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AFFERMAZIONE CIVILE

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di Certi Diritti

Il 29 agosto h 11 la coppia composta da Ottavio Marzocchi, bolognese, funzionario a Bruxelles del Parlamento Europeo, e Joaquin Nogueroles Garcia, funzionario della Commissione Europea, che si è sposata lo scorso 20 agosto in Spagna, accompagnata da amici, parenti e personalità politiche si è recata al Comune di Bologna per chiedere la trascrizione del matrimonio nei registri del Comune, così come previsto quando si contrae matrimonio all’estero.
Nessun rappresentante politico della Giunta comunale ha ricevuto i coniugi che hanno quindi ‘occupato’ simbolicamente la Sala Rossa dove si svolgono i matrimoni con rito civile. In seguito i coniugi si sono recati presso gli uffici anagrafici del Comune di Bologna dove alcuni funzionari hanno spiegato quali documenti occorre presentare per la richiesta di trascrizione del matrimonio celebrato in Spagna. I funzionari hanno altresì spiegato che in base ad una Circolare Amato del Ministero degli Interni non sarà possibile comunque procedere alla trascrizione e che di ciò verrà data comunicazione scritta.

IMPUDENZE 2

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di Piergiorgio Odifreddi
Ieri e oggi Avvenire ha dedicato articoli alla questione. Sostanzialmente, argomentando che la Chiesa già paga tutte le tasse dovute per legge, e non è dunque tecnicamente un evasore. Essi fingono ovviamente di non capire che il problema sono invece, da un lato, le leggi che garantiscono principesche esenzioni. E, dall’altro lato, quelle che forniscono principesche elargizioni.
La “sconcertante assenza totale di fonti che i lettori possano controllare” è invece il seguente elenco, che non ho problemi a ripubblicare. Ricordando che si tratta di cifre tratte dal Secondo rapporto sulla laicità pubblicato da Critica liberale nel gennaio-febbraio 2006, e dal rapporto Enti ecclesiastici: le cifre dell’evasione fiscale dell’Ares (Agenzia di Ricerca Economica e Sociale) del 7 settembre 2006.
Dunque, al miliardo di euro dell’8 per mille dei contribuenti, che molti credono ingenuamente essere l’unica elargizione statale alla Chiesa, va aggiunta ogni anno una cifra dello stesso ordine di grandezza sborsata dal solo Stato (senza contare regioni, province e comuni) nei modi più disparati.

BWV 1007

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TRADURRE ?

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di Franco Buffoni

“Io mi domando”, si chiede Céline nella lettera a M. Hindus del 15 maggio 1947, “in che cosa mi paragonino a Henry Miller, che è tradotto?, mentre invece tutto sta nell’intimità della lingua! per non parlare della resa emotiva dello stile…”.
Evidente, mi pare, già da questa breve citazione, la posizione teorica di Céline sul tradurre. Una posizione che noi italiani potremmo definire crociana, in quanto fa leva sul presupposto della unicità e irriproducibilità dell’opera d’arte per negare la traducibilità della poesia e della prosa “alta”. Tale concezione è l’espressione di un idealismo oggi particolarmente inattuale, contro il quale l’estetica italiana del secondo Novecento (Banfi, Anceschi, Formaggio, Mattioli) si è battuta, direi, vittoriosamente.
Nel 1975 George Steiner parlò della necessità – da parte del traduttore di poesia e prosa en artiste – di rivivere l’atto creativo che aveva informato la scrittura dell'”originale”. E negli ultimi trent’anni la traduttologia – ben conscia della lezione steineriana, ma anche di quelle non meno pregnanti di Gianfranco Folena e di Antoine Berman – ha cercato in ogni modo di suggerire come tradurre in realtà questa necessità di rivivere l’atto creativo. Anzitutto sfatando il luogo comune che tende a configurare la traduzione come un sottoprodotto letterario, invitando invece a considerarla come un Überleben, un afterlife del testo cosiddetto originale. Ma senza cadere nella comoda scappatoia della imitatio.

Masaniello e la camorra: un’associazione arbitraria

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di Silvana D’Alessio

Spiace vedere come un approccio superficiale all’indagine storiografica trovi spesso facile eco nella divulgazione televisiva, sia pur di qualità.

