di Davide Orecchio
Un’altra vita di Johnny Tossi
Un giorno
Jutta piega le gambe, avvicina le ginocchia all’erba, solleva i talloni, poggia i polpastrelli sulla terra, schiaccia il bacino sulle cosce, parte, inizia a correre veloce, veloce come se corresse per la vita, agita le braccia avanti e indietro, stringe i denti, schiude le labbra, pesta l’erba coi talloni una, due, tre volte e ora salta lontano, danza sospesa, unisce le gambe in aria tra i raggi del sole e atterra, guarda dove è atterrata, sorride, si alza, pulisce le mani, pulisce le cosce, guarda nella direzione di Johnny che spazzava la pista e a Johnny cade il rastrello.
Conversazione politica tra Johnny e Jutta sulla scalinata dello Stadio dei Marmi, poco prima del tramonto.
− E se vivessi ancora a Berlino verrebbe un nuovo giorno di parata. Un altro anniversario della Repubblica. Starei in piazza con gli altri per la marcia sulla Karl Marx Allee, davanti al compagno Andropov e al compagno Honecker.
− Compagni di squadra?
− No, compagni comunisti. Mai sentiti nominare?
− Mai.
− A te non interessa molto quello che succede nel mondo, vero? Voglio dire, la politica?
− Non so. Me l’hanno chiesto in tanti da quando sono arrivato.
− Il mio ragazzo era così. Pensava solo ad allenarsi e quando gli dicevo: ma non vedi che schifo? Non ti senti soffocare?, lui tirava fuori la storia della medaglia. Sì, che voleva vincere una medaglia alle Olimpiadi e poi sarebbe diventato allenatore, e che non gli mancava niente nella Ddr e neanche a me mancava nulla. Che non mi rendevo conto di quanto eravamo fortunati. Per questo l’ho lasciato. Per me non si può vivere fuori dal mondo.







