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La guerra civile in Italia

santi di Massimo Gezzi

Poeta in lingua e in dialetto friulano, autore di due romanzi profondamente diversi tra loro (il neo-espressionista Diario di bordo della rosa, peQuod 1999, e il gotico-morale L’eterna notte dei Bosconero, Rizzoli 2006), traduttore di antichi e moderni, saggista, filologo e recensore (sulle pagine di “Liberazione”), Santi occupa ora con La guerra civile in Italia (Sartorio 2008, € 13,50) un’altra casella nella tabella dei generi, quella riservata alla raccolta di racconti brevi, sebbene la maggior parte delle quattordici narrazioni contenute nel volume in esame sia già apparsa in varie riviste.

È un vero piacere aprire questo libro: primo perché la misura del racconto, a parere di chi scrive, è forse la più naturalmente congeniale a questo giovane scrittore; in secondo luogo perché i racconti di Santi non si ripetono mai, costringendo chi legge a un continuo esercizio di attenzione e di correzione della messa a fuoco. È il lettore, infatti, che deve imparare a costruirsi l’impalacatura civile suggerita dal titolo: tramutando in narratori ora un turista annoiato dalla vita che spera di cadere vittima di qualche attentato, ora un arabo addetto alla vendita di bibite e “bamba” in un cinema della provincia di Como, ora una giovane commessa di Serravalle Scrivia, Santi riesce a dipingere un ritratto mosso e polifonico della nostra Italietta, senza cadere nella retorica un po’ tribunizia e ormai invecchiata della letteratura “impegnata”, ma senza neanche evadere nella trasfigurazione del reale: si riconoscono benissimo, in queste pagine, i turisti neo-capitalisti in cerca di forti emozioni, magari in diretta tv, o i razzistelli dalle labbra sapide (“Cammelliere!”, “Ehi balòss d’un beduino”), o ancora i datori di lavoro che sottopongono a mobbing i loro dipendenti.

Santi sa muoversi su più registri e più toni: così accanto alla narrazione caustica o al racconto allucinato di una battaglia combattuta a colpi di escrementi da un protagonista risucchiato, in stile Trainspotting, dal water di un treno, chi legge incontra anche personaggi drammatici (“umoristici”, avrebbe detto Pirandello), come una vecchia signora di 82 anni che muore in discoteca sulle note del Gioca jouer di Cecchetto, o un guidatore che attraversa Gorizia e il carso isontino rievocandone il tragico passato con grande intensità.

A volte la persona che dice io, poi, è così simile a quella dell’autore che è davvero impossibile non pensare all’autobiografia: come quando il personaggio-narratore rievoca, in Caustico televisivo (Diario mediatico), la sua incursione, da poeta, al Maurizio Costanzo Show, dando luogo a un divertente brano narrativo ma anche a una risentita riflessione sulla marginalità della poesia e sull’inarginabile idiozia dei salotti televisivi.

[pubblicato su Il manifesto, il 17 gennaio 2009]

7 Commenti

  1. Ottimo: Gezzi per la recensione, Biondillo per il tempismo, Mozzi per avere pubblicato il libro e soprattutto Santi per avere scritto questi stupendi racconti. Avanti così, Flavio, questa dimensione narrativa è perfetta.

  2. “Dalla penna di uno degli scrittori più interessanti delle ultime generazioni, considerato il vero erede di Pasolini…” (dal link ibs del libro)

    che ridere…

  3. È Pasolini che è sopravvalutato! In Italia perché è omosessuale ed è morto, all’estero perché non ne capiscono niente.

  4. Concordo. Uno dei pochi che bada al sodo e si mette in gioco. Non sapevo di questo libro ma andrò subito a prenderlo. Grazie della segnalazione.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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