Un esempio in tal senso è stata la trasmissione del blasonatissimo Superquark di Piero Angela, dell’11 di agosto scorso, trasmissione che  ha suscitato molte perplessità in particolare per quel che attiene all’intervento del prof. Alessandro Barbero su Masaniello e i napoletani rinchiusi nel carcere di Fenestrelle *. Come studiosa che si è occupata per anni in prima persona dell’argomento, non ho potuto ignorarla, benché mi trovassi all’estero. Tornata in Italia, ho avuto modo di seguire più da vicino, fra l’altro sul sito dell’Istituto di ricerca storica delle Due Sicilie, la polemica scoppiata  a causa dell’intervista di Angela a Barbero; il professore ha affermato che nella rivolta si possono vedere le origini della camorra; che Masaniello sfruttava la prostituzione, che metteva pace nel mercato e che era invitato da molti tavernari proprio perché si trattava di un “piccolo boss”; ha sostenuto inoltre che la rivolta è scoppiata contro una gabella – quella della frutta – che colpiva chi vi lucrava, chiedendone il pizzo, e che l’incendio alla dogana dove si esigeva è stato compiuto in “perfetto stile mafioso”, precisando che affermava ciò sulla base di nuove fonti, “rapporti di polizia” e altre testimonianze, emerse di recente.

Una poesia

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di Andrea Inglese

Non cedo nulla, anzi quasi niente,
non bisogna cominciare mai, da nessun punto,
cedo al massimo l’acido cianidrico
e qualche altra bruttura, la rotaia guasta,
se cedessi anche un solo sapore, gli spinaci freddi,
senza olio, o una noce secca, con il gheriglio
sui bordi atrofizzato, qualcosa comunque
cedo ancora, la tapparella che s’inceppa,
e anche – ora che ci penso – quella luce grigia
che filtra di mattina, e il mattino, quello buio,
invernale, con il cielo senza zone, interrato,
cedo il cielo, l’aria che non circola, la mia gamba
che magra non s’appaia con il torso,
e non trova la giusta curva nell’immagine allo specchio
e l’albero nervoso, il registratore di cassa
delle forme: cedo anche la matassa morbida nel cranio,
e il contratto stesso di cessione, totale,
non rimanga neppure quello
ad ingombrare nel vuoto
del cedimento perfetto

Chat Noir

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Ninna nanna
di
Mirfet Piccolo
Era sabato pomeriggio dopo la scuola. C’era la pasta in bianco che la mamma mi avevo lasciato sul tavolo nudo della cucina facendo attenzione ad andarsene in fretta; nei suoi movimenti assenti lei mi diceva, io già conosco la fine della storia. C’era una michetta secca e una mela gialla, e c’era il suono di una sirena.
Ho impugnato la forchetta. Quel sabato pomeriggio dopo la scuola ho mangiato solo due bocconi inquieti. Nello zaino gettato a terra c’era il compito in classe di matematica, e la voce del professore che diceva, la tua di non riuscire è solo ostinazione. C’ero io che ho pensato che i conti di una vita non tornano mai, e ti ho aspettato.
La domenica che mi hai portata in cima al Duomo di Milano io avevo nove anni, perdevo il mio primo sangue dalle gambe e tu non lo sapevi. Sono scesa al capolinea del tram e tu eri lì, con il tuo passo deciso camminavi a testa alta e con gli occhi che guardavano lontano. Io non ti ho detto che ero felice e che mi facevi paura; ti ho detto, ciao, e con la mia mano ho levato il tuo bacio dalla mia guancia.

Il Marco Polo sdoppiato di Giorgio Manganelli

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di Filippo Milani, via Cineresie

Da sempre la figura di Marco Polo è stata oggetto di innumerevoli interpretazioni, non solo da parte di geografi, storici e antropologi, che hanno cercato di verificare le notizie fornite dal mercante veneziano durante i suoi viaggi alle soglie del ’300, ma anche da parte di critici letterari e scrittori, che hanno indagato la complessità del Milione, testo stravagante, ambiguo e multiforme.

