da «Il Fatto Quotidiano», mercoledì 1 giugno 2011

La famiglia di The Tree of Life deve fare i conti con un creatore che esige sacrifici e non conosce pietà. Ma questa mirabile avventura non è un modo mirabile per mettere a posto le coscienze?
di Evelina Santangelo
Basterebbe leggere le recensioni uscite sulle testate più varie, italiane ed estere, per avere una qualche misura di quanto siano variegati, spesso inconciliabili, i giudizi sull’ultimo film di Terrence Malick, The Tree of Life, Palma D’oro al Festival di Cannes. «Un capolavoro contenuto e quasi imprigionato in una crisi mistica di arduo fascino» (Curzio Maltese, La Repubblica). «Affascinante, ambiziosissimo, irrisolto» (Federico Pontiggia Il Fatto Quotidiano). «Un film che rischia d’entrare di slancio nella disagiata categoria dei capolavori mancati» (Valerio Caprara Il Mattino). «Film folle e magnifico… grandissimo cinema» (Peter Bradshaw, The Guardian). «Una parodia di Malick fatta da uno che lo detesta» (Sukhdev Sandhu, The Telegraph). Giusto per citarne solo una piccolissima parte.
Giudizi così divisi esigono, se non altro, un atteggiamento aperto, affatto liquidatorio. Con quest’animo dunque sono andata a vedere The Tree of Life.













