Antenati a Costantinopoli: come il Risorgimento italiano è sbarcato in Turchia


di Giuseppe Acconcia

Luis Miguel Selvelli ne “Antenati a Costantinopoli. Esuli italiani negli anni del riformismo ottomano 1828-1878” (Il Poligrafo, pp. 239, 2022, 28 euro) ripercorre cinquant’anni di storia ottomana attraverso le biografie di dodici esuli italiani. Antenati a Costantinopoli ricostruisce le reti di relazioni, spesso dimenticate, tra Risorgimento italiano e riformismo ottomano, permettendoci di fare paralleli continui con la recente attualità politica in Turchia e in Europa. Negli anni del Risorgimento, dalla penisola italiana furono in molti a volgere lo sguardo verso Oriente, verso una Costantinopoli in fermento nella quale era stato avviato uno straordinario processo di rinnovamento politico e culturale. Le ricerche di archivio, soprattutto nella Società operaia di mutuo soccorso a Istanbul, hanno portato l’autore a riscoprire le vicende che hanno coinvolto i suoi antenati, tra i quali spicca la figura del trisnonno, Italo Selvelli, compositore che nel 1909 scrisse l’ultimo inno nazionale dell’impero ottomano. “Sono partito da tre generazioni prima. Michele Selvelli era nato a Fano e aveva fatto il Risorgimento partecipando all’assedio di Ancona. Seguendo le sue orme ho scoperto che il Risorgimento è straordinario. La popolazione era insorta a Venezia, Padova, Milano, Roma e aveva creato esperienze rivoluzionarie, repubblicane, allora si scriveva una costituzione progressista in cui si parlava di divorzio, suffragio universale”, ci ha spiegato l’autore intervenendo al lancio del libro a Padova all’Arcella Bella. “Ma purtroppo la repressione non tardò ad arrivare, chi si trovava nel Tirreno scappò in Francia, da Ancona sono finiti a Corfù. La Gran Bretagna sosteneva i rivoluzionari italiani contro l’Austria e il Vaticano. Ho voluto guardare alla storia del mio avo esule piuttosto che del più noto compositore cercando di ricostruirne la vicenda. E così ho ricostruito il contesto storico e ho scelto le 12 biografie da inserire nel testo. Michele Selvelli diventò un produttore di birra e poi di gassosa nei suoi 45 anni a Istanbul”, ha aggiunto Miguel.

Ma tutto cambiò nel 1878. “Dopo 50 anni di espansione delle libertà, il principe Abdulhamid II iniziò a tirare il freno a mano, chiuse la massoneria, iniziavano trent’anni di opacità, arrivarono i giovani turchi. Si cercava, per orgoglio nazionale, una rivoluzione politica orientata sui valori militaristici. Con la forte sconfitta in seguito all’ingresso in guerra con la Germania, l’impero ottomano fu costretto ad accettare condizioni davvero umilianti che aprirono la strada al revanchismo di Mustafa Kemal”, ha continuato l’autore.
Ma cosa è accaduto agli italiani di Istanbul dopo gli anni della prosperità? “Per gli italiani in Turchia il grande cambiamento è iniziato nel 1911-12, con la guerra in Libia. L’impero ottomano si era mostrato ben disposto verso gli italiani ma con il bombardamento del porto di Beirut, l’occupazione di Rodi nel 1912, le cose cambiarono: gli italiani vennero espulsi e solo in pochi restarono in Turchia. Oggi della vecchia presenza levantina è rimasto molto poco, centinaia di famiglie. Quello che ha tenuto unita la comunità è stato il cattolicesimo, ma con i numeri sempre più esigui tanti italiani hanno cominciato a sposarsi con i turchi”, ha proseguito Miguel.
Come è iniziato quest’interesse così appassionato per la Turchia? “Ho iniziato a frequentare Istanbul nel 2002 e mi sono trasferito in Turchia nel 2007. Ero attratto dal fatto che si trovasse lì la tomba del mio bisnonno. Nessuno della famiglia sapeva dove fosse né sapevo come chiedere dove fosse il cimitero cattolico perché ancora non parlavo il turco. Allora ho deciso di imparare il turco, come fonte di sostentamento facevo il traduttore. Sono stato circondato da amici fino al 2018 quando abbiamo lasciato il paese. La prima volta la città mi è sembrata enorme e difficile da viverci. E così nell’estate del 2002 sono subito scappato via. Il presidente, Recep Tayyip Erdogan, ha vinto le elezioni ed è arrivato al potere nel 2003. Il volto del paese è cambiato, la città si è trasformata. Il 2007 è stato l’anno in cui arte, cultura, fiorivano e Istanbul era la meta preferita di artisti e musicisti, l’idea di entrare nell’Unione europea era solida, il paese avanzava nel processo di liberalizzazione”, ha concluso l’autore.

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giuseppe acconcia
giuseppe acconcia
Giuseppe Acconcia è giornalista professionista e docente di Storia delle Relazioni internazionali all'Università di Milano Statale e di Geopolitica del Medio Oriente all'Università di Padova. Dottore di ricerca in Scienze Politiche all'Università di Londra, è stato Visiting Scholar all'Università della California (UCLA – Centro Studi per il Vicino Oriente), docente all'Università Bocconi e all'Università Cattolica di Milano (Aseri). Si occupa di movimenti sociali e giovanili, Studi iraniani e curdi, Stato e trasformazione in Medio Oriente. Si è laureato alla School of Oriental and African Studies di Londra, è stato corrispondente dal Medio Oriente per testate italiane, inglesi ed egiziane (Il Manifesto, La Stampa, Huffington Post, The Independent, Al-Ahram), vincitore del premio Giornalisti del Mediterraneo (2013), autore del documentario radiofonico per Radio 3 Rai “Il Cairo dalle strade della rivoluzione”. Intervistato dai principali media mainstream internazionali (New York Times, al-Jazeera, Rai), è autore de Migrazioni nel Mediterraneo (FrancoAngeli, 2019), The Great Iran (Padova University Press, 2018), Liberi tutti (Oedipus, 2015), Egitto. Democrazia militare (Exorma, 2014) e La primavera egiziana (Infinito, 2012). Ha pubblicato tra gli altri per International Sociology, Global Environmental Politics, MERIP, Zapruder, Il Mulino, Chicago University Press, Le Monde diplomatique, Social Movement Studies, Carnegie Endowment for International Peace, Policy Press, Edward Elgar, Limes e Palgrave.
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