Tra tutte le riletture della figura di Polo all’interno del panorama letterario italiano risulta particolarmente intrigante quella proposta da Giorgio Manganelli, uno scrittore e giornalista che ha fatto parte del Gruppo 63; Manganelli infatti ha interpretato le divergenze e i punti inconciliabili dell’esperienza di Polo come l’effetto dello sdoppiamento, umano e letterario, subito dal mercante. A partire da questo spunto egli ha proposto nel 1965 un nuovo tipo di letteratura di viaggio, la geocritica:

Le invenzioni di Andrea Sparaco

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Hommage
di
Enzo Battarra

“Figure dialoganti: i pizzini dell’anima”. Quasi un presagio, la raffinata ricerca di una sublimazione eterea. Andrea Sparaco aveva dato questo titolo alla mostra inaugurata domenica scorsa nella Chiesa dell’Annunziata a Teano e tuttora in corso.
Ora Andrea Sparaco non c’è più. Era nato a Marcianise nel 1936. I suoi “pizzini dell’anima” li ha lasciati come eredità terrena, portando con sé la storia di un uomo ricco di sentimenti e di genialità. Anche se le sue opere continuano e continueranno a vivere, un senso di vuoto, uno smarrimento totale invade il mondo artistico di Terra di Lavoro.
Il suo studio in via Mazzocchi 26 a Caserta, nel quartiere storico della Santella, in quello che è stato definito un tempo il quadrilatero dell’arte, ebbene il suo studio è stata la palestra formativa di generazioni di artisti, di operatori culturali e di intellettuali (due definizioni di altri tempi), di giovani intraprendenti desiderosi di frequentare il “salotto buono” della città. Qualcuno ha tenuto la sua prima esposizione proprio nel magmatico e pullulante studio di Andrea Sparaco.

carta st[r]ampa[la]ta n.41

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di Fabrizio Tonello

Torna Ferragosto e tornano i pirati. Bandiere al vento, abbordaggi con la sciabola tra i denti: Pietro Citati è rientrato dalle ferie e scodella ai lettori del Corriere una doppia pagina in cui le storie di mare che lo appassionano si mescolano con la vita del grande Cervantes. L’anno scorso aveva intrattenuto i lettori di Repubblica (20 agosto 2010) con una recensione di L’Odissea di Elizabeth Marsh, un libro di Linda Colley che palesemente non aveva letto, quest’anno il nostro critico si esercita sul tema “Cervantes alla guerra d’Inghilterra”, che poi sarebbe la spedizione della flotta di Filippo II, l’Invencible Armada. Il titolista del Corriere aggiunge che “Il «Don Chisciotte» nacque dopo il disastro dell’ Invencible Armada” (15 agosto, p. 28).

E’ innegabile che il Don Chisciotte sia nato dopo il disastro dell’ Invencible Armada, così come dopo la battaglia di Lepanto (1571), la scoperta dell’America (1492) e la costruzione della Cappella Sistina (1481): il primo volume fu pubblicato nel 1605 e la spedizione spagnola era avvenuta nel 1588; che le due cose siano in relazione fra loro, come implica il titolo, è però alquanto azzardato. Il nesso dovrebbe essere il fatto che Cervantes lavorò per un breve periodo come commissario addetto alla requisizione di vettovaglie per la spedizione.

Tunnel of Love

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di
Azra Nuhefendić

È un clandestino vero e proprio. Esiste, lo sappiamo tutti, anche se negli elenchi telefonici, nei libri ufficiali, nei discorsi pubblici non si menziona. Le indicazioni stradali per trovarlo non ci sono. Eppure è conosciutissimo. Riceve tantissime visite, lo cercano, lo trovano, lo guardano, lo ammirano. È “il tunnel di Sarajevo”, esiste, ma ufficialmente è come se non ci fosse.
Per la gente di Sarajevo “il tunnel” è il simbolo del coraggio e della sopravvivenza. Per i serbi della Bosnia ed Erzegovina è un luogo dove i serbi venivano uccisi e torturati.
L’altro giorno un piccolo gruppo di ammiratori e di affezionati che non hanno dimenticato ciò che il tunnel di Sarajevo significava durante la guerra, si sono riuniti per celebrare i diciotto anni della nascita del tunnel. È stata una cerimonia piuttosto modesta, molto al di sotto della fama e dell’importanza storica che ha oggi il tunnel di Sarajevo.

