Riflessioni su poesia ed esperienza, a partire da una recente antologia dell’Illuminista.
di Marco Mantello
Il tempo futuro è contenuto, tutto ma proprio tutto, nel tempo passato? E davvero il talento individuale deve per forza correlarsi a una data idea di tradizione, ora italiana,ora europea, ora occidentale?
Ora un’idea di talento individuale come perenne fattore di rottura rispetto ai fantasmi del ‘sublime aulico’ e del ‘naturalismo’, sulla base di un’inconfessata linea di continuità fra modelli di lirica pura, alla Valery e teorizzazioni della riduzione dell’io da parte di esponenti delle neoavanguardie storiche, nella cui opera si sommavano sovente il critico e il poeta; ora un’idea di talento individuale come fattore di accrescimento e continua ridefinizione a posteriori di una tradizione, in base a datazioni convenzionali e a grandi eventi, cui si collega lo studio testuale della lirica del ‘900, ovvero la ricostruzione di tendenze, quali l’assorbimento di istanze narrative e prosastiche, la tendenza della poesia a farsi prosa e del romanzo ‘ad aspirare alle condizioni di prosaicissima poesia’. Ora infine un’idea di talento individuale come riadattamento al presente, in chiave realistica e sperimentale, di forme e stili del passato.
Nel primo caso sembra davvero che talune rispettabili, quanto risalenti cristallizzazioni del ‘lirico’ novecentesco in parte confluite oggi, nella prefazione a una recente antologia di poeti degli anni 00, accompagnino la fondazione di presunti ‘canoni nuovi’, per la mia generazione e per quelle successive, quasi che una tradizione culturale, quella delle neoavanguardie storiche, pretenda di rigenerarsi sulle ceneri di un fantasma.