

/ di nuovo.

Come l’altra volta.

Solo che, questa volta, sono morto:
Le fotocellule non mi vedono
più.
Le porte automatiche non si aprono
più.

Dopodomani.

Dopodomani è stato il giorno più bello della mia vita.

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mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot ha pubblicato Essendo il dentro un fuori infinito, Elegia, opera vincitrice del Premio Montano 2021 sezione opera inedita (Anterem Edizioni, 2021), Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), poesie e prose in antologie italiane e straniere. Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato a esposizioni collettive.  Aree di interesse: letteratura, sociologia, arti visuali, psicologia, filosofia. Per la saggistica prediligo l'originalità di pensiero e l'ideazione. In prosa e in poesia, forme di scrittura sperimentali e di ricerca. Cerco di rispondere a tutti, ma non sempre la risposta può essere garantita.
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