Aforismi incompiuti

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[Dopo pressante richiesta da parte dei fan (?!?), proprio come la scorsa estate, eccovi un gradito (!?!) ritorno. G.B.]

di Luca Ricci

Era annichilito perché non ci può essere un eccesso di lucidità.

Il sogno di ogni apocalittico perbene: adombrarsi a tal punto da adombrare il creato.

– Io sono passato alla storia.
– Io sono passato attraverso la storia.

La metafisica era il chewing-gum dell’antichità.

Almeno così: ognuno aperto nel proprio dolore.

Voce e paesaggio. Su Giuliano Mesa

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[Questo testo, seguito da una breve antologia di poesie di Giuliano Mesa, è apparso sul n° 3 di “Atti impuri“. Su NI è stata pubblicato il 23/8/2011. Lo ripresento oggi, perché il 15 e il 16 giugno si terrà a Bologna il primo convegno universitario su di lui. È quindi un’occasione per ricordarlo, ma sopratutto è un invito a leggerlo, anche se la sua opera, nonostante le mie ottimistiche affermazioni in questo pezzo è difficilmente disponibile, se non in rete.]

di Andrea Inglese

Quali prove ho, che Giuliano Mesa sia uno dei maggiori poeti italiani viventi?

Dico questo perché, in poesia, la confusione dei valori è più evidente che altrove. Qualsiasi titolo e trofeo, vanno vagliati con cautela. Nella narrativa, almeno, il successo commerciale permette di squadernare evidenze, che possono poi essere confutate da evidenze d’altro genere, quali il giudizio del critico. In poesia tutto si decide tra pochi, endogamicamente, con grande rischio. A volte, persino, non si decide un bel niente: ognuno nutre semplicemente, nel cantuccio proprio, nella chiesuola d’appartenenza, le proprie chimere. L’opera di un poeta può esserci, straordinaria, ma risulta magari invisibile o dispersa dal punto di vista editoriale, mentre altri libri di nessun pregio, per ragioni estrinseche, girano per librerie, biblioteche e premi.

un’altra volta

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di Chiara Valerio

Piero Marrazzo è l’ultimo uomo politico italiano ad aver mancato l’opportunità di diventare eroe nazionale. Con un unico gesto, con il superpotere perduto del senso dello stato e della giustizia, avrebbe potuto uscire da Via Gradoli con la testa alta e la camicia disordinata dal desiderio e dire Sì, sono stato con un transessuale e questo non pregiudica la mia capacità di amministrare una regione, sapete, hanno provato a ricattarmi ma io non ho temuto e al presidente del consiglio che mi ha chiamato per segnalarmi un video scabroso sui miei comportamenti sessuali ho risposto che non bisogna avere paura delle parole dopo che si è ceduto hai fatti. Avrebbe potuto vantarsi della normalità delle proprie indefinitezze e metterle in comune con le persone che lo avevano votato, restituire, con quel gesto, la fiducia che gli era stata data con la matita copiativa sulla scheda elettorale. E poi scusarsi, infinitamente, per aver usato una macchina che non era per lui ma per la carica che era stato chiamato a ricoprire. Scusarsi perché è perdita di democrazia confondere il singolo col ruolo. Così, quando il giorno di Ferragosto ho visto l’intervista su Repubblica ho gioito e esultato Vai Marrazzo! E invece, nelle domande belle, incalzanti e politiche di Concita De Gregorio, si è ripresentato uguale a sé stesso. Le giustificazioni tutte virate al piano morale, giovani e droghe, prostitute e famiglia, abitudini sessuali e matrimonio, le Confessioni di Agostino il cui unico messaggio ritenuto è Se hai conosciuto il male non devi più nasconderti. Vorrei chiedere a Marrazzo a quale male allude, alla seduzione d’un desiderio o al malcostume di una classe politica che ha reso la rappresentazione di sé il gagliardetto dell’assenza di democrazia. Solo dal primo non devi più nasconderti.

