Lackawanna (e altri fantasmi)
Di Isabella Livorni
Lackawanna
Caseggiati. Camere che contengono.
Binari, pompe funebri,
i becchi dei dottori della peste
sospesi alle pareti dove
i don fanno facce da pesce,
mozzicano mezze parole
(l’America in cella).
Quaggiù le strade portano
i nomi propri di vari uomini
—uomini che sconosco.
Palafitte nell’acqua come denti spezzati
tagliano la strada al tuo stato, il tuo molo
un trabocco, una piattaforma di legno
scadente sotto il peso dei pesci.
Le travi il bilico mentre cammino.
Il gelo del boardwalk senza sale.
arrampicata a raiano
beatatté che tieni un corpo giovane e forte
e fai tutto ciò che la testa ti dice di fare.
noi teniamo i pollici storpi e cioppi, le ossa fraciche,
ma tu comandi le giunture, le pieghi e le fletti.
punta gli occhi sui nostri punti d’incontro:
rapidi vettori di partenza.
rintaniamo. ci strascichiamo.
dinanzi alla pietra impara.
–1
Forse nel Texas, o in Louisiana
un marito ammazzò sua moglie.
Il processo non si fece mai.
Un secolo più tardi, i parenti
non sentono lo strappo: muscolo
antagonista tende dentro
l’arte fantasma; l’elaborazione
del lutto ha luogo nella lacuna.
Da quarant’anni sulla testa delle
donne: si elimina con pochi
colpi di spazzola, oppure
di pistola—ma come preferisci,
a me non cambia molto. Se poi ti
getto il giornale in faccia, devi
ringraziare ché non lascia un livido.
Dove dormi, su quali superfici
ti riposi? La lacca risplende
a piccoli e brevi spruzzi
sui bigodini, le ciocche, capelli
piegati come gli arti di un corpo
morto occultato in un carrello
della spesa. Gli scarichi arrangiati:
castelli, rifiuti accatastati
per dare la forma voluta.
Sotto la stella del cane (The Deplorable Word)
It was a dull, rather red light.
Low down and near the horizon
hung a great, red sun:
a sun near the end of its life,
weary of looking down upon that world.
The water had long since vanished,
and it was now only a wide ditch of grey dust.
A sinistra del sole, un po’ più in alto, c’è
un’unica stella: grande e luminosa.
È d’estate che Sirio brilla più forte—
l’immagine di un mastino che feroce
ti azzanna e non ti molla più.
La canicola torna sulla pianura padana.
La nostra guida ci dice
che pure questi paesi sono costruiti
su friabili rocce di origine vulcanica.
Il gran lago salato, un tempo,
giungeva fin qua. E adesso
si è posto l’obiettivo di tornarci.
Si sta espandendo:
una lunga esondazione al rallentatore.
Le coste verranno sommerse;
la terra cederà passo dopo passo
all’avanzata silenziosa del mare.
Le gialle teste dei girasoli ruoteranno sugli steli
in un movimento attenuato dalla pressione subacquea.
Non si accorgeranno di aver oltrepassato lo sboccio.
Lasceranno i segni dei petali nella sabbia,
pietrificati come ammoniti; preverranno
la cancellazione delle loro vite
dall’archivio fossile.
Il disco rosso ci sorveglia.
Il problema è che il volere lo vogliamo far nascere da tutte le parti.
E mo’ cambia canale; anzi, rimuori.
Nubilato
Filomena, con fili rosa e blu,
tesse stama e stama.
Chiedere scusa è un colpo di pistola;
permesso è una lama sulla pelle.
Lo sai che questo paesino non è
abbastanza grande per entrambe?
Lascio cadere il temperino
e una goccia di sangue schizza sul telaio.
Filomena al galoppo
scappa per la steppa.
L’agave la infilza quando cade;
fusto di ferro, palo santo,
giace trafitta tra le foglie carnose.
Filomena mi chiama. La sua voce
è il fischio del treno, è l’ululato
del coyote, è il boato del bisonte
che si estingue nella grama azzurra.
La cavalco e sento il suo respiro;
il sangue che fiorisce sul vestito
è un bocciolo in mezzo all’erba secca.
Gli elettroni nell’aria raccolti
intorno al suo corpo supino:
aureola energetica che mi nutrirà.
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Isabella Livorni è poeta, studiosa e traduttrice italo-americana; insegna lingua, letteratura e cultura italiana a New York. I suoi interessi si situano all’incrocio tra sperimentazione letteraria, pratiche translingui e poetiche della traduzione, con particolare attenzione alla produzione italiana e diasporica dal secondo dopoguerra a oggi. Formata anche in ambito musicologico, indaga il rapporto tra testo e suono, esplorando le modalità con cui la dimensione acustica contribuisce alla costruzione di soggettività e alterità. Al centro di questa serie di inediti c’è l’esperienza della differenza linguistico-culturale come processo che non può risolversi: la traduzione come poetica del movimento, non come punto di arrivo. Nei suoi testi cogliamo una trama di lingue, tempi e luoghi che non si fondono ma si toccano, si mancano, e si trasformano a vicenda, anche attraverso la loro presenza fantasmatica.
