Intervista ad Anna Maria Papi
a cura di Francesco Forlani
(Pubblicata in formato rivista e con un ricco dossier fotografico sull’ultimo numero di Reportage )

Mentre mi accingo a salire sul treno Torino Firenze, mi risuonano i versi di Pasternak nella sua ode In morte di Majakovskij
Oh, s’io avessi allora presagito,
quando mi avventuravo nel debutto, che le righe con il sangue uccidono,
mi affluiranno alla gola e mi uccideranno.
Mi sarei nettamente rifiutato
di scherzare con siffatto intrigo.
Il principio fu così lontano,
così timido il primo interesse.
I versi, sono quelli magnificamente tradotti da Ripellino, ma la voce che ho in memoria, con ogni sua pausa, è quella di Carmelo Bene, in “Quattro modi di morire in versi”. Anna Maria Papi, da cui sto andando per Reportage mi ha fatto avere la biografia di Giuliana Rossi, I miei anni con Carmelo Bene, e così mentre la voce all’altoparlante avvisa gli accompagnatori dei viaggiatori di scendere, apro a caso su un passaggio.
…appena Carmelo apriva bocca, la maggior parte dei critici che venivano a fare le recensioni al Teatro Laboratorio gli davano del “cretino” come minimo. La stampa parlava male, malissimo di lui […] L’ostracismo del mondo della cultura italiana si manifestava anche nei confronti di chi aveva lavorato con lui. Quando alcuni attori si presentavano in altre compagnie teatrali, dicendo che avevano recitato con mio marito, gli chiudevano ogni porta senza giustificare il motivo. Appena veniva nominato “Carmelo Bene” il diniego era immediato.”















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