[queste righe sono state pubblicate il 19 Agosto 2011 su l’Unità]

La miseria della postfilosofia o L’intollerabile deragliamento dell’essere (storia minima di un’abdicazione intellettuale)

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di Daniele Ventre

1. Critica della critica acritica – l’autoritarismo deluso della postmodernità radical chic, fra pensiero debole e iperfallibilismo  pancritico

Uno spettro si aggira nei meandri delle menti speculative d’Europa e d’Occidente: è lo spettro del senso critico, che come il fantasma di Banquo al festino di Macbeth, secondo un copione shakespeariano tanto banale quanto obbligato, funesta i simposii di troppi, veri o presunti, maîtres à penser del mainstream filosofico contemporaneo. Fra le tante Scheintode che la poco limpida amleticità del dramma concettuale postmoderno inscena, la sua è solo l’ultima in ordine di tempo, dopo quella nietzscheana, ribadita, di Dio, dopo la morte e l’oblio della verità, dell’essere e  in ultima analisi del più generico concetto di senso tout court.

Jorge Luis Borges racconta il libro “Il nome giusto” di Sergio Garufi

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41qwqtIuZBL._SL500_AA300_[Sergio Garufi ha pubblicato finalmente un romanzo: Il nome giusto, Ponte alle Grazie, 2011 – disponibile stampato ( €16 meno 10-40% sconti) e in ebook (purtroppo con DRM €11,99). Lucio Angelini, suo scanzonato ammiratore, ne ha scritto una recensione – JR]

di Lucio Angelini

La prima volta che incontrai Garufi fu a Venezia, all’Hotel Londra Palace. Si era spacciato al telefono per un laureando alle prese con una tesi su di me, ma nessuno gli aveva creduto e non gli era stato accordato alcun appuntamento. Lui si presentò lo stesso alla reception alle nove di mattina. Maria Kodama, la mia segretaria, scese garbatamente contrariata e gli concesse di parlare con me giusto il tempo della colazione. Un inserviente lo accompagnò fin sulla soglia della mia camera, dove si arrestò “come davanti a una ierofania” (avrebbe raccontato in seguito in giro per la rete), e io lo accolsi declamando i versi dell’inferno dantesco: “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”, seguiti da un paio di spettacolari ipallagi virgiliane.

VISIONI in TRALICE [IV] Cum dederit dilectis suis somnum

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Cum dederit dilectis suis somnum.
IV. Largo da “Nisi Dominus” RV 608
ANTONIO VIVALDI [ 1678 – 1741 ]


di Orsola Puecher

 
Grace si addormentò lungo la strada maestra grazie alla sua sana capacità di allontanare da sé qualunque sgradevolezza. Un Dio generoso l’aveva benedetta con un raro talento: il potere di guardare avanti e solo avanti.

[ da DOGVILLE di Lars Von Trier ]

Note per un diario parigino

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da Chiunque cerca chiunque
Les trois Mailletz
Nono capitolo 
di
Francesco Forlani

Regina, reginella, quanti passi al tuo castello? Sotto i miei piedi, poco fa nel piazzale qui a Notre Dame, c’era il medaglione che indica il punto zero delle strade di Francia. A partire da quello vengono indicate le distanze delle città sulle cartes francesi. Il mio punto zero è Via G.M. Bosco, 49, Caserta. In questo momento sono a  1586 km dal punto zero delle mie strade.
Dieci passi da elefante. E nemmeno oggi si mangia. Veramente.
Quindici passi da formica. Ce ne sono un migliaio che corrono sotto la mia panchina fingendo indifferenza alle briciole di flan che cadranno.
Cinque passi da serpente. Il rosone poggia sulla capa dei re e le cape dei turisti lo fissano come ipnotizzati.
Dieci passi da gallina. Pollo e patate me li sogno la notte. Avevo letto da qualche parte in Cioran che i poveri mangiano  cose dolci. Quello che per i ricchi è un’opzione, il dolce dopo il salato, per i clochard è una necessità. Così capisci i denti guasti. Ma cazzo perché non comprare una fottuta baguette jambon beurre, piuttosto che un Flan. Ma vuoi mettere tu che una fettona gialla che sembra polenta e impacchettata indorata ti tappa la bocca dello stomaco a vita, e non la fa parlare, altro che!
Un passo da gambero. Bisogna tornare sui propri passi.

