di Massimo Bonifazio
L’Africa più interna, ma anche la più intima: è un’Africa come realtà organica, quasi corpo stesso dell’io, a fare da punto di partenza per questa lirica. Volker Braun l’ha scritta nel 1982, ma non ha perso smalto. Se allora si collocava perfettamente sulla scia del caso Wolf Biermann – il cantautore fedele all’utopia socialista ma critico nei confronti dell’apparato, a cui il regime impedisce di tornare da una tournée in Germania Ovest – oggi colpisce per la sua forza profetica, per il dettato quasi affannoso e pure chiarissimo, per la capacità di mettere in luce le tensioni in cui è invischiato l’io che vi parla: i sentimenti, assurdamente slegati dalla ‘politica’, le speranze ancora oggi frustrate. L’orizzonte esotico si risolve in un viaggio interiore intorno al concetto di confine, drammaticamente attuale in un mondo ancora costellato di muri e di confini: alcuni concreti, altri interiori, tutti ugualmente complicati da attraversare.