Raoul Ruiz (25 luglio 1941 – 19 agosto 2011)

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Dunque scompare il filosofo cineasta cileno Raoul Ruiz. Scompare l’autore della filmografia più aperta e mutante, una sorta di forma organica vivente, di planimetria folle. Quanti film ha veramente girato Raoul Ruiz? Una stima attuale (è morto mentre montava l’ultimo) arriva facilmente a più di 120. E i film nei film (come spesso gli piaceva ricordare)? Ci sono dei progetti che si guardano allo specchio e poi svaniscono. Ce ne sono altri mai realizzati e sempre in procinto di esserlo. Qualche relitto. Rovine. Trappole. Molta carne in putrefazione. Parassiti. Schizzi. Palindromi. Rompicapi. Ripetizioni. Falsi raccordi. Fessure che si allargano. Formati, durate, colori in-verificabili. Viraggi. Filtri. Prismi. Profonde deformazioni ottiche. Complicazioni. «La relazione fra la dissomiglianza e ciò che è simile si chiama passione» (Raoul Ruiz).
(l.e./d.t)

PERCHÉ NO

Raoul Ruiz

Una settimana fa ho udito uno storico del cinema cileno affermare: «In quel periodo (quello della mia prima giovinezza), i film si realizzavano perché sì, non c’erano né piani di finanziamento, né aspettative, non c’erano indagini di mercato (non c’era mercato), a nessun cineasta veniva in mente di domandarsi “Per quale pubblico sto facendo questo film?” (non c’era un pubblico). I film si facevano, come ho detto, perché sì». Mi sono permesso di interromperlo. «Con tutto il rispetto, gli ho detto, i film di quel periodo non si facevano perché sì, si facevano perché no».

IMPUDENZE

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di Franco Buffoni

“Le cifre dell’evasione fiscale sono impressionanti”, dichiara Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ai microfoni di Radio anch’io. Così continuando: “Come credenti e comunità cristiana dobbiamo rimanere al richiamo etico che fa parte della nostra missione e fare appello alla coscienza di tutti perché anche questo dovere possa essere assolto da tutti per la propria giusta parte”. “Se questo dovere fosse assolto”, conclude il cardinale, “le cose in Italia sarebbero risolte”.
Come non condividere? Peccato che a fronte vi siano i mastodontici privilegi dovuti ai meccanismi perversi dell’otto per mille codificati da Giulio Tremonti ai suoi bei dì, nonché il regime di totale impunità e assenza di controlli in cui opera lo Ior – Istituto Opere di Religione, la banca centrale vaticana -, e l’abbuono dell’Ici sul patrimonio immobiliare della Chiesa cattolica – persino su residenze e attività estranee al culto – stimato al 40 per cento del totale nella città di Roma e al 25 per cento nell’intera penisola. Ma si rifletta anche su più sottili e repellenti ingiustizie quali le forniture gratuite di acqua, luce e gas al Vaticano, o gli stipendi agli insegnanti di religione cattolica nelle scuole di stato.
 La stima complessiva è di oltre 4 miliardi annui di sole esenzioni fiscali.
In questo momento di gravissima crisi economica, in cui persino le banche e le grandi industrie sono in difficoltà, l’unica vera ricca lobby rimasta in Italia è proprio la Chiesa cattolica. Che per non essere tacciata di impudenza dovrebbe smettere di parlare, e incominciare a pagare qualcosa, prescindendo dalle richieste dei nostri pavidi governanti. Perché a Bagnasco evidentemente sfugge che i privilegi e le esenzioni fiscali di cui gode la Chiesa cattolica in Italia sono la versione autorizzata – e per ciò stesso ancor più repellente – dell’evasione fiscale a cui si riferisce nell’intervista a Radio anch’io.

INTERVALLO Fukushima [ riso amaro ]

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Fukushima TEPCO 1 Nuclear power plant [ Daii-ichi Webcam ]

Pietro Domenico Paradisi [ 1707 – 1791 ]
TOCCATA da “Le sonate di gravicembalo”

La notizia che le amministrazioni locali in tutto il Giappone testeranno il riso riguardo al Cesio radioattivo